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50 ANNI SENZA JUDY GARLAND
Il mago di Oz (1939)

 

Dalla soglia della casa sopravvissuta alla violenza del tornado, il Mondo di Oz si squaderna in un tripudio di verdi praticelli, placide ninfee, un ponticello lezioso, dolci montagne sul fondo. La macchina da presa accompagna lo stupore con un solenne movimento. Dorothy ha senz’altro ragione: “Toto, ho l’impressione che non siamo più nel Kansas”. L’abbiamo visto, il Kansas, nella prima inquadratura del Mago di Oz: una strada sterrata, circondata da un niente in bianco e nero, che conduce verso un orizzonte immobile e piattissimo. Anche l’autore delle fortunatissime pagine da cui il film è tratto, L. Frank Baum, in poche righe, ci fa intendere che lì tutto è grigio, pure le gote della zia.
Non ci è dato sapere se Dorothy sia l’unico personaggio variopinto, di certo è la sola a poter ambire a un paesaggio diverso. A questo riguardo, è ancor più chiaro il film: Somewhere over the Rainbow suona come l’invocazione a un mondo che irradi garrulo Technicolor. A Oz i colori sono troppo chiassosi, lussureggianti, acidi per sembrarci veri, così come i matte paintings che fingono immensi paesaggi in lontananza. Ci vuol poco, oggi, a definirli camp. Eppure il trucco funziona e il pubblico può condividere l’estasi di Dorothy, per quanto anche all’epoca non fosse nuovo né ai deliri scenografici del musical né al fulgore del Technicolor.

Il mago di Oz (1939) di Victor FlemingÈ impossibile attribuire i meriti del film a un solo mago: Il mago di Oz, anzi, è un “testo senza autore” (Salman Rushdie). L’unica firma che lo marchia a fuoco è quella della MGM. Alla produzione si divisero Mervyn LeRoy e Arthur Freed (sulla carta assistente), quest’ultimo alla sua prima esperienza in una carriera che lo porterà a capo dei maggiori musical della casa. Non è chiaro a chi per primo venne l’idea, per nulla scontata se si considera che, fino ad allora, Oz al cinema non aveva sfavillato (una casa di produzione messa in piedi da Baum per adattare i suoi romanzi chiuse alla svelta, e la versione del 1925 con Oliver Hardy nel costume dell’Uomo di Latta fece poco clamore).
Di certo un buon impulso all’impresa fu assestato dal successone nel 1937 di Biancaneve e i sette nani. Le illustrazioni di William Wallace Denslow per la prima edizione del romanzo, poi, fornirono più che uno spunto iconico.
Furono quattro i registi che parteciparono al progetto: André de Toth (due settimane per niente), George Cukor (tre giorni, abbastanza per consigliare di togliere a Dorothy l’acconciatura bionda), Victor Fleming (quattro mesi, prima di correre sul set di Via col vento) e King Vidor (dieci giorni per le scene del Kansas). Addirittura undici gli sceneggiatori a vario titolo coinvolti. E la gestazione travagliata del film è confermata dai centotrentasei giorni di riprese, tra infelici incidenti di percorso. Ma a dispetto di un così ricco campionario di mani e cervelli, Il mago di Oz è tutt’altro che dispersivo e qua e là raffazzonato: tira invece dritto verso nuovi personaggi, regni e colori, con lo stesso passo saltabeccante dei suoi eroi, per fermarsi ogni tanto a esercitarsi nel canto o nel vaudeville. In fondo, oltre tanto arcobaleno, c’è una morale poco lampante. “Nessun posto è bello come casa mia”, comprende infine Dorothy. Ma tutto il resto sembra smentire apertamente il desiderio di un Kansas monocromo, dal quale è stato bello svegliarsi per prendere in mano il proprio destino di ragazza, senza adulti inadeguati tra i piedi, con la consapevolezza delle proprie virtù.
Il mago di Oz
 fu troppo costoso per ripianare subito i costi, anche se il pubblico accorse e qualche Oscar marginale arrivò (miglior canzone, suono e premio speciale a Judy Garland). La sua enorme risonanza fu però un fenomeno soprattutto televisivo: a partire dal 1956 il film diventerà un appuntamento domestico fisso e, conseguentemente, una “American institution” (A. Harmetz).
Se il mondo di Oz boccheggia nei vari film che l’hanno in seguito rivisitato, si dimostra fertilissimo quando penetra come suggestione o incubo, più o meno latente, in contesti a prima vista lontani: Zardoz (John Boorman, 1974), Alice non abita più qui (Martin Scorsese, 1974), Cuore selvaggio (David Lynch, 1990), fino al magma del romanzo L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon.
(Andrea Meneghelli, Enciclopedia del Cinema Treccani, 2004)

Le sequenze del Kansas erano imbibite color seppia. Erano girate in bianco e nero; poi la pellicola veniva immersa in un liquido color marrone per attenuare i contrasti del bianco e nero. Il resto del film era a colori. E il colore era ancora un mare inesplorato. Creare il design della Città di Smeraldo era, in un certo senso, più facile che trovare la tinta appropriata per la Strada di mattoni gialli. E almeno era meno noioso. Trovare una tinta che non facesse sembrare verde la Strada di mattoni gialli era compito di Randall Duell, e gli prese all'incirca una settimana. “Il film a colori non era ancora stato perfezionato all'epoca”, dice Duell. “Dovevamo fare un sacco di test ed esperimenti con la pellicola per ottenere i colori da ricreare correttamente. Iniziavamo a riprendere un set una settimana o due prima che fosse utilizzato. Dovevamo fare test cromatici per ogni set non solo per le parti dipinte ma anche per gli sfondi. Una parte della Strada di mattoni gialli era un fondale dipinto. Se non fosse stato dipinto e illuminato correttamente, sarebbe sembrato un fondale dipinto”.
(Aljean Harmetz, The Making of The Wizard of Oz, Alfred A. Knopf, New York 1981)

Il mago di Oz (1939) di Victor FlemingUno degli elementi per cui Il mago di Oz viene ricordato è Over the Rainbow, cantata nel film da Judy Garland su musiche di Harold Arlen e parole di A.Y. Harburg, che vinse l'Oscar per la migliore canzone e nel 2001 è stata eletta 'Canzone del secolo' dalla Recording Industry Association of America e dalla National Endowment for the Arts (al secondo posto figurava White Christmas di Irving Berlin). Judy Garland la inserì nel proprio repertorio senza mai abbandonarla, fino alla morte nel 1969. Così scriveva in una lettera ad Arlen: "Over the Rainbow è diventato parte della mia vita. È così simbolica dei sogni e dei desideri di tutti che sono sicura che è per questo che alcune persone hanno le lacrime agli occhi ascoltandola. L'ho cantata migliaia di volte ed è ancora la canzone che ho nel cuore".
La fortuna della canzone giunge quasi ininterrotta fino ai nostri giorni: non si contano le cover, le versioni in varie lingue del mondo, compreso l'esperanto, e la sua presenza in film (da Scandalo a Philadelphia a Insonnia d'amore, ma anche L'abominevole dottor Phibes) e serie televisive. Dal 2004, una versione per ukulele dell'hawaiano Israel Kamakawiwo, in medley con What a Wonderful World, ha nuovamente scalato le classifiche.
La canzone è poi diventata un simbolo delle speranze e della liberazione del mondo gay. Judy Garland, infatti, è una delle icone gay dello spettacolo del XX secolo: leggenda vuole che i moti di Stonewall, tra la comunità omosessuale e la polizia, avvenuti poche giorni dopo il funerale dell'attrice, fossero in qualche modo collegati a quel momento di lutto e agitazione collettiva. Non sorprendono allora i titoli di alcuni volumi recenti, come Over the rainbow: lesbian and gay politics in America since Stonewall (1995), a cura by David Deitcher, Over the rainbow: queer children's and young adult literature (2011), a cura di Michelle Ann Abate e Kenneth Kidd, e Over the rainbow city: towards a new LGBT citizenship in Italy (2015) di Fabio Corbisiero.
Nella letteratura italiana, infine, c'è un illustre omaggio alla canzone. Si tratta di Una questione privata di Beppe Fenoglio, uno dei capolavori della narrativa italiana del Novecento, in cui la canzone ha un ruolo centrale:
“Ma un giorno, erano soli, Fulvia caricò il fonografo con le sue mani e mise Over the Rainbow, 'Avanti, balla con me'. Lui aveva detto, forse aveva gridato di no. 'Devi imparare, assolutamente. Con me, per me. Avanti'. 'Non voglio imparare… con te'. Ma già lo teneva, lo spostava nello spazio libero e spostandolo ballava. 'No!' protestò lui, ma era così sconvolto che non riusciva nemmeno a tentare di divincolarsi. 'E soprattutto non con quella canzone!' Ma lei non lo lasciava e lui dovette badare a non inciampare e rovinarle addosso”.
Una questione privata (pubblicata postuma da Garzanti nel 1963 con altri racconti sotto il titolo Un giorno di fuoco) è una bellissima storia d’amore, una delle più intense della narrativa del Novecento. Come tutte le grandi storie d’amore è di una semplicità disarmante: nel corso della lotta partigiana, Milton, studente universitario di Alba, è perdutamente innamorato di Fulvia, una ricca ragazza sfollata nelle Langhe per sfuggire ai bombardamenti di Torino. Timido, impacciato nei modi, convinto di non essere bello, la pelle spessa e pallidissima, Milton la corteggia scrivendole lettere appassionate, traducendo per lei brani e versi dall’inglese, coinvolgendola in discorsi 'seri'. Lei è attratta da quel ragazzo così diverso dagli altri e ha gioco facile nel simboleggiargli l’altrove: la città, la modernità dei costumi, persino l’America. La loro canzone è Over the Rainbow, interpretata da Judy Garland e tratta dal Mago di Oz (1939). Ed è proprio questa hit – il film di Victor Fleming sarebbe uscito in Italia solo dopo la guerra – a ribaltare i piani, a disgregare lentamente il manto di retorica sulla Resistenza, a esaltare un’avventura esistenziale.
(Aldo Grasso, “Corriere della Sera”, 6 ottobre 2003).

da: http://distribuzione.ilcinemaritrovato.it/per-conoscere-i-film/il-mago-di-oz/over-the-rainbow/

    

 

 

 

 

 

   Scheda 

         Il mago di Oz (1939) di Victor Fleming
     
TITOLO ORIGINALE The Wizard of Oz  
LINGUA ORIGINALE Inglese  
PRODUZIONE Stati Uniti d'America  
ANNO 1939  
DURATA 101'  
COLORE Technicolor  
RAPPORTO 1.37 : 1  
GENERE Musicaleavventuracommediafantastico  
REGIA Victor Fleming
George CukorMervyn LeRoyNorman TaurogKing Vidor (non accreditati)
   
INTERPRETI E PERSONAGGI

  • Judy Garland: Dorothy Gale
  • Frank Morgan: professor Meraviglia, mago di Oz, portiere, autista, guardia
  • Ray Bolger: Hunk, spaventapasseri
  • Bert Lahr: Zeke, leone
  • Jack Haley: Hickory, uomo di latta
  • Billie Burke: Glinda
  • Margaret Hamilton: Almira Gulch, strega dell'Ovest
  • Charley Grapewin: zio Henry
 
DOPPIATORI ITALIANI

  • Miranda Bonansea: Dorothy Gale (dialoghi)
  • Lucia Mannucci: Dorothy Gale (canto)
  • Olinto Cristina: professor Meraviglia, mago di Oz, portiere, autista, guardia
  • Stefano Sibaldi: Hunk, spaventapasseri (dialoghi)
  • Virgilio Savona: spaventapasseri (canto)
  • Luigi Pavese: Zeke, leone (dialoghi)
  • Tata Giacobetti: leone (canto)
  • Mario Pisu: Hickory, uomo di latta (dialoghi)
  • Mario Pisu: uomo di latta (canto)
  • Renata Marini: Glinda
  • Wanda Tettoni: Almira Gulch, strega dell'Ovest
  • Amilcare Quarra: zio Henry

Primo ridoppiaggio (1982)

  • Anna Marchesini: Dorothy Gale
  • Gino Pagnani: professor Meraviglia, mago di Oz, portiere, autista, guardia
  • Eugenio Marinelli: Hunk, spaventapasseri
  • Elio Pandolfi: Zeke, leone
  • Nino Scardina: Hickory, uomo di latta
  • Anna Teresa Eugeni: Almira Gulch, strega dell'Ovest
  • Manlio Guardabassi: zio Henry

Secondo ridoppiaggio (1985)

  • Elda Olivieri: Dorothy Gale
  • Carlo Bonomi: professor Meraviglia, mago di Oz, portiere, autista, guardia
  • Silvano Piccardi: Hunk, spaventapasseri
  • Raffaele Fallica: Zeke, leone
  • Paolo Bessegato: Hickory, uomo di latta
  • Maria Teresa Letizia: Glinda
  • Franca Nuti: Almira Gulch, strega dell'Ovest
  • Gianni Mantesi: zio Henry
 
SOGGETTO dal romanzo di L. Frank Baum  
PRODUTTORE Mervyn LeRoy
Metro-Goldwyn-Mayer

 
SCENEGGIATURA Noel LangleyFlorence RyersonEdgar Allan Woolf, (non accreditati) Irving BrecherWilliam H. CannonHerbert FieldsArthur FreedJack HaleyE.Y. HarburgSamuel HoffensteinBert LahrJohn Lee MahinHerman J. MankiewiczJack MintzOgden NashRobert PiroshGeorge SeatonSid Silvers  
FOTOGRAFIA Harold Rosson  
MONTAGGIO Blanche Sewell  
EFFETTI SPECIALI A. Arnold Gillespie  
SCENOGRAFIA Noel Langley  
MUSICHE Harold ArlenHerbert Stothart  
COSTUMI Adrian  
TRUCCO Jack Dawn