LunedìCinema 2021 | 2022
  

LA COMMEDIA DEMENZIALE DI MEL BROOKS
L'ultima follia di Mel Brooks (USA 2003)

 

In originale s’intitola Silent Movie, ovvero film muto, ma L’ultima follia di Mel Brooks non è un film muto. Anzi, è perfino nel Guinness dei primati per il film sonoro con il minor numero di parole: una. Nella gag forse più celebre del film, infatti il celebre mimo Marcel Marceau dice la prima e unica parola della sua carriera: “NO!”.

Ma lo sappiamo che dei paradossi Mel Brooks ha fatto un’arte e infatti nella sua parodia dei film muti il regista utilizza anche la musica come una gag, quando sulla didascalia di New York l’orchestra suona San Francisco per poi interrompersi e attaccare I’ll Take Manhattan. E paradossale è anche la trama del film, satira del mondo di Hollywood che tra anni Venti e anni Settanta forse non è cambiato molto: il protagonista è lo stesso Brooks che, assieme a due improbabili soci (Marty Feldman e Dom DeLuise) cerca di convincere gli studios a produrre il più grande film muto mai fatto dalla fine del muto. E per riuscirci e impedire agli studios di fallire, deve convincere anche le più grandi star dell’epoca (da Paul Newman a Burt Reynolds, da James Caan a Liza Minnelli fino ad Anne Bancroft) ad accettare un ruolo.

L'ultima follia di Mel BrooksUna raccolta di gag, come molti dei film di Brooks e come moltissimi dei lungometraggi comici del muto, in cui la costruzione visiva dell’umorismo è anche un modo per riflettere sul mondo, in questo caso meta-linguisticamente per lanciare qualche frecciata all’industria del cinema, al suo timore di rinnovarsi − anche se bisogna guardarsi alle spalle − e alla sua feroce avidità; una sorta di Cantando sotto la pioggia al contrario, in cui si immagina cosa potrebbe succedere allo star system e al cinema se il sonoro si spegnesse, se a contare fossero di nuovo solo i volti e i corpi. Non rinuncia alle sue celeberrime intemperanze vocali Mel Brooks, ma la sua ultima follia è un tripudio di circa un’ora e mezza di gag intese in senso classico, di corse, inseguimenti, scivoloni, capitomboli e torte in faccia, di precisione cronometrica nella costruzione del movimento degli attori e del montaggio, di utilizzo inventivo e buffo di codici e schemi consolidati, come a ripercorre e omaggiare l’epopea della comica finale, da Roach a Sennett, da Arbuckle ai mostri sacri Keaton e Chaplin. Una sorta di piccolo saggio sul suono e la sua assenza come veicolo di risata, un salto indietro che sembra anche anticipare le tendenze revisioniste del futuro (su tutte il The Artist di Hazanavicius).

da: mediacritica.it

    

 

 

 

 

 

   Scheda 

     
     
   
  • Durata: 86'
  • Colore: C
  • Genere: COMMEDIA
  • Specifiche tecniche: NORMALE DE LUXE COLORI
  • Produzione: CROSSBOW PRODUCTIONS
  • Distribuzione: FOX - 20TH CENTURY FOX HOME ENTERTAINMENT
  • Attori: 
    Mel Brooks  - Mel Spass
    Marty Feldman  - Bellocchio
    Dom DeLuise  - Trippa
    Sid Caesar  - Capo Dello Studio
    Harold Gould  - Trangugia
    Lee Delano  - Dirigente
    Liza Minnelli  - Se Stessa
    Liam Dunn  - Giornalaio
    Ron Carey  - Divora
    Burt Reynold  - Se Stessa
    Howard Hesseman  - Dirigente
    Al Hopson  - Dirigente
    Barry Levinson  - Dirigente
    Robert Lussier  - Proiezionista
    Marcel Marceau  - Se Stesso
    Chuck McCann  - Guardia
    Erica Hagen  - Bionda
    Henry Youngman  - Uomo
    Rudy De Luca - Dirigente
    Valerie Curtin  - Infermiera
    Patrick Campbell  - Fattorino
    Charlie Callas - Cieco
    James Caan - Se Stessa
    Anne Bancroft - Se Stessa
    Carol Arthur - Donna Incinta
    Inga Neilsen - Bionda
    Bernadette Peters  - Vilma Kaplan
    Yvonne Wilder  - Segretaria
    Arnold Soboloff  - Uomo Agopuntura
    Eddie Ryder - Uff. Inglese
    Harry Ritz  - Uomo Della Sartoria
    Jack Riley  - Dirigente
    Fritz Feld  - Maitre Al Rio Bomba
    Sivi Aberg  - Bionda
  • Soggetto: Ron Clark
  • Sceneggiatura: Barry Levinson, Ron Clark, Mel Brooks, Rudy De Luca
  • Fotografia: Paul Lohmann
  • Musiche: John Morris
  • Montaggio: John C. Howard, Stanford C. Allen
  • Scenografia: Albert Brenner
  • Costumi: Patricia Norris
  • Effetti: Ira Anderson Jr.
 


L'ultima follia di Mel Brooks
 
       


 

 
 
 

 

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LA LEGGEREZZA DI ERNST LUBITSCH
Mancia competente (USA 1932)

Venezia. In un lussuoso hotel, dove è stato da poco commesso un furto ai danni di un cliente, Gaston Monescu (Herbert Marshall) e Lily (Miriam Hopkins), fanno conoscenza nel corso di una cena galante, dismettendo le vesti di barone e contessa, rivelandosi, derubandosi a vicenda, entrambi abili ladri. Certamente fatti l’uno per l’altra, i due, ormai coppia fissa tanto nella vita che nella “professione”, organizzano il colpo decisivo, quello che potrà garantirgli la definitiva sistemazione, recarsi a Parigi ed appropriarsi delle ingenti sostanze dell’affascinante vedova Mariette Colet (Kay Francis), proprietaria di una fabbrica di profumi…

Mancia competente, poco indovinato titolo italiano rispetto all’originale Trouble In Paradise (“problema in paradiso”), può considerarsi il vero e proprio archetipo della sophisticated comedy e certamente in tal genere tra le opere più riuscite del regista berlinese Ernst Lubitsch, con una sceneggiatura esemplare (Samson Raphaelson, dalla commedia The Honest Finder di Laszlo Aladar), che ancora oggi sfida il tempo: dialoghi serrati, estremamente brillanti, allusioni sessuali non poi tanto sottointese, ma con i “sani limiti” del buon gusto a dargli sapida sostanza, senza alcuna imposizione esterna, considerando che il “Codice Hays” , per quanto già approvato, avrà definitiva applicazione due anni più tardi; il celebre “tocco”, marchio di fabbrica dell’autore rende poi estremamente gradevole la visualizzazione, grazie ad un’ottima direzione degli attori, tutti perfettamente in parte nelle loro caratterizzazioni, Marshall in testa, con una velocità  della macchina da presa nel riprenderne le varie entrate ed uscite, tra il vaudeville e l’ operetta viennese, che sembra anticipare il loro movimento, connotando il tutto come una sostenuta partitura musicale, visto che, al riguardo, la colonna sonora (Frank Harling) scandisce più o meno ogni scena, dai titoli di testa a quelli di coda.
Se a risaltare è l’estrema cura dell’ambientazione, quasi tutta in interni, con grande rilievo dato all’elegante arredamento e ai singoli oggetti, che si rivelano funzionali alla narrazione (lo scorrere del tempo sottolineato dalle inquadrature degli orologi, gli specchi, il letto e le ombre che si stagliano su di esso a metaforizzare il desiderio represso), non da meno è la sagacia di Lubitsch, mista a malizia, mitigata da una sottile, beffarda, ironia, nel rappresentare l’agiato “paradiso” della nobiltà europea, esattamente come gli spettatori del tempo immaginavano che fosse, lusso e frivolezze, sesso e denaro, ma anche nella sua illusorietà, giocando sulla specularità del contrasto vero/falso: Gaston e Lily, gli intrusi, il “problema”, mantengono sempre la loro identità pur fingendo di essere ciò che non sono, mentre i componenti originari fingono di essere se stessi, ciò che il loro mondo richiede, ma si rivelano essere altro, proprio in virtù di tale intromissione. Unica soluzione possibile, resistendo dall’ addentare la mela, tornare ognuno nel proprio Eden, dove dar libero sfogo alla naturalità della propria essenza, ponendo fine al gioco del rimpiattino tra la realtà dell’ immaginazione e l’immaginazione della realtà.

 

da: mediacritica.it

    

 

 

 

 

 

   Scheda 

     
     
   
  • Regia: 
    Ernst Lubitsch
  • Attori: 
    Miriam Hopkins
     - Lily
    Kay Francis
     - Mariette Colet
    Herbert Marshall
     - Gaston Monescu
    Charlie Ruggles (Charles Ruggles)
     - Il sindaco
    Edward Everett Horton
     - François Filiba
    C. Aubrey Smith
     - Adolph J. Giron
    Robert Greig
     - Jacques, il maggiordomo di Mariette
    Leonid Kinskey
     - Il comunista
    George Humbert
     - Il cameriere
  • Soggetto: Laszlo Aladar (Aladar Laszlo) - (commedia)
  • Sceneggiatura: Grover Jones - (adattamento), Samson Raphaelson
  • Fotografia: Victor Milner
  • Musiche: W. Franke Harling - (non accreditato)
  • Scenografia: Hans Dreier - (non accreditato)
  • Costumi: Travis Banton
  • Altri titoli: 
    Haute pègre
  • Durata: 84'
  • Colore: B/N
  • Genere: COMMEDIA
  • Specifiche tecniche: 35 MM
  • Tratto da: commedia "The Honest Finder" di Aladar Laszlo
  • Produzione: ERNST LUBITSCH PER PARAMOUNT PUBLIX CORPORATION
  • Distribuzione: MONDADORI VIDEO

 



 Mancia competente
       


 

 
 
 

 

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LA LEGGEREZZA DI ERNST LUBITSCH
Partita a quattro (USA 1933)

 

Indecisa fra il commediografo spiantato Tom (Fredric March) e il pittore fallito George (Gary Cooper), la disinibita Gilda (Miriam Hopkins) propone ai due una convivenza priva di rapporti sessuali. Gli uomini ottengono finalmente l'agognato successo professionale, ma il patto tra i tre non regge. Gilda decide quindi di sposare il suo capo, l'imprenditore Plunkett (Edward Everett Horton), ma George e Tom non sono disposti a lasciarsi sfuggire la ragazza.

Adattamento di un testo teatrale di Noël Coward, l'ultimo film girato da Lubitsch prima dell'entrata in vigore del Codice Hays. Un film audace, sia per il tema trattato, sia per come sfrutta abilmente tutte le potenzialità del mezzo cinematografico: parte come un film muto in cui la narrazione è cadenzata dagli sguardi, valorizza poi la brillantezza dei dialoghi e infine ottimizza il campionario di immagini allusive e di non detti pregni di significato drammaturgico (come la battuta conclusiva, intuibile ma negata). Lubitsch non si erige mai a giudice, ma si limita a mostrare con la consueta sagacia questi personaggi emotivamente insicuri e a tratti infantili, ma sinceri, imperfetti e pieni di vita, disposti a volersi bene anche sfidando gli standard morali dell'epoca. Il regista, quindi, da spirito libero e anticonvenzionale quale è, tratteggia i tre protagonisti con affetto, mentre riserva le stoccate più sferzanti alla borghesia e ai suoi discutibili codici etici, perfettamente incarnati dall'esoso Max Plunkett. Brillante prova di tutto il cast, con una menzione speciale per l'ottimo Horton.

da: longtake.it

 

 

   Scheda 

     
     
 
    • Regia: 
      Ernst Lubitsch
    • Attori: 
      Fredric March
       - Tom Chambers
      Gary Cooper
       - George Curtis
      Miriam Hopkins
       - Gilda Farrell
      Edward Everett Horton
       - Max Plunkett
      Franklin Pangborn
       - Mr. Douglas, il produttore teatrale
      Isabel Jewell
       - La stenografa di Plunkett
      Jane Darwell
       - La cameriera di Curtis
      Wyndham Standing
       - Il maggiordomo di Max
      Vernon Steele
       - Manager di Douglas (non accreditato)
      Adrienne D'Ambricourt
       - Proprietaria del caffè (non accreditata)
      Lionel Belmore
       - Proprietario del teatro (non accreditato)
      Nora Cecil
       - Segretaria di Tom (non accreditata)
      Emile Chautard
       - Conducente del treno (non accreditato)
    • Soggetto: Noël Coward - (commedia)
    • Sceneggiatura: Ben Hecht
    • Fotografia: Victor Milner
    • Musiche: John Leipold - (non accreditato) - Le musiche sono dirette da Nathaniel Finston.
    • Montaggio: Frances Marsh - (non accreditata)
    • Scenografia: Hans Dreier - (non accreditato)
    • Costumi: Travis Banton - (non accreditato)
    • Altri titoli: 
      Sérénade à trois
    • Durata: 90'
    • Colore: B/N
    • Genere: COMMEDIA
    • Specifiche tecniche: 35 MM SFERICO
    • Tratto da: commedia "Quartetto d'archi" di Noel Coward
    • Produzione: ErRNST LUBITSCH PER PARAMOUNT PICTURES

 



 Partita a quattro
       


 

 
 
 

 

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LA LEGGEREZZA DI ERNST LUBITSCH
Ninotchka (USA 1939)

 

"Garbo Laughs!”, La Garbo ride!, così recitavano i claim pubblicitari all’uscita di Ninotchka di Ernst Lubitsch, mostrando, sin dai manifesti pubblicitari, il volto della divina attraversato da un ampio sorriso. Un corpo divino, appunto, come quello di Greta Garbo che ride, che si mostra all’improvviso in un gesto assolutamente, totalmente umano. Siamo nel 1939, nubi di guerra si addensano sull’Europa, Renoir in quel momento sta girando uno dei suoi capolavori, quella Regola del gioco capace di mostrare, sotto forma di gioco del desiderio, l’abisso tra un mondo che sta precipitando e gli eventi di una guerra imminente. Eppure Ninotchcka non sembra essere un film che si allontana dal proprio tempo, che lo vuole dimenticare, anzi. Lubitsch non si allontana dalla vita.

Garbo ride, o meglio, a ridere non è Greta Garbo, ma è Ninotchka, il commissario sovietico giunto a Parigi a controllare i tre emissari governativi che, anziché vendere i gioielli confiscati ad una nobildonna russa passano il loro tempo a godere delle bellezze, delle raffinatezze, dei divertimenti della capitale francese. Ninotchka ride di un capitombolo, di un uomo che cade a terra in un ristorante. Quell’uomo è Melvyn Douglas, Léon, seduttore impenitente, donnaiolo  francese, che conquista la donna, le fa perdere l’auratica resistenza proprio cadendo, perdendo (anche lui) il controllo di sé, delle proprie strategie seduttive. È in quel momento che la donna, il commissario, il volto quasi astratto, al di là dell’umano di Greta Garbo si piega in una stupenda, meravigliosa risata.

Ridendo, Ninotchka si libera e si perde al tempo stesso, lasciandosi andare ad un umano desiderio, lieve, di superficie, quasi danzante. Lubitsch costruisce con Ninotchka una magnifica elegia in cui la critica antisovietica che costituisce la trama narrativa del film risulta alla fine la cosa più esile, più fragile, meno importante. Non esiste, nel mondo chiuso del film, fatto di vetrine, di oggetti di consumo, scarpe e cibi raffinati, spazio per il mondo esterno (come non esiste – ma è sempre evocato in un fuori campo inquietante – in La regola del gioco di Renoir). La commedia di Lubitsch è il più umano dell’umano, tutto è riconducibile, deve essere ricondotto a ciò che corrisponde ai desideri di ognuno. Non seguire il proprio desiderio è a condanna più grave, più insostenibile per un uomo. Il percorso di Ninotchka è quello di una dea che ridiventa umana, senza perdere nessuno dei suoi connotati eterei, niente di quel volto senza tempo. È il potere del desiderio, grande movente delle questioni umane, tanto che in Lubitsch tutto può essere ricondotto ad una grande fenomenologia del desiderio, tanto più potente quanto più sottoposto alle leggi dell’ellisse e del mascheramento, dello slittamento e della deviazione. Lo sguardo del regista ne segue i percorsi attraverso i minimi scarti dei personaggi, Greta Garbo in primis, attraverso la differenza tra gli sguardi di Ninotchka all’inizio del film e e alla fine, tra i movimenti controllati del suo corpo al suo arrivo a Parigi e stanchi, quasi affranti, al suo ritorno a Mosca.

NinotsckaLa dinamica del desiderio è anzitutto una dinamica della parola. Nella Fenomenologia messa in atto da Lubitsch, la parola è lo spazio e il veicolo del desiderio, ciò che in un certo senso determina anche la posizione dei personaggi, nel mondo come nella storia che viene raccontata. Al tempo stesso è l’immagine, il movimento e il gesto dei corpi a determinare ciò che spesso passa sotto il nome di “Lubitsch touch”, quella capacità appunto di rivelare l’umano attraverso le forme del nascondimento e del gesto, dello sguardo e del discorso, purché essi siano pronti a cedere, a collassare, a mostrare anche i momenti vuoti, i travestimenti, le maschere.

Un corpo che cade da una sedia mentre cerca di far ridere una donna raccontando delle barzellette, ecco. Qui il riso esplode, la parola rivela i suoi vuoti: qui tutto si rovescia, qui il desiderio può farsi strada e i corpi, finalmente danzare. Ma verso dove? Lubitsch non è ingenuo, abbracciare il desiderio non è lo stesso per tutti. I tre emissari si ritroveranno a combattere con le astuzie del capitalismo, mentre per Ninotchka e Léon si tratta di abbandonare ogni mondo, ogni appartenenza, e vivere semplicemente il proprio desiderio. È forse questo che aveva compreso Mamoulian quando realizzerà alcuni anni dopo il remake del film di Lubitsch con Fred Astaire e Cyd Charisse (La bella di Mosca). La trasformazione di Ninotchka in Lubitsch è una esplosione, una sonora liberazione, una negazione del volto divino della Garbo; in Mamoulian è attraverso la danza che il corpo di Cyd Charisse si libera al desiderio, una danza particolare, fatta indossando delle calze di seta (Silk Stockings è il titolo originale), facendo del proprio corpo il luogo di consumo delle merci e diventando però grazie a questo il corpo desiderato da Fred Astaire. Ciò che Mamoulian fa (trasformare il film in un musical) è ciò che in Lubitsch rimane implicito, perché il “tocco di Lubitsch” è appunto una danza che non ha bisogno di esprimersi come tale, perché è la vita stessa.

Rivedere Ninotchka in sala è allora un’esperienza particolare, un’esperienza di godimento, anzitutto. Godimento di un tempo e uno spazio cinematografici dove corpo, gesto e parola disegnano un mondo, in un continuo cambiamento di stato, in un continuo gioco del travestimento e del nascondimento, in un continuo flusso che per Lubitsch era al tempo stesso il cinema e la vita.

 da: sentieriselvaggi.it

    

 

 

 

 

 

   Scheda 

     
     
   
    • Regia: 
      Ernst Lubitsch
    • Attori: 
      Greta Garbo
       - Ninotchka
      Melvyn Douglas
       - Leon
      Ina Claire
       - Swana
      Bela Lugosi
       - Razinin
      Sig Rumann (Sig Ruman)
       - Iranoff
      Felix Bressart
       - Buljanoff
      Alexander Granach
       - Kopalski
      Gregory Gaye
       - Rakonin
      Rolfe Sedan
       - Manager dell'hotel
      Edwin Maxwell
       - Mercier
      Richard Carle
       - Gaston
      Dorothy Adams
       - Jacqueline (non accreditata)
      George Tobias
       - Ispettore dell'ufficio visti (non accreditato)
    • Soggetto: Melchior Lengyel
    • Sceneggiatura: Charles Brackett, Billy Wilder, Walter Reisch
    • Fotografia: William Daniels (William H. Daniels)
    • Musiche: Werner R. Heymann
    • Montaggio: Gene Ruggiero
    • Scenografia: Cedric Gibbons
    • Arredamento: Edwin B. Willis
    • Costumi: Adrian
    • Altri titoli: 
      Ninocska
    • Durata: 111'
    • Colore: B/N
    • Genere: COMMEDIA, ROMANTICO
    • Specifiche tecniche: 35 MM
    • Produzione: ERNST LUBITSCH PER LOEW'S INC.
    • Distribuzione: MGM; CINETECA DI BOLOGNA, IN COLLABORAZIONE CON CIRCUITO CINEMA (2013) - MGM HOME ENTERTAINMENT, MONDADORI VIDEO, M&R, SKEMA, RICORDI VIDEO, AVO FILM, SIRIO HOME VIDEO, CDE HOME VIDEO (GLI SCUDI)
    • Riedizione 2013
    • Data uscita 6 Gennaio 2014
 


Ninotchka