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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 14:00
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Le meraviglie (2014) di Alice Rohrwacher |
Gelsomina è un'addolescente introversa che vive nella campagna umbra con i genitori e le sorelline. Primogenita tutelare e solerte nelle faccende familiari, Gelsomina è inquieta e vorrebbe andare via, scoprire il mondo che comincia dopo il suo casale. A trattenerla è un padre esclusivo e operaio, alla maniera delle sue api, che guarda a lei ancora come a una bambina. La loro routine, scandita dalle stagioni e dall'impollinazione delle api mellifere, è interrotta dalla presenza di una troupe televisiva e dall'arrivo di Martin, un ragazzino con precedenti penali che deve seguire un programma di reinserimento. L'esoticità di una conduttrice tv e di un adolescente senza parole impatteranno la vita di Gelsomina e della sua famiglia, promettendo ciascuno a suo modo 'meraviglie'. L'estate intanto sta finendo e una nuova stagione è alle porte.
Truffaut diceva che "l'adolescenza lascia un buon ricordo solo agli adulti che hanno una pessima memoria" ma quella di Gelsomina sembra essere una stagione felice, condivisa con la natura e una famiglia anarchica che parla italiano, tedesco e francese. Figlia di Wolfgang e di Angelica, la giovane protagonista di Alice Rohrwacher, conferma il coinvolgimento della regista per quell'età delicata di cui coglie ancora una volta la gravità rispetto alla futilità della vita adulta. Perché l'adolescenza porta con sé la scoperta dell'ingiustizia, dell'impunità dell'adulto, a cui tutto è permesso, anche un cammello in giardino. Di contro, una ragazzina che rovescia il miele nel tentativo di rendersi utile, crede di aver commesso un delitto, di aver deluso il padre, referente mitizzato e maschile dei suoi pochi anni. Ma l'ora del distacco suona e arriva con Martin, un piccolo amico che le corrisponde e che la corrisponderà.
Delicato e sensibile, lo sguardo di Alice Rohrwacher si infila in quella relazione, realizzando una nuova cronaca dell'adolescenza dopo quella di Marta, corpo celeste dentro un paesaggio urbano depresso e fanaticamente osservante. Il talento dell'autrice, rivelato nel suo primo lungometraggio e negli interstizi di una Calabria miserabile e bigotta che simulava interesse per la formazione spirituale dei sui figli, si riconferma ne Le meraviglie e dentro un paesaggio rurale che esalta la sua vocazione documentaristica.
Attraverso gli occhi di Gelsomina contempliamo una comunità 'dissidente' che si è ritirata in una dimensione bucolica, dove produce miele, insaccati, marmellate, salse di pomodoro e prova a resistere al mondo fuori. Un mondo che prende la parola e il microfono per mezzo della televisione regionale e naïf, dei suoi concorsi a premi, le coreografie rudimentali, le melodie stupide, le promesse di fare meraviglie per la gente del luogo. Ma la vera meraviglia è assicurata dalle api di Wolfgang e dischiusa dalla bocca acerba di Gelsomina, che ha il nome di un fiore e come un fiore è richiamo per le api.
Indeciso nella prima parte sulla strada da percorrere, Le meraviglie è intuito e afferrato dagli sguardi di Alexandra Lungu e Sam Louwyck, figlia e padre riconciliati in un campo e controcampo che rinnamora e annulla la distanza. Ramingo sulla natura e sugli ambienti, il film aderisce progressivamente al personaggio centrale, Gelsomina, ormai aliena alla sua 'comunità' e pronta a salpare per l'isola che c'è e ha il volto di Martin e di una nuova età. Wolfgang, preferendo finalmente farsi amare che temere, la 'reintegra' in seno alla famiglia, ammirando la giovane donna che è diventata dentro una notte chiara. Per loro è il tempo della comprensione, è il conseguimento della complementarietà: Gelsomina è uguale a suo padre, Gelsomina è diversa da suo padre. È un corpo che spinge alla vita ma spinge a suo modo. A papà non resta che guardarne la bellezza, accettando la legge irreversibile delle stagioni.
Scheda film |
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PRODUZIONE | Italia, Svizzera, Germania | ||
ANNO | 2014 | ||
DURATA | 110' | ||
COLORE | Colore | ||
AUDIO | Dolby Digital | ||
RAPPORTO | 1.85:1 | ||
GENERE | Drammatico | ||
REGIA | Alice Rohrwacher | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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SCENEGGIATURA |
Alice Rohrwacher | ||
PRODUZIONE | Pandora Filmproduktion, Rai Cinema | ||
MUSICHE | Piero Crucitti | ||
PREMI | Festival di Cannes 2014: Grand Prix Speciale della Giuria | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 13:00
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Sacro GRA (2013) di Gianfranco Rosi |
Intorno al grande raccordo anulare di Roma (GRA) si svolgono diverse esistenze. Un nobile piemontese decaduto che vive con la figlia in un appartamento in periferia (accanto ad un dj indiano), un pescatore d'anguille, un esperto botanico che combatte per la sopravvivenza delle palme, un paramedico con una madre affetta da demenza senile, delle prostitute transessuali, un nobile che vive in un castello affittato come set per fotoromanzi, alcuni fedeli che osservano un'esclisse al Divino Amore attribuendola alla Madonna e delle ragazze immagine di un bar.
Nonostante sia raccontato in maniera non lineare, incrociando le diverse storie che il regista ha scelto di seguire, Sacro GRA appare come un road movie che non attraversa nulla, come se il regista avesse solcato un territorio fermandosi in diversi punti per documentarne l'eterogeneità. Invece è un cerchio il percorso battuto in due anni di lavorazione, tragitto che per antonomasia non conduce a nulla ma collega tutto.
Intorno alla mastodontica struttura che racchiude Roma Rosi ha studiato l'elemento umano, come sempre avviene nei suoi documentari che partono da un paesaggio per indagare i suoi abitanti. In questo caso il paesaggio umano che si muove nel paesaggio urbano a pochi metri dal raccordo, visto attraverso il montaggio che il regista fa delle decine di ore di materiale girato, diventa un paesaggio cinematografico.
Se il cinema di finzione ha la capacità di fondare la mitologia dei luoghi realmente esistenti in cui sceglie di ambientare le sue storie, Sacro GRA scarta subito la soluzione più semplice solitamente lasciata ai documentari e riprende pochissimo il raccordo in sè. Sono gli uomini a definire il luogo e non viceversa, un'umanità assurda, paradossale e imprevedibile. Persone e caratteri che la realtà sembra ereditare dal cinema (tanto che ci si chiede cosa si sia ispirato a cosa).
Si fa infatti fatica ad accettare la realtà documentaristica delle storie di Sacro GRA tanto il loro svolgersi pare in linea con i dettami e gli stilemi dei generi del cinema. Alcuni segmenti ricordano le commedie italiane anni '50, altri hanno personaggi che parlano di "antipasti della vendetta" e di attacchi come in un film di guerra, altri sono apertamente grotteschi e caricaturali, altri ancora non disdegnano il dramma intimista della vecchiaia o il kammerspiel, con una finestra a fare da frame nel frame.
In ogni caso è la capacità fuori dal normale di Gianfranco Rosi di posizionare la videocamera (quindi scegliere il suo punto di vista sugli eventi) a provocare la trasfigurazione del reale in mitologia del cinema. Come se fosse andato ai confini del mondo (e invece, lo si ripete, ha solo girato in tondo) Rosi riesce a distruggere ogni convenzione documentarista per trovare il cinema nella realtà attraverso lo sguardo e raccontare così il paesaggio umano più vicino a noi (dopo i narcos di El sicario e i messicani di Below sea level).
Nato ad Asmara, con nazionalità italiana e americana, nell'85 si trasferisce a New York dove studia alla New York University Film School. Il suo primo mediometraggio, Boatman, risale al 1993 e viene presentato in vari festival internazionali. In seguito presenta alla Mostra del Cinema di Venezia Afterwords, nel 2001, e Below Sea Level, nel 2008, che si aggiudica i premi Orizzonti e Doc/It. Il film vince anche il premio come miglior documentario al Bellaria Film Festival, i Grand Prix e il Prix des Jeunes al Cinéma du Réel del 2009, il premio per il miglior film al One World Film Festival di Praga, il Premio Vittorio De Seta al Bif&st 2009 per il miglior documentario ed è nominato come miglior documentario all'European Film Awards 2009.
Del 2010 è invece il lungometraggio El sicario - Room 164, film-intervista su un sicario messicano che vince diversi premi. Dirige inoltre varie pubblicità progresso, ma il successo vero e proprio arriva nel 2013, quando il suo documentario Sacro GRA, che racconta vite difficili intorno al Grande Raccordo Anulare di Roma, vince il il Leone d'oro al miglior film alla 70ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Da http://www.mymovies.it
Scheda film |
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PRODUZIONE | Italia, Francia | ||
ANNO | 2013 | ||
DURATA | 90' | ||
COLORE | Colore | ||
AUDIO | Sonoro | ||
RAPPORTO | |||
GENERE | Documentario | ||
REGIA | Gianfranco Rosi | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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SOGGETTO | Lizi Gelber da un'idea originale di Nicolò Bassetti | ||
PRODUZIONE | Marco Visalberghi, Carole Solive, Dario Zonta, Lizi Gelber (produttore associato) DocLab, La Femme Endormie, Rai Cinema |
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FOTOGRAFIA | Gianfranco Rosi | ||
MONTAGGIO | Jacopo Quadri | ||
PREMI | Mostra internazionale del cinema di Venezia 2013. Leone d'oro al miglior film | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 12:00
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Le quattro volte (2010) di Michelangelo Frammartino |
Se l'idea di bellezza è sempre più assoggettata alla vistosità dell'oggetto che ci troviamo davanti, ecco spiegato il perché della bellezza paesaggistica come corrispettivo della grande e imponente città e l'abolizione di archetipi in via d'estinzione.
L'occhio si lascia crogiolare da una pigrizia incapace di scavare a fondo, di cogliere la bellezza nella complessità della vita quotidiana. Lasciando al proprio flusso arcaico i luoghi nascosti che ancora conducono una esistenza fuori dal tempo. Da una parte lo sguardo continua a catturare soltanto ciò che gli è immediato, trascurando l'essenzialità delle cose, dall'altro il luogo incontaminato, non sottomesso alle esigenze inquinanti della moderna società dei consumi, conserva la propria connotazione primitiva.
Ma l'ignavia dell'occhio riguarda anche la visione cinematografica, disabituata alla pazienza del saper vedere, preferendo subire l'immediatezza di ciò che ci viene scaraventato addosso.
"Le quattro volte" si situa in un territorio "marginale" della Calabria. Un microcosmo che pare fuori dal mondo e che, invece, conserva il contatto più stretto con l'essenza stessa della natura. Che crea una parabola sul tempo dove il tempo sembra invece essersi fermato da decenni.
Il milanese Frammartino aveva già ambientato il suo precedente e già interessante primo film, "Il dono", in Calabria, luogo di nascita dei suoi genitori. Sondando il terreno per questa sua opera seconda si è imbattuto in quattro possibili personaggi, quattro entità vicine e lontane: il vecchio pastore, il capretto bianco, un grande abete, il carbone.
Suggerendo la possibilità di rendere protagonista di un film un animale o un qualsiasi elemento naturale, contemplando la natura e la natura delle cose, il film può essere suddiviso in quattro storie a sé stanti. Con dei lunghi piani sequenza che nella loro quiete colgono l'imprevedibilità della vita (non mancano i momenti ironici), Frammartino ci ricorda tradizioni e luoghi dimenticati, offrendoci una visione poetica sui cicli della vita. Ma a ben vedere il film non si ferma qui: vuole andare oltre, chiedendo complicità a spettatori attenti, disposti ad unire i tasselli ed erigere un'architettura che possa essere al contempo antropologica e filosofica.
Partendo da una frase attribuita a Pitagora, secondo la quale in ogni essere ci sarebbero quattro vite distinte ma incastrate l'una dentro l'altra (minerale, vegetale, animale e razionale), i quattro stadi del film vivono di una sola anima, destinata a passare ciclicamente da entità a entità, reincarnandosi, consumandosi e rinascendo.
Senza l'utilizzo di parole né di musica, ma con un fondamentale tappeto sonoro che cattura il respiro della natura, è un'opera metafisica e antropologica, concreta e fantascientifica. Offrendo allo spettatore il compito di decifrare, comporre e riempire il suo cammino, "Le quattro volte", ideale incrocio tra Franco Piavoli e Bèla Tarr, è un cinema geometrico ma spontaneo.
Assemblando e rispettando le sue idee, Michelangelo Frammartino vola alto.
Scheda film |
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PRODUZIONE | Italia, Germania, Svizzera | ||
ANNO | 2010 | ||
DURATA | 88' | ||
COLORE | Colore | ||
AUDIO | Dolby Digital | ||
RAPPORTO | 1,85 : 1 | ||
GENERE | Drammatico | ||
REGIA | Michelangelo Frammartino | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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SCENEGGIATURA | Michelangelo Frammartino | ||
PRODUZIONE | Vivo Film, Essential Filmproduktion, Invisibile Film, Ventura Film |
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FOTOGRAFIA | Andrea Locatelli | ||
MONTAGGIO | Benni Atria, Maurizio Grillo | ||
SCENOGRAFIA | Matthew Broussard | ||
COSTUMI | Gabriella Maiolo | ||
PREMI | Michelangelo Frammartino ha vinto il Grand Prix del Festival del cinema italiano di Annecy e il Nastro d'argento speciale «per il realismo poetico e le emozioni di un film sorprendente» | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 11:00
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Teorema Venezia (2012) di Andreas Pichler |
Un abisso sempre più profondo divide la Venezia turistica dalla Venezia di chi vi abita e lavora. Da un lato, il numero di turisti va aumentando, rendendo la città invivibile, soprattutto nella stagione turistica. Dall'altro, Venezia si sta via via spopolando a causa degli affitti troppo cari, dell'acqua alta e della mancanza di servizi. Teorema Venezia racconta le due facce di questa città attraverso le vite e i racconti di chi la conosce intimamente, ovvero i veneziani DOC.
Come s’intuisce dal sottotitolo del documentario di Andreas Pichler, regista altoatesino, Venezia ormai è spacciata. Non lo dice l’autore, ma i personaggi protagonisti del documentario, ovvero persone che conoscono bene la città e che rischiano di condividere la stessa sorte. Un agente immobiliare, una scrittrice solitaria e nostalgica, una guida turistica, un trasportatore e un gondoliere in pensione: sono questi i veneziani in via di estinzione di cui tanto si parla, ma che raramente si riesce ad avvistare. Teorema Venezia, invece, ce li fa conoscere intimamente, mostrando le difficoltà quotidiane del vivere in una città assediata da orde di turisti, sgretolata dal moto ondoso e molto spesso resa impraticabile dall’acqua alta.
Il documentario si apre con le riprese accelerate della folla che, ogni giorno che Dio manda in terra, brulica in piazza San Marco o si accalca sul ponte della Paglia per scattare frettolosamente una foto al ponte dei Sospiri. Frettolosamente perché i turisti che fanno tappa a Venezia al giorno d’oggi sono ben diversi dai viaggiatori del Grand Tour, che passavano settimane, se non mesi, nella città, vale a dire il tempo necessario per visitare l’enorme centro storico e le isole della laguna. I turisti che le grandi navi vomitano alla stazione marittima hanno a disposizione un giorno per “visitare” la città. Mentre le guide turistiche cercano di penetrare la spessa cortina di superficialità dei loro ascoltatori americani, russi e giapponesi, i turisti, in canottiera e pantaloncini, pensano a collezionare fotografie nei luoghi simbolici della città. A trarne vantaggio sono in molti, dai titolari di bancarelle di souvenir di cattivo gusto e negozi di paccottiglia di vetro agli albergatori, dai gondolieri alle società di navigazione.
L’autore, però, mostra la catastrofe in atto attraverso la vita quotidiana dei personaggi, persone comuni che, per la loro stoica resistenza in una città carissima e abbandonata dalle istituzioni, possono benissimo aspirare allo status di eroi. Chi abita a Venezia si trova così a vivere in una situazione paradossale: da un lato, la città sprofonda sotto il peso di migliaia di turisti, dall’altro, chiudono uffici postali, reparti ospedalieri e negozi alimentari, esattamente come nei paesi di montagna. Di conseguenza, chi può scappa, in particolare i giovani. I protagonisti del documentario lo sanno bene, in particolare il trasportatore, il cui lavoro spesso lo porta ad andare a ritirare i mobili dei veneziani che traslocano in terraferma, spinti dal problema del caro affitti. Anche qui, Venezia è patria di un paradosso senza eguali, per cui case vendute o affittate a prezzi da capogiro hanno in realtà gravi problemi di staticità o sono destinate a sgretolarsi a causa del moto ondoso e di restauri deleteri. Il documentario ad un certo punto mostra chi sono gli acquirenti delle case lasciate vuote dai veneziani. Sono gli impresentabili frequentatori del ballo del doge, spettacolo tanto elitario quanto kitsch che ha luogo durante il carnevale in un lussuoso palazzo veneziano. La scena suscita – come molte altre del documentario, d’altronde – profonda indignazione, perché, appunto, si tratta di un documentario, anche se il tono è lo stesso della feste de La grande bellezza di Sorrentino. Così come sono realtà le navi colossali che rischiano di causare un danno catastrofico per concedere ai turisti il lusso di vedere il bacino di San Marco direttamente dalla suite.
Più pessimista di Sei Venezia, Teorema Venezia condivide con il documentario di Carlo Mazzacurati lo sguardo poetico e dolente, riuscendo però a suscitare anche rabbia e volontà di correre in aiuto di una città che è l’epitome dell’Italia stessa.
Da http://www.storiadeifilm.it
Scheda film |
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TITOLO ORIGINALE | Das Venedig Prinzip | ||
PRODUZIONE | Italia, Austria, Germania | ||
ANNO | 2012 | ||
DURATA | 80' | ||
COLORE | Colore | ||
AUDIO | Sonoro | ||
RAPPORTO | |||
GENERE | Documentario | ||
REGIA | Andreas Picheler | ||
SOGGETTO | Andreas Pichler, Thomas Tielsch | ||
SCENEGGIATURA | Andreas Pichler, Thomas Tielsch | ||
PRODUZIONE | Thomas Tielsch, Filmtank Hamburg (D), Golden Girls (A) | ||
FOTOGRAFIA | Attila Boa | ||
MONTAGGIO | Florian Miosge | ||
MUSICHE | Jan Tilman Schade | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 10:00
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L'aquila solitaria (1957) di Billy Wilder |
Nella lista dei migliori film di tema aeronautico ognuno mette il suo preferito, ma quello di cui parliamo ora può, a pieno titolo, entrare in quasi tutte le graduatorie di questo genere, perché L’aquila solitaria, (The Spirit of St. Louis), del 1957 è uno dei più bei film d’aviazione di tutti i tempi.
La storia narra l’impresa aeronautica forse più famosa di tutti i tempi: quella del primo volo senza scalo fra America ed Europa pilotando in solitaria un piccolo apparecchio monomotore attraverso l’Atlantico. Nel 1927 il mondo è in fermento: viene messo in palio dal mecenate Raymond Orteig (imprenditore alberghiero franco-americano), un premio di 25.000 dollari al primo aviatore che attraverserà l'Atlantico da New York a Parigi senza scalo. La traversata del successo sarà di poco meno di 34 ore, risulterà lunga e terribile per la stanchezza, gli attacchi di sonno, e il ghiaccio che si formerà sulle ali, ma nonostante tutto Charles Lindbergh riuscirà felicemente ad arrivare a Parigi.
La pellicola fu prodotta dalla Leland Hayward Productions e dalla Billy Wilder Productions (con il nome A Leland Hayward-Billy Wilder Production) per la Warner Bros. Pictures. Alla regia di Billy Wilder si aggiunse la scelta per interpretare il ruolo del protagonista di James Stewart, non solo stella di prima grandezza di Hollywood ma anche aviatore pluridecorato nella seconda guerra mondiale.
La sceneggiatura del film si basò direttamente sul libro di Lindbergh che raccontava l’impresa, del quale Wilder acquistò i diritti (WE di Lindbergh, Charles Agustus, editore G.P.Putnam's Sons, Publishers, New York) per circa 200.000 dollari. Il titolo molto ermetico in una successiva edizione sarà spiegato meglio: WE - Pilot and Plane. Il libro uscito solo nel 1953 vinse il premio Pulitzer nel 1954.
Nella pellicola il regista adotterà lo stesso schema del racconto di Lindbergh, tutto il volo minuto per minuto interrotto da molti flash back sulla vita del protagonista. L’opera spazia ampiamente sulle vicende aeronautiche ma è estremamente superficiale sulla vita privata. Le carenze del libro saranno riproposte dal film, forse per le ferree clausole del contratto.
Charles Lindbergh nasce a Detroit, sarà chiamato “l'aquila solitaria” dopo il successo della trasvolata. L’aviatore statunitense di origine svedese, fu capace, nel 1927, di compiere, in 33 ore e 40 minuti, il primo volo senza scalo attraverso l’Atlantico settentrionale, pilotando lo Spirit of St. Louis, un monomotore da 220 cavalli costruito dalla ditta Ryan. Grazie a questa impresa, il ragazzo di Detroit diventa il simbolo della modernità. Ovunque, da New York a Londra, da Berlino a Bombay, si parla di Lindbergh come di un eroe.
Il film fu girato a San Diego e a Santa Maria, in California, sull’aeroporto Zahn di Amityville presso New York ed in Francia presso l’aeroporto di Guyancourt che rappresentava il Le Bourget del 1927. Per le riprese aeree ci si affidò al mitico Paul Mantz che effettuò molte delle riprese aeree col suo B-25 The Smasher. Il Ryan NYP (acronimo di New York-Paris) N.X.211, sempre a cura di Paul Mantz, fu replicato con tre aerei appositamente restaurati in condizioni di volo, utilizzati nelle riprese delle varie fasi del volo record. Mantz si occupò anche di raccogliere tutti i mezzi ancora volanti per le riprese degli altri episodi della vita di Lindbergh.
Le spese per girare la pellicola ammontarono a più di sei milioni di dollari, mentre al botteghino gli incassi non superarono i 2,6 milioni. Eppure Billy Wilder era reduce da una lunga serie di successi, James Stewart non poteva fare male sebbene avesse un’età molto diversa rispetto al personaggio da interpretare, grandi studios erano a sostenere l’adattamento del libro di un personaggio che aveva avuto da poco il premio Pulitzer. Sembrava un progetto a prova di bomba. Jack Warner spese il resto della vita a domandarsi come un progetto così sicuro potesse aver fallito.
Ebbene, un'ipotesi che molti hanno a questo proposito avanzato è che, nonostante la straordinaria veridicità, dovuta anche alla splendida interpretazione di James Stewart il film non ottenne il successo sperato perché il Lindbergh reale era un personaggio molto noto, ma anche non troppo simpatico. In definitiva però, a dispetto dello scarso successo di pubblico e di critica che ebbe all'epoca dell’uscita, è certamente un bel film. '
Di particolare rilievo, il monologo di Stewart, che interpreta con la solita passione e professionalità il personaggio dell'aviatore solitario. Per parte sua, la regia di Billy Wilder riesce abilmente a vincere la sfida del monologo confinato nel piccolo abitacolo dell'aeroplano, dove si svolge gran parte della storia.
Da http://www.manualedivolo.it
Scheda film |
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TITOLO ORIGINALE | The Spirit of St. Louis | ||
PRODUZIONE | Stati Uniti | ||
ANNO | 1953 | ||
DURATA | 135' | ||
COLORE | Colore (WarnerColor) | ||
AUDIO | Sonoro Mono (RCA Sound Recording) | ||
RAPPORTO | 2,35 : 1 | ||
GENERE | Avventura. Storico | ||
REGIA | Billy Wilder | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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DOPPIATORI ITALIANI |
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SOGGETTO | dal libro di Charles Lindbergh | ||
SCENEGGIATURA | Billy Wilder e Wendell MayesCharles Lederer (adattamento) | ||
PRODUZIONE | Leland Hayward | ||
FOTOGRAFIA | Robert Burks, J. Peverell Marley | ||
MONTAGGIO | Arthur P. Schmidt | ||
MUSICHE | Franz Waxman (musiche originali) | ||
SCENOGRAFIA | Art Loel William L. Kuehl (arredatore) | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 09:00
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Amelia (2009) di Mira Nair |
Ci piace ricordare una protagonista assoluta dell’aviazione mondiale.
Nata il 24 luglio del 1897 ad Atchinson, nel Kansas, Amelia Earhart è riuscita, nel corso della sua breve esistenza a lasciare un segno indelebile nella storia dell’umanità, tanto da essere paragonata da alcuni a una sorta di rockstar dei cieli.
Non può certo stupire, del resto, il fatto che pilotare un aereo agli inizi del secolo scorso potesse essere considerato un’impresa piuttosto audace, soprattutto se, ai comandi, vi fosse una donna. Tant’è vero che, a poco meno di un secolo, permangono residui di pregiudizi e, nonostante il numero delle donne in aviazione sia notevolmente cresciuto negli ultimi anni, siamo ancora ben lontani da un’auspicabile situazione di parità tra i sessi.
La storia di Amelia Earhart, meglio nota come Amelia, è legata al Mito in senso classico. Lo stesso che insegna che, in fin dei conti, le storie dell’umanità sono sempre le stesse. Prima e dopo Icaro. Il bisogno primordiale di esplorare e sfidare i limiti della Natura, quello di vivere in modo estremo per sentirsi più vivi, è non a caso il tema portante del film biografico Amelia di Mira Nair con Hillary Swan in veste di protagonista.
Purtroppo, all'epoca della sua uscita, la pellicola fu massacrata dalla critica, che non ne comprese la forza. Il film merita però di essere visto, soprattutto dagli appassionati di aviazione, non perché sia particolarmente attendibile da un punto di vista filologico, quanto piuttosto perché fornisce un quadro emozionante di una passione totalizzante e contagiosa.
Detentrice di numerosi record, nel 1928, Amelia è la prima donna ad attraversare l’Atlantico, a bordo di un Fokker F7 pilotato da Stultz e Gordon. Non contenta, quattro anni più tardi, decolla da Terranova ai comandi del suo aereo, per una traversata di quattordici ore e cinquantasei minuti che si conclude con l’atterraggio a Londonderry, nell’Irlanda del Nord, prima donna ad effettuare una trasvolata oceanica in solitaria.
Purtroppo, la sfida successiva, quella di essere la prima donna a compiere il giro del mondo al comando di un aereo, le sarà fatale. Si perderanno le sue tracce a circa settemila miglia dal conseguimento del suo obiettivo.
Nell'ottobre 2014, dopo 77 anni, su un piccolo atollo disabitato dell’Oceano Pacifico denominato Nikumaroro, sono stati ritrovati dei resti ossei attribuiti all’aviatrice, ponendo così fine, chissà, a numerose leggende, tra cui l’ipotesi lanciata nel 2008 dal documentario del National Geographic Where’s Amelia Earhart? secondo cui sarebbe caduta vittima dei giapponesi, imprigionata con l’accusa di essere una spia.
In base a questi ritrovamenti, l’aviatrice potrebbe essere riuscita a sopravvivere a un ammaraggio, per poi spegnersi nell’isola deserta a causa delle condizioni di vita estreme. Ancora una volta, in realtà, un interrogativo che non può che alimentare la leggenda.
Nel corso degli anni successivi alla sua morte, Amelia Earhart ha ricevuto vari tributi, non soltanto in ambito cinematografico. Sicuramente degna di nota, l’interpretazione di Joni Mitchell della canzone Amelia nel live album del 1980 Shadows and Lights, curioso esempio di incrocio di destini con un’altra rockstar, il bassista Jaco Pastorius, considerato il più grande di tutti i tempi, presente nella line up del leggendario concerto e prematuramente scomparso qualche anno dopo.
Nella sua canzone, Joni Mitchell esordisce con una bella metafora: le scie lasciate da sei aerei nel cielo non sono altro che le corde di una chitarra... la stessa che suona l’ormai eterno tributo a una grande donna misteriosamente scomparsa.
Proprio come una scia nel cielo.
Da http://www.manualedivolo.it
Scheda film |
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TITOLO ORIGINALE | Amelia | ||
PRODUZIONE | Stati Uniti | ||
ANNO | 2009 | ||
DURATA | 135' | ||
COLORE | Colore | ||
AUDIO | Dolby Digital | ||
RAPPORTO | 2,35 : 1 | ||
GENERE | Biografico, Drammatico | ||
REGIA | Mira Nair | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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DOPPIATORI ITALIANI |
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SOGGETTO | Susan Butler, Elgen Long, Mary Lovell | ||
SCENEGGIATURA | Ronald Bass, Anna Hamilton Phelan | ||
PRODUZIONE | Lydia Dean Pilcher, Ted Waitt | ||
FOTOGRAFIA | Stuart Dryburgh | ||
MONTAGGIO | Allyson C. Johnson | ||
MUSICHE | Gabriel Yared | ||
SCENOGRAFIA | Stephanie Carroll | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 08:00
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Le ali delle aquile (1957) di John Ford |
Nel 1919 l’ufficiale di marina e pilota Frank W. ”Spig” Wead (Wayne), ottimo elemento della marina americana, impara a volare, perché capisce che il futuro delle azioni navali dipende anche degli scontri aerei. Ma questo impegno intacca il matrimonio con Min (O’Hara). In seguito sacrifica la propria vita per l’aeronautica militare americana e pubblicizza il ruolo dell’aviazione all’interno della marina militare: paralizzato da un incidente capitato in famiglia (di cui si riprenderà solo parzialmente) si dedica alla scrittura, diventando lo sceneggiatore di Hollywood e poi consulente del governo, fino a quando la sua infermità lo spinge a ritirarsi.
Appassionante e commovente ritratto di una celebrità americana (nato nel 1895 e morto nel 1947), scrittore, giornalista e soprattutto sceneggiatore di Capra (“Dirigibile”), George Hill (“I demoni dell’aria”), Hawks (“Brume”), King Vidor (“La cittadella”) e Ford (“I sacrificati”).
Il film mescola melodramma e film di guerra per raccontare come Wead sacrifica la propria famiglia in nome di una più grande famiglia, che è l’esercito e il suo ideale patriottismo, e che raggiungerà solo dopo una lunga serie di fratture, abbandoni e rifiuti. John Dodge, il personaggio interpretato da Ward Bond, è di fatto una rappresentazione di Ford stesso. Uscì nelle sale il 22 febbraio 1957.
Da http://www.ciakhollywood.comit
Scheda film |
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TITOLO ORIGINALE | The Wing of Eagles | ||
PRODUZIONE | Stati Uniti | ||
ANNO | 1957 | ||
DURATA | 110' | ||
COLORE | Colore Metrocolor | ||
AUDIO | Mono (Westrex Recording System) | ||
RAPPORTO | 1,37 : 1 | ||
GENERE | Biografico | ||
REGIA | John Ford | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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DOPPIATORI ITALIANI |
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SOGGETTO | Frank Fenton, Frank Wead, William Wister Haines | ||
SCENEGGIATURA | Frank Fenton, Frank Wead, William Wister Haines | ||
PRODUZIONE | MGM | ||
FOTOGRAFIA | Paul Vogel | ||
MONTAGGIO | Gene Ruggiero | ||
MUSICHE | Jeff Alexander | ||
SCENOGRAFIA | Malcom Brown | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 07:00
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Il trapezio della vita (1958) di Douglas Sirk |
Burke, che è un giornalista, entra in contatto con un pilota pluridecorato della Prima Guerra Mondiale e con la sua famiglia. Pilota eroe di guerra si guadagna da vivere esibendosi in rischiose gare aeree, girando il paese insieme alla moglie e ad un meccanico, innamorato perso della donna.
Frequentando il pilota e sua moglie, Burke si innamora della donna e al contempo scopre la vera natura del rapporto fra i coniugi. Quando il pilota muore, nel corso dell'ennesimo volo spericolato, Burke non esiterà a intervenire a tutela della sua amata.
Dal romanzo "Oggi si vola" di William Faulkner (che lo considerava il miglior adattamento di un suo romanzo).
Originale e pessimista, cupo e profondo. Bellissime le ambientazioni, la spettacolarità di alcune sequenze, la fotografia in bianco e nero e le ricostruzioni dell'epoca della Grande Depressione.
Cast importante tra cui spiccano Rock Hudson, la bellezza folgorante di Dorothy Malone e anche Christopher Olsen, il bambino rapito nel capolavoro hitchcockiano L'uomo che sapeva troppo.
Il difetto principale della pellicola è l'eccesso di drammaticità, che aggiunge assurdità a una storia tutto sommato prevedibile. Il buono sta nella magica professionalità degli attori, che esplode in un finale "eroico" molto ben scritto, oltreché recitato.
Da <http://www.manualedivolo.it
Scheda film |
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TITOLO ORIGINALE | The Tarnished Angels | ||
PRODUZIONE | Stati Uniti | ||
ANNO | 1958 | ||
DURATA | 91' | ||
COLORE | Black and White | ||
AUDIO | Mono (Westrex Recording System) | ||
RAPPORTO | 2,25 : 1 | ||
GENERE | Drammatico | ||
REGIA | Douglas Sirk | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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DOPPIATORI ITALIANI |
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SOGGETTO | William Faulkner (dal romanzo "Pylon") | ||
SCENEGGIATURA | George Zuckerman | ||
PRODUZIONE | Albert Zugsmith per Universal-International | ||
FOTOGRAFIA | Irving Glassberg (CinemaScope) | ||
MUSICHE | Frank Skinner, Joseph Gershenson | ||
- Dettagli
- Categoria: Cinema
- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 06:30
Nuovomondo (2006) di Emanuele Crialese |
Nella Sicilia degli inizi del Novecento, Salvatore fa un voto e chiede un segno al cielo: vuole imbarcarsi per il nuovomondo e condurre in America i figli e l'anziana madre. Il segnale è una cartolina di propaganda che ritrae minuscoli contadini accanto a galline giganti o a carote sproporzionate. Venduta ogni cosa posseduta, Salvatore lascia la Sicilia alla volta dell'America. Durante la traversata oceanica incontra la bella Lucy, una young lady che indossa il cappello ed è più elegante della figlia del sindaco del paese. Luce parla la lingua dell'America e cerca un compagno da impalmare per ritornarci da signora. Salvatore, da vero galantuomo, accoglie la sua avance. Il lungo viaggio approderà ad Ellis Island, l'isola della quarantena dove si decideranno gli ingressi e i rimpatri.
Non poteva scegliere un tempo migliore di questo, Emanuele Crialese, per ripercorrere la storia della migrazione italiana, indagando sulla genesi del pregiudizio che accompagna da sempre i fenomeni migratori e le dinamiche dell'inserimento nella società di accoglienza. Proprio oggi che l'Italia è il "nuovomondo", una meta ambita di immigrazione. La ricerca di una storia individuale dentro la Storia migratoria era già contenuta nei film precedenti, nell'Once we were strangers del debutto, storia di un siciliano a New York che sogna il sogno americano, e nel premiato e prezioso Respiro, storia di una isolana di Lampedusa che il paese vuole internare in una clinica del nord Italia.
L'esperienza migratoria italiana, interna (da Sud a Nord) o transoceanica, si compie con Nuovomondo, la storia di un viaggio oltremare alla ricerca della terra promessa. Quel viaggio, chiuso nel profondo di una nave mai ripresa in campo lungo, è compreso fra due sequenze potenti fino a togliere il fiato: la partenza del bastimento dal porto siciliano e lo sbarco bianco in America. La nave si stacca dalla terra arcaica strappando la composizione dell'inquadratura come i cuori di chi abbandona il vecchiomondo e le origini. In mezzo, la traversata fisica e interiore di personaggi spiegati unicamente dalle immagini, fino al bagno candido, arrestato dall'affiche, da cui i protagonisti emergono al nuovomondo e di nuovoalmondo.
Prima degli alberi carichi di monete, dei fiumi di latte e di una scatola che sale e scende da case che grattano il cielo, bisogna superare i test psicoattitudinali, un esame a carattere medico e amministrativo dal cui esito dipendeva l'accesso alla golden door del titolo internazionale. Gli edifici di Ellis Island raccoglievano e raccolgono nel film di Crialese una popolazione agraria e prevalentemente analfabeta, che come Salvatore fuggiva la fame, il tramonto dei vecchi mestieri artigiani o l'aggravarsi delle imposte sulle campagne del meridione. Alternando campi medi a primi piani, disciplinando anche le scene più spettacolari, come quella della tempesta tutta implosa nel ventre della nave, seguendo le linee del profilmico e le visioni surreali dei protagonisti, Crialese crea una sua idea di cinema, bagnata perennemente dal mare di Sicilia o dagli oceani del Nuovomondo. Una lezione di cinema che diventa lezione di vita perché rivela allo spettatore l'indesiderabilità dei nuovi venuti.
Ancora una volta, come è stato per la Golino in Respiro, a illuminare fin dal nome la traversata della vita è una donna, Luce, una straordinaria Charlotte Gainsbourg, che col suo cappello, i capelli rossi e l'accento inglese è anticipatrice del nuovo femminismo americano del secondo dopo guerra. È lei a formulare la proposta di matrimonio a Salvatore, senza credere neanche un momento che la felicità femminile si esaurisca nel ruolo di moglie e di madre. Lei è la donna moderna, la cui razionalità si scontra con la superstizione e le credenze assurde di Donna Fortunata, la madre di Salvatore rimpatriata perché considerata scarsamente intelligente. Lei è la terra madre che qualcuno ha lasciato, come Crialese, per ritornare e per fare più bella. Non solo al cinema.
Da http://www.mymovies.it
Scheda film |
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PRODUZIONE | Italia, Francia | ||
LINGUA ORIGINALE | Italiano, siciliano, inglese | ||
ANNO | 2006 | ||
DURATA | 114' | ||
COLORE | Colore | ||
AUDIO | Sonoro | ||
RAPPORTO | 2,35 : 1 | ||
GENERE | Drammatico | ||
REGIA | Emanuele Crialese | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
Vincenzo Amato: Salvatore Charlotte Gainsbourg: Lucy Aurora Quattrocchi: Donna Fortunata Francesco Casisa: Angelo Filippo Pucillo: Pietro Federica De Cola: Rita Isabella Ragonese: Rosa Vincent Schiavelli: Don Luigi Massimo Laguardia: Mangiapane Filippo Luna: Don Ercole Ernesto Mahieux: Dottor Zampino |
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SOGGETTO | Emanuele Crialese | ||
SCENEGGIATURA | Emanuele Crialese | ||
FOTOGRAFIA | Agnès Godard | ||
MONTAGGIO | Maryline Monthieux | ||
MUSICHE | Antonio Castrignanò | ||
SCENOGRAFIA | Carlos Conti | ||
COSTUMI | Mariano Tufano | ||
TRUCCO | Thomas Dowling | ||