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Le quattro volte (2010) di Michelangelo Frammartino

 

Se l'idea di bellezza è sempre più assoggettata alla vistosità dell'oggetto che ci troviamo davanti, ecco spiegato il perché della bellezza paesaggistica come corrispettivo della grande e imponente città e l'abolizione di archetipi in via d'estinzione.

L'occhio si lascia crogiolare da una pigrizia incapace di scavare a fondo, di cogliere la bellezza nella complessità della vita quotidiana. Lasciando al proprio flusso arcaico i luoghi nascosti che ancora conducono una esistenza fuori dal tempo. Da una parte lo sguardo continua a catturare soltanto ciò che gli è immediato, trascurando l'essenzialità delle cose, dall'altro il luogo incontaminato, non sottomesso alle esigenze inquinanti della moderna società dei consumi, conserva la propria connotazione primitiva.

Ma l'ignavia dell'occhio riguarda anche la visione cinematografica, disabituata alla pazienza del saper vedere, preferendo subire l'immediatezza di ciò che ci viene scaraventato addosso.

"Le quattro volte" si situa in un territorio "marginale" della Calabria. Un microcosmo che pare fuori dal mondo e che, invece, conserva il contatto più stretto con l'essenza stessa della natura. Che crea una parabola sul tempo dove il tempo sembra invece essersi fermato da decenni.

Le quattro volteIl milanese Frammartino aveva già ambientato il suo precedente e già interessante primo film, "Il dono", in Calabria, luogo di nascita dei suoi genitori. Sondando il terreno per questa sua opera seconda si è imbattuto in quattro possibili personaggi, quattro entità vicine e lontane: il vecchio pastore, il capretto bianco, un grande abete, il carbone.

Suggerendo la possibilità di rendere protagonista di un film un animale o un qualsiasi elemento naturale, contemplando la natura e la natura delle cose, il film può essere suddiviso in quattro storie a sé stanti. Con dei lunghi piani sequenza che nella loro quiete colgono l'imprevedibilità della vita (non mancano i momenti ironici), Frammartino ci ricorda tradizioni e luoghi dimenticati, offrendoci una visione poetica sui cicli della vita. Ma a ben vedere il film non si ferma qui: vuole andare oltre, chiedendo complicità a spettatori attenti, disposti ad unire i tasselli ed erigere un'architettura che possa essere al contempo antropologica e filosofica.

Partendo da una frase attribuita a Pitagora, secondo la quale in ogni essere ci sarebbero quattro vite distinte ma incastrate l'una dentro l'altra (minerale, vegetale, animale e razionale), i quattro stadi del film vivono di una sola anima, destinata a passare ciclicamente da entità a entità, reincarnandosi, consumandosi e rinascendo.

Senza l'utilizzo di parole né di musica, ma con un fondamentale tappeto sonoro che cattura il respiro della natura, è un'opera metafisica e antropologica, concreta e fantascientifica. Offrendo allo spettatore il compito di decifrare, comporre e riempire il suo cammino, "Le quattro volte", ideale incrocio tra Franco Piavoli e Bèla Tarr, è un cinema geometrico ma spontaneo.

Assemblando e rispettando le sue idee, Michelangelo Frammartino vola alto.

Da  http://www.ondacinema.it/

 


 
 

   Scheda film 

         Le quattro volte
PRODUZIONE ItaliaGermaniaSvizzera  
ANNO 2010  
DURATA 88'  
COLORE Colore  
AUDIO Dolby Digital  
RAPPORTO 1,85 : 1   
GENERE Drammatico  
REGIA Michelangelo Frammartino    

INTERPRETI E PERSONAGGI


  • Giuseppe Fuda: il vecchio pastore
  • Nazareno Timpano: i carbonai di Serra San Bruno
  • Bruno Timpano: i carbonai di Serra San Bruno
  • Artemio Vellone: i carbonai di Serra San Bruno
  • Domenico Cavallo: il pastore
  • Santo Cavallo: il pastore
  • Peppe Cavallo: il pastore
  • Isidoro Chiera: il prete
  • Iolanda Manno: la perpetua
  • Cesare Riotorito: il chierichetto
 
SCENEGGIATURA Michelangelo Frammartino  
PRODUZIONE Vivo Film, Essential Filmproduktion, Invisibile Film, Ventura Film

 
FOTOGRAFIA Andrea Locatelli  
MONTAGGIO Benni AtriaMaurizio Grillo  
SCENOGRAFIA Matthew Broussard  
COSTUMI Gabriella Maiolo  
PREMI Michelangelo Frammartino ha vinto il Grand Prix del Festival del cinema italiano di Annecy e il Nastro d'argento speciale «per il realismo poetico e le emozioni di un film sorprendente»