LunedìCinemaCineforum 2018 -2019
    

LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA
Don Camillo  (1952)

 

Pur girati negli anni Cinquanta, con una deriva nei Sessanta (dove potrebbero risultare già anacronistici: ma come vedremo il quinto di film di Comencini è molto interessante), i film del «canone» non possono prescindere dall’atmosfera post-’48 che permea i romanzi di Guareschi. Lo scrittore racconta un Paese diviso in modo manicheo, dà evidenza plastica all’idea delle «due Italie». Ma analizzando il primo film di Duvivier si scoprono cose sorprendenti. La trama comincia nel ’46, ci sono appena state le elezioni del sindaco, il comunista Peppone ha vinto. Il crocifisso dice al prete: «Cosa vuoi farci Don Camillo, è il progresso». Aprire il film in questo modo è doppiamente astuto: da un lato si «legittima» Peppone all’interno della trama, dall’altro si rende altrettanto legittimo – senza mai dirlo apertamente – il risultato elettorale di tre anni prima. Il delegato del Pci invitato a tenere un comizio dopo la vittoria di Peppone pronuncia una frase terribile ma di stretta attualità, almeno fino al ’48: «Dobbiamo restare nella legalità e noi ci resteremo, a costo di imbracciare il mitra e inchiodare al muro tutti i nemici del popolo».
Don Camillo (1952) di Julien DuvivierQuando però esplodono in paese le tensioni, vediamo armi in mano a Don Camillo e agli altri cattolici, e all’agrario padre di Gina, la ragazza ricca di cui si innamora il comunista Mariolino: prima di vedere un compagno in armi occorre arrivare a metà film. Nel frattempo Peppone ha avuto un figlio e vuole farlo battezzare Libero Antonio Lenin, poi corretto in... Libero Antonio Camillo! Il parroco ribatte: «Quand’è così puoi mettere anche Lenin, con un Camillo vicino quei tipi lì non funzionano».


La frase non è solo ironica e accomodante, ha un senso subliminale che rovescia il manicheismo di Guareschi: implica che un Lenin e un Camillo possono stare «vicini», «sempre insieme e sempre avversari» come dice a un certo punto la voce fuori campo letta dal doppiatore Emilio Cigoli. Quando Peppone va a confessarsi dice: «Non è il sindaco, è il cristiano». Quando i due mungono le vacche, rimediando ai danni di uno sciopero avventato, sembrano due onesti lavoratori che faticano assieme. Quando Don Camillo, croce in spalla, affronta l’intero paese Peppone gli dice, indicando Gesù: «Non mi scanso per voi, ma per lui». L’immagine del popolo comunista che segue Don Camillo al fiume, come in processione, sembra uscita dal Vangelo secondo Matteo (1964) di Pasolini. La partita di calcio è un’altra metafora della divisione/unione del paese: sindaco e prete tentano entrambi di corrompere l’arbitro. Quando il vescovo visita sia la Città Giardino di Don Camillo che la Casa del Popolo, benedicendo i comunisti, sembra di vedere Un uomo tranquillo di John Ford (anch’esso del 1952) quando i cattolici del villaggio irlandese si fingono protestanti per aiutare il pastore al quale sono affezionati nonostante le differenze religiose. L’addio di Don Camillo, costretto a lasciare il paese, sembra un trionfo: anche Peppone è lì a salutarlo. La voce fuori campo conclude: «Ecco il paese che sorge in qualche angolo dell’Italia, nella pianura del Po. Ciascuno lotta a suo modo per costruire un mondo migliore»

 

Tutto, nel film, congiura per ottenere un risultato che forse Guareschi approva, o forse no. Ma sicuramente i 50 milioni ottenuti per i diritti del secondo libro, dopo il successo del primo film, aiutano. Don Camillo e Peppone diventano quasi uguali. Le differenze ideologiche passano in secondo piano rispetto alla fede – Peppone è un prototipo di cattocomunista – e alla comune appartenenza antropologica. Sono due uomini del popolo. La contrapposizione violenta viene stemperata: gli scontri non mancano, ma il Don Camillo di Fernandel è meno manesco e più arguto di quello di Guareschi. Grazie a tre francesi – Duvivier, Barjavel, Fernandel – l’Italia fa le prove di compromesso storico.

     Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)


da: 
Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)

 
 

 

   Scheda 

      Don Camillo (1952) di Julien Duvivier   
     
PRODUZIONE Italia, Francia  
ANNO 1952  
DURATA 107   
COLORE B/N  
RAPPORTO 4:3  
GENERE Commedia  
REGIA Julien Duvivier    

INTERPRETI E PERSONAGGI


  • Fernandel: don Camillo
  • Gino Cervi: Peppone
  • Sylvie: signora Cristina
  • Vera Talchi: Gina Filotti
  • Franco Interlenghi: Mariolino della Bruciata
  • Saro Urzì: il Brusco
  • Charles Vissières: il Vescovo
  • Marco Tulli: lo Smilzo
  • Giovanni Onorato: Scartazzini
  • Gualtiero Tumiati: Ciro della Bruciata
  • Luciano Manara: Filotti
  • Leda Gloria: signora Bottazzi
  • Mario Siletti: avv. Stiletti
  • Manoel Gary: Cerratini, delegato del PCI
  • Giorgio Albertazzi: don Pietro
  • Olga Solbelli: madre di Gina
  • Armando Migliari: Rosco della Bruciata
  • Carlo Duse: il Bigio
  • Italo Clerici: Barchini, il tipografo
  • Clara Auteri: donna che incita a gridare "Viva
  • Peppone!"
  • Peppino De Martino: un consigliere di maggioranza
  • Franco Pesce: il sacrestano
 

DOPPIATORI ORIGINALI

  • Jean Debucourt: voce crocifisso
 
DOPPIATORI
ITALIANI
  • Carlo Romano: don Camillo
  • Rina Morelli: signora Cristina
  • Gaetano Verna: il Brusco
  • Amilcare Pettinelli: il Vescovo
  • Stefano Sibaldi: lo Smilzo
  • Cesare Fantoni: Scartazzini
  • Aldo Silvani: Ciro della Bruciata
  • Lauro Gazzolo: Filotti
  • Manlio Busoni: avv. Stiletti
  • Bruno Persa: Cerratini, delegato del PCI
  • Renata Marini: donna che incita a gridare "Viva Peppone!"
  • Cesare Polacco: un consigliere di maggioranza
  • Lauro Gazzolo: il sacrestano
  • Franco Galasso: Marco, figlio di Peppone
  • Ruggero Ruggeri: voce crocifisso
  • Emilio Cigoli: voce narrante
 
PREMI National Board of Review Awards 1953: miglior film straniero dell'anno  
SOGGETTO Giovannino Guareschi  
CASA DI PRODUZIONE DCineriz  
SCENEGGIATURA Julien Duvivier, René Barjavel  
FOTOGRAFIA Nicolas Hayer  
MONTAGGIO Maria Rosada  
MUSICHE Alessandro Cicognini  
SCENOGRAFIA Virgilio Marchi