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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Sabato, 30 Settembre 2017 15:00
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ENTRA LA CORTE... IL DRAMMA GIUDIZIARIO AMERICANO La parola ai giurati (1957) |
Non era certo un'impresa facile quella intrapresa da Sidney Lumet quando Henry Fonda gli affidò la regia di un progetto da lui stesso prodotto, La parola ai giurati. All'epoca trentaduenne, e fattosi conoscere negli anni Cinquanta per il suo lavoro in televisione, Lumet aveva di fronte ostacoli non da poco: non tanto per il budget ridotto o per il calendario serrato per le riprese, quanto per le caratteristiche intrinseche del testo di Reginald Rose, già portato in TV nel 1954.
A prima vista, infatti, La parola ai giurati sarebbe potuto sembrare un copione più adatto al palcoscenico che non al grande schermo: per l'unità di luogo (la stanza in cui sono chiusi i dodici membri di una giuria), per il racconto in "tempo reale" e per un meccanismo narrativo basato esclusivamente sui dialoghi, senza neppure l'ausilio dei canonici flashback. Un dramma processuale sviluppato tutto al di fuori del tribunale (con l'eccezione del brevissimo prologo), e pertanto un unicum nel proprio genere, soprattutto all'epoca. Eppure, nelle sapienti mani di Lumet, la sfida si rivelò vinta su tutti i fronti: distribuito nelle sale americane il 13 aprile 1957, La parola ai giurati fu accolto con entusiasmo dalla critica, a giugno conquistò l'Orso d'Oro al Festival di Berlino e alcuni mesi più tardi si guadagnò tre nomination agli Oscar per miglior film, regia e sceneggiatura.
Nel corso del tempo, la fama del sensazionale esordio di Sidney Lumet è cresciuta ulteriormente: nel 2007 è stato inserito dall'American Film Institute nella classifica dei cento capolavori del cinema a stelle e strisce e nel 2008 al secondo posto nella classifica dei migliori drammi giudiziari (dietro soltanto a Il buio oltre la siepe); nel 1997 William Friedkin ne ha diretto un remake per la televisione e nel 2007 Nikita Mikhalkov ne ha tratto una sorta di rivisitazione con 12 (candidato all'Oscar come miglior film straniero). Ma come è possibile che, a distanza di sessant'anni dalla sua uscita, la pellicola di Lumet rimanga non solo un modello esemplare di scrittura e di messa in scena, ma anche una 'lezione' etica di sorprendente risonanza?
Lo schema alla base de La parola ai giurati è tanto semplice quanto incisivo: dodici uomini, che nel testo di Rose non hanno neppure un nome (vengono identificati attraverso un numero), sono chiamati a elaborare un verdetto al termine di un processo per omicidio. L'imputato, accusato di aver pugnalato a morte il padre, è un ragazzo diciottenne dei bassifondi di New York, e per di più appartenente a una minoranza etnica non specificata (Lumet gli dedica un unico, fugace primo piano); le testimonianze in suo sfavore sembrano schiaccianti, così come le circostanze del delitto. Ma al momento del voto preliminare, al principio di una seduta che si preannuncia molto rapida, a sorpresa qualcuno si esprime per l'innocenza dell'imputato: è il giurato numero otto, un uomo pacato e riflessivo a cui presta il volto il grande Henry Fonda.
È il calcio d'inizio di una 'partita' che si rivelerà sempre più tesa e appassionante: per i novanta minuti successivi, infatti, il giurato numero otto costringerà i suoi compagni a riprendere in esame tutti gli elementi del processo in questione, ricordando loro l'imprescindibile valore del "ragionevole dubbio" e incrinando un verdetto che pareva già deciso. E in un torrido pomeriggio newyorkese, mentre il savoir-faire cede il posto al nervosismo crescente e il sudore si fa via via più copioso sulle fronti dei dodici uomini, si decidono le sorti della vita di un ragazzo che potrebbe o meno essere un parricida. Sidney Lumet e il suo operatore Boris Kaufmancalano questa dozzina di comprimari in un'atmosfera quasi claustrofobica, fra primi piani sempre più stretti, e trasformano l'angusto spazio filmico nell'arena di uno scontro al contempo giuridico, morale e psicologico. (...)
I "dodici uomini arrabbiati" del titolo originale (12 Angry Men) diventano così lo specchio della middle class americana (ma non solo), mentre il loro agone verbale si propone come un sostanziale paradigma di quello che sarà, da lì in poi, il miglior cinema di Sidney Lumet: un "cinema di parola", ma non per questo disposto a rinunciare alle specificità del linguaggio filmico (tutt'altro), in cui i dialoghi sono adoperati come armi affilatissime e le fragilità umane sono portate a collidere con un sistema etico decisamente complesso. (...)
Ma La parola ai giurati - e in questo risiede uno dei massimi motivi della sua grandezza - non si limita a fornirci un affresco della mentalità piccolo-borghese nell'America degli anni Cinquanta: rivista a sei decenni di distanza, l'opera prima di Sidney Lumet conserva infatti un impressionante senso di urgenza e di 'attualità'. Innanzitutto perché nella figura del giurato di Henry Fonda, che si appella agli altri membri della giuria rammentando la necessità di concedere all'imputato un po' del loro tempo e "qualche parola", si ravvisa un insegnamento tutt'oggi fondamentale: il ruolo irrinunciabile della ragione, e quindi della parola (il lógos dell'antica filosofia greca) intesa come veicolo di un pensiero critico, di una riflessione che non si fermi alla superficie delle cose, ma riesca a produrre uno sguardo più profondo e analitico sulla realtà. (...)
da: https://movieplayer.it
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Scheda film |
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TITOLO ORIGINALE | 12 Angry Men | ||
PRODUZIONE | USA | ||
ANNO | 1957 | ||
DURATA | 96 | ||
COLORE | B/N | ||
AUDIO | Mono |
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RAPPORTO | 1,66 : 1 | ||
GENERE | Drammatico | ||
REGIA | Sidney Lumet | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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DOPPIATORI ITALIANI |
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SOGGETTO | Reginald Rose | ||
SCENEGGIATURA | Reginald Rose | ||
FOTOGRAFIA | Boris Kaufman | ||
MONTAGGIO | Carl Lerner | ||
MUSICHE | Kenyon Hopkins | ||