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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Sabato, 08 Settembre 2018 08:00
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LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) |
Alcune frasi che Pasolini pronuncia nel documentario di Amaury Voslion Salò d’hier à aujourd'hui, realizzato durante le riprese di Salò e le 120 giornate di Sodoma e incluso come extra nell'edizione in dvd francese: «Il sadomasochismo c’è sempre stato, ma ciò che mi interessa è altro: nel mio film il sesso è il rapporto tra il potere e chi gli è sottoposto. Il sadomasochismo di Sade rappresenta ciò che il potere fa del corpo umano, la mercificazione del corpo, la riduzione del corpo a cosa. Quindi l’annullamento della personalità dell’altro. È un film sul potere e sull'anarchia del potere, il potere fa ciò che vuole, è del tutto arbitrario... Anche un film sull'inesistenza della storia, almeno come la percepiamo noi europei. Vale per tutti i tempi. Ma detesto il potere di oggi, che manipola i corpi in un modo orribile che non ha niente da invidiare a Hitler o a Himmler. Li manipola trasformandone la coscienza, istituendo valori falsi, come il valore del consumo, quello che Marx chiama il genocidio delle culture precedenti».
Se la storia è «inesistente», Salò vive solo in un presente assoluto. Sul Meridiano Mondadori dedicato agli scritti Per il cinema Pasolini afferma: «Siamo dentro quel presente in modo ormai irreversibile... Viviamo ciò che succede oggi, la repressione del potere tollerante, che, di tutte le repressioni, è la più atroce. Niente di gioioso c’è più nel sesso. I giovani sono o brutti o disperati, cattivi o sconfitti... Questo è il ‘vissuto’. Certo non ne posso prescindere. È uno stato d’animo. È quello che cova nei miei pensieri e che soffro personalmente... Il sesso in Salò è una rappresentazione, o metafora, di questa situazione che viviamo in questi anni: il sesso come obbligo e bruttezza» (Pasolini 3, pp. 2064-2065).
L’idea di Sade arriva a Pasolini in modo indiretto: la trasposizione del libro viene inizialmente proposta a Sergio Citti, suo collaboratore storico. Alle prime stesure del copione partecipa anche Pupi Avati. Sempre nel documentario di Amaury Voslion Pasolini afferma: «Ho lavorato con Citti alla sceneggiatura dandogli una struttura a gironi, dantesca, che probabilmente era già nell'idea di De Sade. Gli ho dato questa verticalità, poi lavorando Citti si è disamorato e io invece me ne innamoravo, e l’illuminazione è stata l’idea di trasportare Sade nel 1944 a Salò e ho visto la coreografia fascista. È stato lo schema formale, l’idea del film che non è esprimibile a parole». Stando a tutti i racconti d’epoca, la lavorazione è serena e persino divertente. L’aiuto regista Umberto Angelucci: «Lì l’ho visto divertirsi sul set con la troupe, precedentemente non era così. Durante questo film una volta mi disse che era molto in dubbio se fare più film, poi però aggiunse che probabilmente no, avrebbe continuato, ‘perché quello che mi mancherebbe è il contatto con queste persone tutte diverse che formano la troupe’» (Faldini-Fofi 3, p. 13). (...)
L’allegria sul set si traduce nella tremenda angoscia della visione. Rivedere Salò per scrivere queste righe è stata un’esperienza terribile. Non tanto per ciò che il film mostra – estremo nel 1975 e quasi «normale» oggi, dopo decenni di cinema splatter – quanto per lo stato d’animo che comunica. Salò è il film di un artista (di un uomo) disperato per il mondo che lo circonda. |
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