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LUIGI COMENCINI, IL REGISTA DELL'INFANZIA Incompreso (Italia 1966) |
Un classico del melodramma strappalacrime, diretto con molto pudore e garbo da un Comencini in ottima forma. Il film è tratto da un romanzo della scrittrice inglese Florence Montgomery che lessi anch’io durante la mia infanzia, e pur con vari accorgimenti legati al cambio di ambientazione (la storia originale si svolgeva in Inghilterra nel XIX secolo), le dinamiche della trama sono rimaste le stesse.
Al centro della vicenda un console inglese a Firenze rimasto prematuramente vedovo con due figli a carico, di cui trascura il primo, in realtà molto bisognoso delle sue attenzioni e del suo affetto, e vizia un po’ troppo il secondo, una piccola peste capace di combinare solo guai a catena, anche se il padre tende a prendersela, puntualmente, con il primogenito. Una delle migliori qualità del film è quella di aver posto al centro della scena due bambini credibili, osservati dall’occhio della cinepresa nei loro rituali quotidiani, nei loro giochi, ma per quanto riguarda Andrea anche nel suo disperato tentativo di stabilire una comunicazione autentica col padre, tentativo destinato continuamente a fallire, tranne nel tragico finale. La figura del padre, dal canto suo, funziona perché non è mai caratterizzata come un classico “cattivo”, ma semplicemente come un uomo sofferente per la morte della moglie che si trova impreparato a gestire la responsabilità di crescere da solo due figli e commette una serie di errori, più per superficialità che per cattiveria. Il contributo degli attori risulta importante, così come l’attenta direzione del regista: Anthony Quayle è assai misurato e convincente nel ruolo del console, i due bambini sono bravi, in particolare Stefano Colagrande nel ruolo di Andrea, un’interpretazione sensibile e ricca di sfumature da annoverare fra le migliori interpretazioni di un attore bambino del cinema italiano (in seguito Colagrande ha abbandonato completamente lo schermo per dedicarsi alla professione di medico).
Certo, soprattutto nell’ultima parte è inevitabile che lo spettatore si sciolga in lacrime, ma mi sembra che Comencini abbia sempre rispettato i limiti del buon gusto e della sensibilità di un autentico “cinema popolare” che oggi non esiste più; rispetto ad altri film analoghi di quegli anni che puntarono sul patetismo come “Love story”, “Incompreso” ne esce vincente. Da menzionare la fotografia di Armando Nannuzzi vincitrice di un Nastro d’Argento e la colonna sonora di Fiorenzo Carpi, con un ricorrente tema musicale impregnato di malinconia che contribuisce molto all’atmosfera piuttosto triste di diverse sequenze; per contrasto, però, la scena della gita in bicicletta a Firenze per comprare il regalo di compleanno al padre è commentata da una musica molto allegra e vivace, sempre perfettamente funzionale.
Insieme a “Le avventure di Pinocchio” resta il più bel film sull’infanzia del regista, bravo quasi come Truffaut a descriverci gioie e dolori di quel periodo fondamentale della vita di una persona.
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LUIGI COMENCINI, IL REGISTA DELL'INFANZIA Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (Italia 1969) |
Sul Casanova, il seduttore veneziano, si son girati almeno una dozzina di film. Il più celebre è, lecitamente, quello di Federico Fellini, datato 1976 e con Donald Sutherland nei panni di Giacomo, ma curiosa è anche l’operazione di Steno del 1955 con Gabriele Ferzetti protagonista. Questa di Luigi Comencini è una delle sue opere più ingiustamente sottovalutate, un ritratto del giovanissimo Casanova, come recita il wertmulliano titolo. L’infanzia è raccontata con dovizia di particolari, interesse e partecipazione dal regista che più di ogni altri riusciva ad entrare nell’animo dei bambini e a guardare con i loro occhi le contraddizioni e gli accadimenti che avvengono nel mondo circostante. La parabola del piccolo Casanova, cresciuto con la nonna e trascurato dalla superficiale madre, lo vede passare dai canali della Serenissima decadente e sfarzosa alla Padova universitaria e pedagogica, e ha come figura fondamentale quella del maestro che se lo piglia a cuore e lo indirizza verso una carriera ecclesiastica, l’unica che un poveraccio come lui può intraprendere se vuole farsi una posizione invidiabile. E già si presentano i primi segni di una certa tendenza carnale e passionale.
La prima parte del racconto si chiude così e ritroviamo il non più piccolo Giacomo inviato a Venezia come abatino da un burbero prete. La vocazione, inizialmente pensiamo sia più che altro cristiana. Viene quindi incaricato di assistere un vecchio nobiluomo sporcaccione e inizia a frequentare il jet set veneziano. Saranno l’incontro, piuttosto carnale, con una nobildonna annoiata e assai frivola e con una novizia monachella a far emergere in lui i bollenti spiriti del sesso, ancora affrontato come un gioco, finché non diventerà una debolezza che lo porterà ad abbandonare l’abito talare per dedicarsi alla più libera carriera di libertino. Eccola la vera vocazione, e le conseguenti prime esperienze (anche congressi carnali a tre). Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano è un racconto di formazione pudico e sincero, spiritoso e non privo di ironia pungente e quasi dissacrante. C’è tutto Comencini in questo film poco conosciuto e poco visto che andrebbe veramente rispolverato e rivalutato: c’è il Comencini regista dei bambini (da La finestra sul Luna Park a Incompreso), ispirato e appassionato; c’è quello più “commedia all’italiana” (la lotta di classe de Lo scopone scientifico); c’è quello delle “prime esperienze” e dei primi turbamenti (il carabinierino di Pane, amore e fantasia); c’è il tono fiabesco nel disegno di certi personaggi (da Le avventure di Pinocchio); e c’è quella sagace ironia parodistica che il maestro di Salò infondeva in ogni sua commedia (come Mio Dio come sono caduta in basso!).
È un film completo, forse non perfetto, ma certamente tra i migliori di Comencini. Scritto dalla sempre fida Suso Cecchi D’Amico, l’opera può anche vantare una splendida cornice artistica che ha come principale artefice il costumista e scenografo Piero Gherardi, ma pure le musiche pimpanti e decadenti di Fiorenzo Carpi meritano un applauso. Leonard Whiting, il Romeo del film di Zeffirelli, che salta di qualche secolo rispetto alla tragedia degli amanti di Verona, ma si ferma nella stessa regione, si diverte non poco e ha il giusto fascino per impersonare il giovane seduttore. Un variegato e vasto cast di comprimari, nel quale spiccano il bonario Lionel Stander, le belle e brave Maria Grazia Buccella, Senta Berger e Tina Aumont, il pacato Raoul Grasselli e la nonna Clara Colosimo.
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