Cinema Estate
Dal 3 al 17 agosto 2020
Tre serate con film muti accompagnati da musica eseguita dal vivo da Marco Dalpane (con l'ensemble Musica nel buio) e da Massimo Giuntoli.



Cinema Estate 2020 - Riva del Garda


Il grande cinema sotto le stelle in Rocca.

Quando si va al cinema si alza la testa, quando si guarda la tv la si abbassa e noi di alzare la testa ne abbiamo una voglia matta” (Jean-Luc Godard). Ispirandoci a questa frase del celebre regista vi invitiamo ad “alzare la testa” per vedere un film – atto di resistenza – in questo difficile periodo che stiamo vivendo.

Grazie allo sforzo congiunto con il Comune di Riva del Garda per mettere in sicurezza le proiezioni, riusciamo anche quest’anno a proporvi una piccola rassegna di film muti con l’accompagnamento musicale dal vivo in un luogo simbolo della nostra città.
Per tre lunedì di seguito (3, 10 e 17 agosto) lo schermo della Rocca si illuminerà grazie a tre capolavori del cinema muto con musicisti di altissimo livello che ne accompagneranno la visione.
Ovviamente più che mai quest’anno abbiamo deciso di scegliere commedie e film comici in un momento storico in cui abbiamo bisogno soprattutto di ottimismo.

Inizieremo dunque con il maestro della commedia sofisticata – Ernst Lubitsch – di cui presteremo “Lo scoiattolo”, satira della vita militare all'indomani della Prima guerra mondiale interpretato dalla grandissima Pola Negri. Per questo film il Maestro Marco Dalpane ha scritto una partitura originale all'inizio degli anni 2000 in occasione del restauro della pellicola, che verrà qui riproposta con i musicisti del suo ensemble “Musica nel buio”. 

Come consuetudine faremo poi un omaggio al grande comico del muto Buster Keaton. Quest’anno ricorre il centenario della realizzazione dei suoi primi cortometraggi. Il Maestro Dalpane ci proporrà proprio una selezione di quei cortometraggi che hanno lanciato la carriera di uno dei più grandi comici di tutti i tempi.

Per finire, lo straordinario Massimo Giuntoli improvviserà le sue note sulle immagini di “Preferisco l’ascensore” con Harold Lloyd, altro grande comico del cinema muto americano, oggi purtroppo un po’ dimenticato. Nonostante questo, la scena in cui il suo personaggio si aggrappa alle lancette di un orologio, al di sopra di una strada trafficata, è generalmente ritenuta l'immagine più celebre del cinema comico muto.

Vi ricordo che per motivi di sicurezza quest’anno dovrete prenotarvi telefonicamente per le proiezioni all'Ufficio Cultura (tel. 0464 573916) oppure online.
Sperando di vedervi numerosi con la testa alta e il sorriso sul volto…




     
03 agosto 2020

LO SCOIATTOLO
(Die Bergkatze)


(81' - Commedia, Germania 1921)
Regia di Ernst Lubitsch

Commento musicale dal vivo

ensemble Musica nel buio
Musiche originali di Marco Dalpane
Marco Zanardi, clarinetto - Alessandro Bonetti, violino - Francesca Aste, synth - Claudio Trotta, batteria - Marco Dalpane, pianoforte e composizione
  Lo scoiattolo - Die Bergkatze
 
Buster Keaton

 
10 agosto 2020

100 ANNI DI BUSTER KEATON:
I primi cortometraggi - 1920


- Tiro a segno (The High Sign - 21')
- Una settimana (One Week - 21')

- I vicini (Neighbors - 18')


Commento musicale dal vivo
ensemble Musica nel buio 
Musiche originali di Marco Dalpane
Marco Zanardi, sax tenore, clarinetto - Alberto Capelli, chitarra - Claudio Trotta, batteria - Marco Dalpane, pianoforte e composizione
 17 agosto 2020

PREFERISCO L'ASCENSORE
(Safety Last)




(73' - Comico, Thriller, USA 1923)
Regia di Fred C. Newmeyer e Sam Taylor


Commento musicale dal vivo
Composto ed eseguito da Massimo Giuntoli

   Safety Last - Preferisco l'ascensore
     
     


   
La Rocca - Cortile interno  
Cortile interno della Rocca

Piazza Cesare Battisti 2 - Riva del Garda (TN)

I
n caso di maltempo le proiezioni si svolgono
all'Auditorium del Conservatorio


Ore 21.30 - Ingresso libero.
E' richiesta la prenotazione.
Telefonicamente: 0464 573916 (orario ufficio)
Online a questo link

Per l'occasione, entrata libera al Museo Alto Garda dalle 20 alle 21.30, con visita guidata a partire dalle ore 20.00

     
 

Alcune immagini delle serate

  


 

 

La Firma Cinema

Lunedìcinema | Cineforum  2019 - 2020
  

Carissimi amici,

nel 2011 abbiamo iniziato timidamente a fare un paio di cicli di film a Riva del Garda e l'anno successivo è nato ufficialmente LunedìCinema in collaborazione con i Comuni di Riva del Garda e Arco con successo crescente. Sono dunque otto anni che ogni autunno presentiamo alla cittadinanza dell'Alto Garda una selezione particolarmente significativa di film che hanno fatto a vario titolo la storia del cinema. Anno dopo anno abbiamo affrontato tantissime tematiche e anche quest'anno vi presentiamo cinque cicli di film che si alterneranno tra Riva ed Arco a partire dal 14 ottobre per concludersi il 30 marzo del 2020. Abbiamo scelto alcuni cicli strizzando l'occhio all'attualità e altri nella speranza di far (ri)scoprire attori e generi a volte trascurati dalle programmazioni ufficiali.

Inizieremo proprio da una delle Grandi Dive della storia del cinema: Marlene Dietrich, un'attrice e una donna che non ha avuto paura di schierarsi contro il suo paese nel momento terribile della Germania nazista e della Seconda Guerra Mondiale.
Dedicheremo a lei quattro film, tutti diretti da Joseph von Sternberg, il suo scopritore e Pigmalione che la diresse in sette lungometraggi nella prima metà degli anni Trenta e ne consacrò il mito. Sternberg diresse nel 1930 l'
Angelo azzurro che fissò per sempre nell'immaginario universale le caratteristiche del suo personaggio e la consacrò femme fatale per eccellenza.

50 anni fa l'uomo sbarcò sulla luna e ci sembrava doveroso dedicare un ciclo di film a questo avvenimento che ha segnato la nostra storia. Partiamo con Uomini veri, che mostra proprio alcuni piloti della NASA intenti nel primo progetto di esplorazione spaziale americano, il Programma Mercury.

Altro anniversario importante per l'Italia ma più in generale per l'intera storia del cinema sono i 100 dalla nascita di Federico Fellini e a lui dedichiamo un ciclo di film a Riva cercando di mostrarvene alcuni poco conosciuti e che sono un'”emanazione” diretta di un progetto a cui Fellini lavorò per moltissimo tempo senza riuscire a portarlo a termine, Il viaggio di G.Mastorna. A questi film abbiamo aggiunto il primo grande successo del regista, i Vitelloni, termine entrato nel nostro linguaggio corrente grazie a quest'opera.

Seguirà ad Arco un'interessante serie di film dedicati ad un genere cinematografico prettamente americano: il road movie, e cioè quei film che si svolgono “sulla strada” e che tanta parte hanno nell'immaginario degli Stati Uniti. Non potevamo ovviamente non mostrarvi il capostipite del genere, Easy Rider, che quest'anno festeggia pure lui i suoi 50 anni!

Concluderemo la stagione a Riva con quattro film dedicati a Judy Garland, diva scomparsa anche lei nel 1969 a soli 47 anni e che ci permette di riflettere e rivedere alcuni capolavori di un genere cinematografico come il musical alle volte un po' trascurato dalla nostra rassegna.

Buone visioni a tutti!
Ludovico Maillet
 

lunedìcinemacineforum  

  PROGRAMMA  2019  |  2020    ARCO  |  RIVA DEL GARDA

         
         
  MARLENE DIETRICH E IL SUO PIGMALIONE
   
         
 RIVA DEL GARDA   lunedì 14 ottobre  L'angelo azzurro (1930) di Josef von Sternberg
   
  lunedì 21 ottobre
Marocco (1930) di Josef von Sternberg    
  lunedì 28 ottobre Shanghai Express (1932) di Josef von Sternberg    
  lunedì 4 novembre L'imperatrice Caterina (1934) di Josef von Sternberg
   
         
       
  LA LUNA VISTA DALLA TERRA    
         
 ARCO   lunedì 11 novembre  Uomini veri (1983) di Philip Kaufman    
  lunedì 18 novembre Apollo 13 (1995) di Ron Howard    
  lunedì 25 novembre
Moon (2009) di Duncan Jones    
  lunedì 2 dicembre Space Cowboys (2000) di Clint Eastwood    
         
       
  100 ANNI CON FELLINI      
         
 RIVA DEL GARDA   lunedì 13 gennaio I vitelloni (1953) di Federico Fellini    
  lunedì 20 gennaio Toby Dammit (1968) di Federico Fellini    
  lunedì 20 gennaio Block notes di un regista (1969) di Federico Fellini    
  lunedì 27 gennaio
Fellini Satyricon (1969) di Federico Fellini    
  lunedì 3 febbraio Roma (1972) di Federico Fellini    
         
       
  ROAD MOVIE: IL GENERE AMERICANO PER ECCELLENZA    
         
 ARCO   lunedì 10 febbraio Easy Rider (1969) di Dennis Hopper    
  lunedì 17 febbraio
Punto zero (1971) di Richard C. Sarafian    
 
lunedì 24 febbraio Paper Moon (1973) di Peter Bogdanovic  SOSPESO  
  lunedì 2 marzo Thelma e Louise (1991) di Ridley Scott    
         
       
  50 ANNI SENZA JUDY GARLAND    
         
 RIVA DEL GARDA   lunedì 9 marzo Il mago di Oz (1939) di Victor Fleming SOSPESO  
  lunedì 16 marzo Incontriamoci a Saint Louis (1944) di Vincente Minnelli SOSPESO   
  lunedì 23 marzo Ti amavo senza saperlo (1948) di Charles Walters SOSPESO   
  lunedì 30 marzo E' nata una stella (1954) di George Cukor SOSPESO   
         
         

  

Comune di Riva del Garda

Comune di Riva del Garda

       
Comune di Arco 

 Comune di Arco

Inizio proiezioni ore 21.00

Riva del Garda - Auditorium del Conservatorio
Arco - Palazzo dei Panni

Il programma potrà subire variazioni

 

Federazione Italiana Cineforum



La Firma Cinema

Ingresso con tessera FIC
euro 12.00 valida per l'intera stagione
euro 5.00 per gli studenti fino a 25 anni

Il tesseramento è possibile anche la sera delle
proiezioni prima dell'ingresso in sala

 Per informazioni:
 
Comune di Riva del Garda
Unità Operativa Attività Culturali, Sport e Turismo
Telefono 0464 573918
www.comune.rivadelgarda.tn.it



Comune di Arco
Servizio Attività Culturali
Telefono 0464 583619
www.comune.arco.tn.it

 

 

 LunedìCinema Cineforum 2019 - 2020
  
50 ANNI SENZA JUDY GARLAND
Il mago di Oz (1939)

 

Dalla soglia della casa sopravvissuta alla violenza del tornado, il Mondo di Oz si squaderna in un tripudio di verdi praticelli, placide ninfee, un ponticello lezioso, dolci montagne sul fondo. La macchina da presa accompagna lo stupore con un solenne movimento. Dorothy ha senz’altro ragione: “Toto, ho l’impressione che non siamo più nel Kansas”. L’abbiamo visto, il Kansas, nella prima inquadratura del Mago di Oz: una strada sterrata, circondata da un niente in bianco e nero, che conduce verso un orizzonte immobile e piattissimo. Anche l’autore delle fortunatissime pagine da cui il film è tratto, L. Frank Baum, in poche righe, ci fa intendere che lì tutto è grigio, pure le gote della zia.
Non ci è dato sapere se Dorothy sia l’unico personaggio variopinto, di certo è la sola a poter ambire a un paesaggio diverso. A questo riguardo, è ancor più chiaro il film: Somewhere over the Rainbow suona come l’invocazione a un mondo che irradi garrulo Technicolor. A Oz i colori sono troppo chiassosi, lussureggianti, acidi per sembrarci veri, così come i matte paintings che fingono immensi paesaggi in lontananza. Ci vuol poco, oggi, a definirli camp. Eppure il trucco funziona e il pubblico può condividere l’estasi di Dorothy, per quanto anche all’epoca non fosse nuovo né ai deliri scenografici del musical né al fulgore del Technicolor.

Il mago di Oz (1939) di Victor FlemingÈ impossibile attribuire i meriti del film a un solo mago: Il mago di Oz, anzi, è un “testo senza autore” (Salman Rushdie). L’unica firma che lo marchia a fuoco è quella della MGM. Alla produzione si divisero Mervyn LeRoy e Arthur Freed (sulla carta assistente), quest’ultimo alla sua prima esperienza in una carriera che lo porterà a capo dei maggiori musical della casa. Non è chiaro a chi per primo venne l’idea, per nulla scontata se si considera che, fino ad allora, Oz al cinema non aveva sfavillato (una casa di produzione messa in piedi da Baum per adattare i suoi romanzi chiuse alla svelta, e la versione del 1925 con Oliver Hardy nel costume dell’Uomo di Latta fece poco clamore).
Di certo un buon impulso all’impresa fu assestato dal successone nel 1937 di Biancaneve e i sette nani. Le illustrazioni di William Wallace Denslow per la prima edizione del romanzo, poi, fornirono più che uno spunto iconico.
Furono quattro i registi che parteciparono al progetto: André de Toth (due settimane per niente), George Cukor (tre giorni, abbastanza per consigliare di togliere a Dorothy l’acconciatura bionda), Victor Fleming (quattro mesi, prima di correre sul set di Via col vento) e King Vidor (dieci giorni per le scene del Kansas). Addirittura undici gli sceneggiatori a vario titolo coinvolti. E la gestazione travagliata del film è confermata dai centotrentasei giorni di riprese, tra infelici incidenti di percorso. Ma a dispetto di un così ricco campionario di mani e cervelli, Il mago di Oz è tutt’altro che dispersivo e qua e là raffazzonato: tira invece dritto verso nuovi personaggi, regni e colori, con lo stesso passo saltabeccante dei suoi eroi, per fermarsi ogni tanto a esercitarsi nel canto o nel vaudeville. In fondo, oltre tanto arcobaleno, c’è una morale poco lampante. “Nessun posto è bello come casa mia”, comprende infine Dorothy. Ma tutto il resto sembra smentire apertamente il desiderio di un Kansas monocromo, dal quale è stato bello svegliarsi per prendere in mano il proprio destino di ragazza, senza adulti inadeguati tra i piedi, con la consapevolezza delle proprie virtù.
Il mago di Oz
 fu troppo costoso per ripianare subito i costi, anche se il pubblico accorse e qualche Oscar marginale arrivò (miglior canzone, suono e premio speciale a Judy Garland). La sua enorme risonanza fu però un fenomeno soprattutto televisivo: a partire dal 1956 il film diventerà un appuntamento domestico fisso e, conseguentemente, una “American institution” (A. Harmetz).
Se il mondo di Oz boccheggia nei vari film che l’hanno in seguito rivisitato, si dimostra fertilissimo quando penetra come suggestione o incubo, più o meno latente, in contesti a prima vista lontani: Zardoz (John Boorman, 1974), Alice non abita più qui (Martin Scorsese, 1974), Cuore selvaggio (David Lynch, 1990), fino al magma del romanzo L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon.
(Andrea Meneghelli, Enciclopedia del Cinema Treccani, 2004)

Le sequenze del Kansas erano imbibite color seppia. Erano girate in bianco e nero; poi la pellicola veniva immersa in un liquido color marrone per attenuare i contrasti del bianco e nero. Il resto del film era a colori. E il colore era ancora un mare inesplorato. Creare il design della Città di Smeraldo era, in un certo senso, più facile che trovare la tinta appropriata per la Strada di mattoni gialli. E almeno era meno noioso. Trovare una tinta che non facesse sembrare verde la Strada di mattoni gialli era compito di Randall Duell, e gli prese all'incirca una settimana. “Il film a colori non era ancora stato perfezionato all'epoca”, dice Duell. “Dovevamo fare un sacco di test ed esperimenti con la pellicola per ottenere i colori da ricreare correttamente. Iniziavamo a riprendere un set una settimana o due prima che fosse utilizzato. Dovevamo fare test cromatici per ogni set non solo per le parti dipinte ma anche per gli sfondi. Una parte della Strada di mattoni gialli era un fondale dipinto. Se non fosse stato dipinto e illuminato correttamente, sarebbe sembrato un fondale dipinto”.
(Aljean Harmetz, The Making of The Wizard of Oz, Alfred A. Knopf, New York 1981)

Il mago di Oz (1939) di Victor FlemingUno degli elementi per cui Il mago di Oz viene ricordato è Over the Rainbow, cantata nel film da Judy Garland su musiche di Harold Arlen e parole di A.Y. Harburg, che vinse l'Oscar per la migliore canzone e nel 2001 è stata eletta 'Canzone del secolo' dalla Recording Industry Association of America e dalla National Endowment for the Arts (al secondo posto figurava White Christmas di Irving Berlin). Judy Garland la inserì nel proprio repertorio senza mai abbandonarla, fino alla morte nel 1969. Così scriveva in una lettera ad Arlen: "Over the Rainbow è diventato parte della mia vita. È così simbolica dei sogni e dei desideri di tutti che sono sicura che è per questo che alcune persone hanno le lacrime agli occhi ascoltandola. L'ho cantata migliaia di volte ed è ancora la canzone che ho nel cuore".
La fortuna della canzone giunge quasi ininterrotta fino ai nostri giorni: non si contano le cover, le versioni in varie lingue del mondo, compreso l'esperanto, e la sua presenza in film (da Scandalo a Philadelphia a Insonnia d'amore, ma anche L'abominevole dottor Phibes) e serie televisive. Dal 2004, una versione per ukulele dell'hawaiano Israel Kamakawiwo, in medley con What a Wonderful World, ha nuovamente scalato le classifiche.
La canzone è poi diventata un simbolo delle speranze e della liberazione del mondo gay. Judy Garland, infatti, è una delle icone gay dello spettacolo del XX secolo: leggenda vuole che i moti di Stonewall, tra la comunità omosessuale e la polizia, avvenuti poche giorni dopo il funerale dell'attrice, fossero in qualche modo collegati a quel momento di lutto e agitazione collettiva. Non sorprendono allora i titoli di alcuni volumi recenti, come Over the rainbow: lesbian and gay politics in America since Stonewall (1995), a cura by David Deitcher, Over the rainbow: queer children's and young adult literature (2011), a cura di Michelle Ann Abate e Kenneth Kidd, e Over the rainbow city: towards a new LGBT citizenship in Italy (2015) di Fabio Corbisiero.
Nella letteratura italiana, infine, c'è un illustre omaggio alla canzone. Si tratta di Una questione privata di Beppe Fenoglio, uno dei capolavori della narrativa italiana del Novecento, in cui la canzone ha un ruolo centrale:
“Ma un giorno, erano soli, Fulvia caricò il fonografo con le sue mani e mise Over the Rainbow, 'Avanti, balla con me'. Lui aveva detto, forse aveva gridato di no. 'Devi imparare, assolutamente. Con me, per me. Avanti'. 'Non voglio imparare… con te'. Ma già lo teneva, lo spostava nello spazio libero e spostandolo ballava. 'No!' protestò lui, ma era così sconvolto che non riusciva nemmeno a tentare di divincolarsi. 'E soprattutto non con quella canzone!' Ma lei non lo lasciava e lui dovette badare a non inciampare e rovinarle addosso”.
Una questione privata (pubblicata postuma da Garzanti nel 1963 con altri racconti sotto il titolo Un giorno di fuoco) è una bellissima storia d’amore, una delle più intense della narrativa del Novecento. Come tutte le grandi storie d’amore è di una semplicità disarmante: nel corso della lotta partigiana, Milton, studente universitario di Alba, è perdutamente innamorato di Fulvia, una ricca ragazza sfollata nelle Langhe per sfuggire ai bombardamenti di Torino. Timido, impacciato nei modi, convinto di non essere bello, la pelle spessa e pallidissima, Milton la corteggia scrivendole lettere appassionate, traducendo per lei brani e versi dall’inglese, coinvolgendola in discorsi 'seri'. Lei è attratta da quel ragazzo così diverso dagli altri e ha gioco facile nel simboleggiargli l’altrove: la città, la modernità dei costumi, persino l’America. La loro canzone è Over the Rainbow, interpretata da Judy Garland e tratta dal Mago di Oz (1939). Ed è proprio questa hit – il film di Victor Fleming sarebbe uscito in Italia solo dopo la guerra – a ribaltare i piani, a disgregare lentamente il manto di retorica sulla Resistenza, a esaltare un’avventura esistenziale.
(Aldo Grasso, “Corriere della Sera”, 6 ottobre 2003).

da: http://distribuzione.ilcinemaritrovato.it/per-conoscere-i-film/il-mago-di-oz/over-the-rainbow/

    

 

 

 

 

 

   Scheda 

         Il mago di Oz (1939) di Victor Fleming
     
TITOLO ORIGINALE The Wizard of Oz  
LINGUA ORIGINALE Inglese  
PRODUZIONE Stati Uniti d'America  
ANNO 1939  
DURATA 101'  
COLORE Technicolor  
RAPPORTO 1.37 : 1  
GENERE Musicaleavventuracommediafantastico  
REGIA Victor Fleming
George CukorMervyn LeRoyNorman TaurogKing Vidor (non accreditati)
   
INTERPRETI E PERSONAGGI

  • Judy Garland: Dorothy Gale
  • Frank Morgan: professor Meraviglia, mago di Oz, portiere, autista, guardia
  • Ray Bolger: Hunk, spaventapasseri
  • Bert Lahr: Zeke, leone
  • Jack Haley: Hickory, uomo di latta
  • Billie Burke: Glinda
  • Margaret Hamilton: Almira Gulch, strega dell'Ovest
  • Charley Grapewin: zio Henry
 
DOPPIATORI ITALIANI

  • Miranda Bonansea: Dorothy Gale (dialoghi)
  • Lucia Mannucci: Dorothy Gale (canto)
  • Olinto Cristina: professor Meraviglia, mago di Oz, portiere, autista, guardia
  • Stefano Sibaldi: Hunk, spaventapasseri (dialoghi)
  • Virgilio Savona: spaventapasseri (canto)
  • Luigi Pavese: Zeke, leone (dialoghi)
  • Tata Giacobetti: leone (canto)
  • Mario Pisu: Hickory, uomo di latta (dialoghi)
  • Mario Pisu: uomo di latta (canto)
  • Renata Marini: Glinda
  • Wanda Tettoni: Almira Gulch, strega dell'Ovest
  • Amilcare Quarra: zio Henry

Primo ridoppiaggio (1982)

  • Anna Marchesini: Dorothy Gale
  • Gino Pagnani: professor Meraviglia, mago di Oz, portiere, autista, guardia
  • Eugenio Marinelli: Hunk, spaventapasseri
  • Elio Pandolfi: Zeke, leone
  • Nino Scardina: Hickory, uomo di latta
  • Anna Teresa Eugeni: Almira Gulch, strega dell'Ovest
  • Manlio Guardabassi: zio Henry

Secondo ridoppiaggio (1985)

  • Elda Olivieri: Dorothy Gale
  • Carlo Bonomi: professor Meraviglia, mago di Oz, portiere, autista, guardia
  • Silvano Piccardi: Hunk, spaventapasseri
  • Raffaele Fallica: Zeke, leone
  • Paolo Bessegato: Hickory, uomo di latta
  • Maria Teresa Letizia: Glinda
  • Franca Nuti: Almira Gulch, strega dell'Ovest
  • Gianni Mantesi: zio Henry
 
SOGGETTO dal romanzo di L. Frank Baum  
PRODUTTORE Mervyn LeRoy
Metro-Goldwyn-Mayer

 
SCENEGGIATURA Noel LangleyFlorence RyersonEdgar Allan Woolf, (non accreditati) Irving BrecherWilliam H. CannonHerbert FieldsArthur FreedJack HaleyE.Y. HarburgSamuel HoffensteinBert LahrJohn Lee MahinHerman J. MankiewiczJack MintzOgden NashRobert PiroshGeorge SeatonSid Silvers  
FOTOGRAFIA Harold Rosson  
MONTAGGIO Blanche Sewell  
EFFETTI SPECIALI A. Arnold Gillespie  
SCENOGRAFIA Noel Langley  
MUSICHE Harold ArlenHerbert Stothart  
COSTUMI Adrian  
TRUCCO Jack Dawn  
     


 

 
 
 

 

 LunedìCinema Cineforum 2019 -2020
    
MARLENE DIETRICH E IL SUO PIGMALIONE
L'angelo azzurro (1930)
 

Un severissimo professore del ginnasio, Immanuel Rath (Emile Jennings) scopre che i suoi alunni ronzano intorno a Lola-Lola (Marlene Dietrich), cantante e ballerina dai costumi disinvolti che si esibisce nell’equivoco "Angelo azzurro". 
Deciso di prenderli in castagna vi si reca ma incoccia nella bellissima donna di cui perdutamente si innamora. La sua caduta sarà veloce e inesorabile.

"L’Angelo azzurro" è considerato il primo film sonoro della gloriosa cinematografia tedesca. 
È un fatto che questa aveva già dato il meglio di sé con il muto e il passaggio al sonoro si stava rivelando molto problematico non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello puramente fonetico: la lingua che fu di Holderlin e Goethe sul grande schermo non attecchiva, muoveva gli spettatori al riso, troppo dura e indomesticabile. 
Non a caso fu chiamato dagli Stati Uniti Sternberg (il "von" nobiliare è posticcio) che infatti mise in scena non il primo in assoluto ma il primo film sonoro di successo. 
Sternberg si era costruito un’ottima reputazione a Hollywood con "Underworld" ("Le notti di Chicago", 1927, comunque muto) ma ancora più decisiva fu la sua origine viennese, con la sua cadenza più dolce dell’aspro tedesco germanico che il raffinato Josef trovò il modo di imbrigliare, come ci mostra una delle più esilaranti sequenze del film, quando il professor Rath schiaffa una matita tra i denti di un alunno per addolcire i suoni palatali. 
"L’Angelo azzurro" porta anche alla ribalta un nome fino ad allora, se non sconosciuto, ignorato, quello di Marlene Dietrich non più giovanissima (ha 28 anni) e neanche di primo pelo (ha già girato 17 film) ma che non era riuscita, fino a quel momento, a rimanere impressa nella mente di alcun produttore, regista e forse neanche spettatore. 
Plasmata come una cera, Sternberg avvia con questo film un sodalizio artistico-sentimentale che si dipana tra alti e moltissimi bassi lungo otto lungometraggi in cinque anni, dal 1930 al 1935. 
Fa una certa impressione ricordare che ne "L’angelo azzurro" il 1935 è indicato esattamente come l’annus horribilis, quello in cui si completa la disfatta del professor Rath, una sorta di alter ego di Sternberg. Non in questo caso però: il regista, ormai ricchissimo, dopo la rottura con Marlene si allontana dai tournage cinematografici (complice una inesorabile sequela di fiaschi commerciali) e si rifugia nella sua casa dorata a collezionare oggetti e ninnoli di arte moderna, assecondando quel suo gusto "decorativo" se non vagamente kitsch con cui i suoi detrattori lo avevano sempre sbeffeggiato, a cominciare da Lubitsch.

L'angelo azzurro (1930) di Josef von Sternber"L’angelo azzurro" è quindi un film nevralgico, un crocevia: Weimar sta per cedere a Hitler; il sonoro soppianta definitivamente il muto (nonostante la resistenza quasi eroica di Murnau e Chaplin); l’espressionismo si gioca le sue ultimissime carte: legato indissolubilmente al muto, nel nostro film si arrocca negli esterni, in quei brevi tratti che portano dalla casa di Rath al ginnasio e da questo all’Angelo azzurro, lungo le cui strade il campanile rintocca le ore e le finestre sono sempre sigillate come se fosse in atto una guerra tra il mondo dentro e il mondo fuori e fosse quest’ultimo, accartocciato nelle deformazioni espressioniste, a costringere i protagonisti in quegli anfratti coperti dove sconteranno il loro destino. 
Così, come il film si apre su un uccellino in gabbia morto, allo stesso modo Unrat (come lo chiamano i suoi studenti, "spazzatura") non trova mai scampo al magnetismo di Lola e inizia a girare a vuoto tra cantine e boudoir, palcoscenico e palchetti, salvo quando è ormai troppo tardi e finalmente libero corre, corre verso la sua antica cattedra di professore d’inglese sulla quale si accascia. 
Lo spazio recitativo è angosciosamente intasato, pieno di cose, carabattole, cordami, trucchi, scale… un caos che repelle ma ancor più affascina l’austero professore totalmente impreparato a un novecento nel quale solo in quel momento si rende conto di essere. Non a caso il pretesto letterario del film è il romanzo di Heirich Mann (fratello del più celebre Thomas) che lo aveva ambientato nella Germania guglielmina, ottocentesca: Rath infatti è uno stereotipo di certo autoritarismo così come ce lo hanno tramandato i grandi romanzieri dell’epoca, a cominciare da Robert Musil ne "I turbamenti del giovane Torless". È un peccato che la psicoanalisi post-freudiana e un non sempre acuto Siegfried Kracauer abbiano sintetizzato la parabola del professore come l’esercizio di un autoritarismo considerato sadismo e/o impotenza sessuale. È un peccato perché il salto temporale azzera in realtà ogni valore alle analisi.

Spazi ingombri, si diceva. 
Rath, grassoccio e azzimato, vi si muove con grande fatica e tutta la sua vivacità sta nello sguardo che indirizza i movimenti della cinepresa, uno sguardo inquieto, febbrile e anche bellicoso, prima in cerca dei suoi studenti poi della sua amata infrattata con Mazeppa, un bellimbusto italiano. 
I movimenti sono impercettibili perché gli spazi sono ridotti, eppure in quel microcosmo infernale ci sono tutte le risposte che si cercano. Forse la più bella sequenza del film è proprio quella del tradimento di Lola, quando Rath, vestito da pagliaccio ma luciferino come il diavolo del Faust di Murnau (l’attore è lo stesso in effetti) cerca l’amata dall’alto del palcoscenico entro cui si sta esibendo e la trova, appena dietro il sipario, schiacciata a terra dalla foia del bellimbusto e dalla cinepresa che le si addossa in plongée, che la fissa sul pavimento lurido che mette in valore la sua faccia diafana e gli occhi spalancati, terrorizzati e colpevoli su cui l’illuminazione spara i suoi mille watt come in una foto segnaletica. 
È l’unica inquadratura in cui Lola è ripresa quasi in primo piano. 
In tutte le altre è stata trattata al pari di un qualsiasi oggetto di dècor, come ciascuna delle carabattole che ne intralciavano il trucco e le esibizioni. 
È il corpo di Lola che genera desiderio e sensualità, le sue gambe atletiche e generosamente nude, le sue mutandine di pizzo, le sue pose plastiche che la rendono statuaria nella forma e statua nel comportamento, completamente disinteressata al bene e al male, spsicologizzata. Se ne ricorderà Godard ne "Le Mèpris" quando volle plasmare la recitazione di Brigitte Bardot (ma non con gli stessi risultati).

È indubbio che la sensualità che Marlene impone nel nostro film non troverà più il paio in quelli successivi. L’interesse della regia si sposta sul volto, inquadrato come una carta geografica di grande impatto emozionale ("l’immagine-affetto") ma sessualmente neutra o al massimo ambigua come un primo piano di Greta Garbo. 
Non è un caso che tuttora Marlene sia una sorta di simbolo dell’androginia (nonché icona-gay) e che in molti sono sicuri che abbia recitato sempre coi pantaloni.

È un fatto che Sternberg fatti salvi il precedente "Underworld" e il successivo "Morocco" ("Marocco", 1930) non ritrovò mai più la prodigiosa sintesi de "L’angelo azzurro" che procede con un montaggio vorticoso ma sempre intelligibile. Partito al piccolo trotto, si preoccupa in primis di definire i personaggi e le loro psicologie, impiegando la prima metà del film per incasellarli tutti. La seconda metà diventa invece una sarabanda vertiginosa che grazie alle informazioni propalate nella prima ci aiuta a operare tutti i salti logici e temporali che ci avviano verso un finale sì fatale e naturale ma quasi a sorpresa. 
Di grande aiuto a Sternberg, come scritto, fu la sua esperienza americana col sonoro, una banda che usa con molta accortezza e che usa come raccordo (i rintocchi del campanile), come simbolo in quelle rime continue di cingettii, coccodè e chicchirichì che sono il vero fil rouge della storia e infine come leit-motiv, nella canzone "Ich bin die fesche Lola" cantata da Marlene con la sua caratteristica voce bassa, in quella celeberrima sequenza (vedi fotografia 1) in cui si siede su di un barile e mette in mostra le gambe.

recensione di Pietro S. Calò
da: Ondacinema.it

 

 

 

 

 

 

   Scheda 

      L'angelo azzurro (1930) di Josef von Sternber   
     
TITOLO ORIGINALE Der blaue Engel  
PRODUZIONE Germania  
ANNO 1930  
DURATA 99'  
COLORE b/n  
RAPPORTO 1,20:1  
GENERE Drammatico, musicale  
REGIA Josef von Sternber

   

INTERPRETI E PERSONAGGI

  • Emil Jannings: professor Immanuel Rath (it: Emanuele)
  • Marlene Dietrich: Lola Lola
  • Kurt Gerron: Kiepert l'illusionista
  • Rosa Valetti: Guste, moglie di Kiepert
  • Hans Albers: Mazeppa
  • Reinhold Bernt: il clown
  • Eduard von Winterstein (come Eduard V. Winterstein): direttore della scuola
  • Hans Roth
  • Rolf Müller
  • Roland Varno
  • Wilhelm Diegelmann: il capitano
  • Ilse Fürstenberg: cameriera del professore
  • Friedrich Hollaender: il pianista (non accreditato)
 
DOPPIATORI ITALIANI

Doppiaggio originale (1931):
  • Gero Zambuto: Emil Jannings

Ridoppiaggio (1950):

  • Mario Besesti: Emil Jannigs
  • Tina Lattanzi: Marlene Dietrich
  • Carlo Romano: Kurt Gerron
  • Lola Braccini: Rosa Valetti
  • Sandro Ruffini: Hans Albers
  • Stefano Sibaldi: Eduard von Winterstein
  • Olinto Cristina: Wilhelm Diegelmann
  • Wanda Tettoni: Ilse Fürstenberg
  • Massimo Turci: liceale
  • Gianfranco Bellini: liceale
  • Pino Locchi: liceale
 
SOGGETTO Heinrich Mann (romanzo)

 
CASA DI PRODUZIONE UFA

 
SCENEGGIATURA Carl ZuckmayerKarl VollmöllerRobert Liebman  
FOTOGRAFIA Günther RittauHans Schneeberger  
MONTAGGIO Sam Winston Walter Klee(per la versione inglese)  
MUSICHE Frederick HollaenderWolfgang Amadeus MozartRenzo Rossellini (musiche per l'edizione italiana)  
SCENOGRAFIA Otto Hunte
Emil Hasler (assistente)
 
COSTUMI Tihamer Varady