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I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio

I pugni in tasca ha compie cinquantuno ann. All’uscita il film creò grandi discussioni, grazie anche a un passaggio semiclandestino al festival di Venezia dove, rifiutato dalla selezione ufficiale, fu presentato a margine della manifestazioneTutti gli intellettuali ne parlarono, Moravia, Soldati, Pasolini, Calvino, e alla fine la pellicola, praticamente autoprodotta, incassò bene risultando, come ricordato con divertimento dal regista, l’unico affare della sua vita.

Perché tanto clamore? I pugni in tasca racconta la storia di una famiglia problematica: senza padre, con una madre cieca e quattro figli. Solo il più grande è “normale” e inserito, Augusto (Marino Masé); poi c’è Giulia (Paola Pitagora), morbosamente legata al fratello maggiore, Leone (Pierluigi Troglio), epilettico e ritardato, Alessandro (Lou Castel), epilettico e insofferente. Vivono in una grande casa borghese decaduta a Bobbio (paese natale di Bellocchio), nei pressi di Piacenza. E in quella villa sembrano come confinati, a parte Augusto, incapaci di relazioni significative col mondo esterno.

I pugni in tascaIl più bizzarro è Alessandro: insoddisfatto e nevrotico, attratto dalla sorella e con velleità imprenditoriali – vorrebbe mettere su un allevamento di cincillà – che non si traducono mai in atti concreti. Solo un disegno conduce a termine: uccidere i componenti della famiglia, prima la madre, poi Leone. Delitti compiuti, come dichiara preventivamente al fratello maggiore, per dar respiro al bilancio familiare, su cui gravano le spese per la mamma inferma, permettendo così ad Augusto di sposare la fidanzata.

Per capire l’enorme attenzione e lo scandalo del film, bisogna interrogarsi su quale fosse l’Italia di quegli anni: un paese nel quale, l’esempio è notissimo, l’inchiesta sulla condizione femminile realizzata da un giornalino scolastico, “La zanzara” del liceo Parini di Milano, era sfociata in un processo, perché le ragazze avevano parlato con franchezza di sesso prematrimoniale. Un paese quindi dalla morale pubblica ancora rigida, incapace di dare voce alle inquietudini giovanili: basti pensare, restando al cinema, che mentre in Francia, Gran Bretagna o Polonia i registi del nuovo cinema d’autore erano quasi tutti giovani, Godard, Truffaut, Reisz, Wajda, in Italia l’avanguardia cinematografica era nelle mani di Fellini e Antonioni. Che venivano da un’altra generazione e, soprattutto, raccontavano un’altra generazione.

Bellocchio invece aveva 25 anni ed era portatore di istanze che non avevano ancora trovato spazio: giocoforza, e aldilà delle intenzioni dell’autore, il film venne interpretato in una chiava paradigmatica e fortemente simbolica, come espressione di un malessere giovanile diffuso. L’esplosione del ’68 fece il resto, consegnando stabilmente I pugni in tasca all'epopea movimentista, di cui sarebbe stato letto come spia e prodromo. Un equivoco che lo stesso Bellocchio alimentò, con la militanza nell’Unione dei comunisti marxisti-leninisti e la realizzazione di documentari rigorosamente “rivoluzionari” (Viva il primo maggio rosso, 1968; Paola ovvero Il popolo calabrese ha rialzato la testa, 1969).

I pugni in tascaIn realtà I pugni in tasca, come i film successivi del regista avrebbero reso più evidente, era il risultato di rovelli molto personali, venati di accenti autobiografici. Forse proprio per questo capaci di intercettare lo spirito del tempo, mostrando sentimenti e rabbie condivise. Perché, come mise bene in luce Moravia, “Bellocchio ha dato fondo a tutto ciò che di solito costituisce il mondo della giovinezza […] odio e amore della famiglia, ambiguità dei rapporti fraterni, attrazione verso la morte, entusiasmo per la vita, volontà astratta di azione, furore impotente, malinconia morbosa, violenza profanatoria e infine, a sfondo di tutto questo, il senso cupo e fatale di una provincia senza speranza”.

I giovani si riconobbero. E gli adulti si allarmarono, alla vista d’un personaggio sgradevole, inetto e malato, capace di uccidere con indifferenza e sinistro piacere (al funerale della madre si vanta con la sorella dell’omicidio), preda d’una frenesia repressa e slanci distorti. Butta giù dalla scarpata la mamma cieca, desidera (e forse consuma) l’incesto con la sorella, affoga il fratello minorato: e lo fa con spirito distaccato, quasi abulico, come si trattasse solo di far quadrare il bilancio familiare.

Sono l’ambiguità e la mancanza di motivazioni nei gesti di Alessandro a fare de I pugni in tasca un’opera spaventosa e sgradevole: “la tragicità sta tutta nello sguardo freddo”, disse Calvino, espresso attraverso una grammatica visiva quasi naturalistica, controllata e priva d’impennate “d’autore”. Uno stile avvertito, che rende ancora più realistica la storia: perciò più inquietante, dato che l’Alessandro di buona famiglia e buoni studi non è troppo diverso dal ragazzo della porta accanto, le cui bizzarrie si tendono a reputare del tutto innocenti.

Perciò I pugni in tasca non poteva lasciare indifferenti: benché lo si volesse negare, c’era qualcosa di familiare in quel protagonista, una vicinanza che spiega perché nel finale, come nota ancora Moravia, quando Alessandro “si abbandona all'esaltazione vitalistica e mortuaria che gli ispira la musica verdiana e muore, lo spettatore prova un sentimento di pietà come per la morte di un eroe in fondo positivo”.

da: http://www.optimaitalia.com/blog/author/sfedele
 

   Scheda film  

           I pugni in tasca
PRODUZIONE   Italia  
ANNO   1965  
DURATA   105'  
COLORE   B/N  
AUDIO   Mono  
RAPPORTO   1.75:1  
GENERE   Drammatico  
REGIA   Marco Bellocchio    

INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Lou Castel: Alessandro
  • Paola Pitagora: Giulia
  • Marino Masè: Augusto
  • Liliana Gerace: la madre
  • Pierluigi Troglio: Leone
  • Jenny MacNeil: Lucia
  • Irene Agnelli: Bruna
  • Mauro Martini: bambino
  • Gianni Schicchi: Tonino
  • Alfredo Filippazzi: Dottore
  • Gianfranco Cella
  • Celestina Bellocchio
  • Sandra Bergamini
  • Lella Bertante
 
SOGGETTO   Marco Bellocchio
 
SCENEGGIATURA
  Marco Bellocchio  
PRODUTTORE   Enzo Doria (Doria Cinematografica)
 
FOTOGRAFIA   Alberto Marrama  
MONTAGGIO   Aurelio Mangiarotti (Silvano Agosti)  
MUSICHE   Ennio Morricone
 
SCENOGRAFIA   Rosa Sala  
COSTUMI   Gisella Longo