LunedìCinemaCineforum 2018 -2019
    

LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA
Il mafioso (1962)


In Mafioso Sordi è Antonio Badalamenti, cognome che già nel 1962 fa una certa impressione (Gaetano Badalamenti è socio di Luciano Liggio e nel 1963 diventerà un capo-cosca importante; Peppino Impastato verrà ucciso nel 1978, lo stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani, e il film di Marco Tullio Giordana, I cento passi, arriverà nel 2000). Antonio Badalamenti, dicevamo, ha un ottimo lavoro in un’industria milanese e sta per andare in ferie con la famiglia in Sicilia, terra natìa dalla quale manca da anni. Un dirigente della fabbrica, italoamericano di origini sicule, lo chiama e gli consegna un pacco da portare a don Vincenzo, notabile di Calamo, paese natale di Antonio (Calamo non esiste, è un ovvio anagramma di Alcamo). La famiglia arriva al paesello in macchina: è una scena memorabile, nella quale Antonio bacia e abbraccia i familiari urlando come un pazzo in dialetto e confondendo la vecchia madre con una zia, mentre la moglie nordica (la interpreta Norma Bengell, brasiliana bionda, doppiata dalla milanese Adriana Asti) osserva stupefatta. Sordi è fantastico e straripante: la sua performance in questa scena e in tutto il film, nel quale non ci sono altri attori di nome, dà indirettamente ragione a Giuseppe Marotta che, su «L’Europeo» dell’11 novembre 1962, scrive del film: «Perdonami, Lattuada, ma devi ammettere che l’attuale Sordi è Attila: 
dove il suo cavallo si inoltra, non cresce più lanuggine d’erba per il talento degli altri».

Il ritorno di Antonio alla terra d’origine si colora però, ben presto, di toni opachi. Si ritrova immischiato in una faida immobiliare (la vendita di un terreno) che riguarda la sua famiglia e che viene risolta proprio da don Vincenzo; il dono per quest’ultimo si rivela essere una polpetta avvelenata, un messaggio in codice: la condanna a morte di un capo della mafia italoamericana che il boss di Calamo è costretto ad eseguire. In una scena al luna park, festosa ma foriera di morte, Antonio (con baffetti e coppola in testa) si esibisce al tiro a segno sfoderando una mira infallibile. Partito per una battuta di caccia, scopre che la preda è il boss italoamericano di cui sopra: viene spedito clandestinamente in America, chiuso in una cassa imbarcata su un aereo, e riportato nello stesso modo nel giro di 24 ore dopo aver compiuto, in una sala di barbiere del New Jersey, il suo primo (e ultimo?) omicidio.
La trama di Mafioso coincide con un percorso malavitoso, emotivo, esistenziale: Antonio viene fagocitato da un’identità che credeva di avere espulso da se stesso. Ridiventa mafioso, forse lo è sempre stato. Lattuada – regista concreto che lavora su corpi, gesti, emozioni – racconta questa regressione puntando molto sull’identità incerta di Antonio, anche dal punto di vista sessuale. 
Quando l’uomo tenta di far ragionare il vecchio padre, incaponito nella faida con il proprietario del podere vicino, quello lo insulta dandogli della «femmina». Il lungo dialogo in spiaggia con i vecchi amici rimasti al paese, sulle diverse attitudini erotiche delle donne in Sicilia e al Nord, è un richiamo del branco al quale Antonio non è in grado di resistere: Lattuada lo gira come un reportage etnografico, gli uomini in costume da bagno sembrano leoni marini spiaggiati al sole, la figura di donna modellata con la sabbia (come i castelli costruiti per gioco dai bambini) rappresenta la fantasticheria erotica di un gruppo di adulti non cresciuti. Quando poi il branco punta gli occhi sulla moglie di Antonio – bionda e visibilmente «emancipata», donna del Nord – lui li rimette in riga rientrando nei ranghi e assumendo, di fatto, il ruolo di capobranco, di maschio Alfa: «Io vivo a Milano ma siciliano sugno»

Antonio Badalamenti è diviso fra tre mondi: il Nord industrializzato (la fabbrica), il Sud arcaico (la famiglia, il cibo, il podere, la spiaggia, la battuta di caccia) e l’America. Se i primi due sono costruiti su stereotipi sociali funzionali alla costruzione del racconto, il terzo è connotato in senso onirico: ci si va di notte, in un viaggio che non potrà mai essere raccontato, è l’America sognata (anche da precedenti personaggi incarnati da Sordi: Un americano a Roma...) che si trasforma in incubo. Diviso fra questi mondi che sono altrettante identità – la prima rispettabile, la seconda atavica, la terza inconfessabile –, Antonio è un personaggio privo di identità propria. Sembra l’incarnazione di teorie antropologiche sul concetto di identità venute a maturazione in tempi molto più recenti, in testi come L’ossessione identitaria di Francesco Remotti (Laterza, Roma-Bari 2011) o Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi di Benedict Anderson (Laterza, Roma-Bari 2018, ma la prima edizione originale è del 1983).

     Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)


da: 
Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)

 
 

 

   Scheda 

      Il mafioso (1962) di Alberto Lattuada   
     
PRODUZIONE Italia  
ANNO 1962  
DURATA 98'  
COLORE B/N  
RAPPORTO    
GENERE Drammatico  
REGIA Alberto lattuada    

INTERPRETI E PERSONAGGI


  • Alberto Sordi: Antonio Badalamenti
  • Norma Bengell: Marta
  • Gabriella Conti: Rosalia
  • Ugo Attanasio: Don Vincenzo
  • Cinzia Bruno: Caterina
  • Katiuscia: Cinzia
  • Armando Tine: dottor Zanchi
  • Lilly Bistrattin: segretaria del dottor Zanchi
  • Michèle Bailly: baronessa
  • Francesco Lo Briglio: Don Calogero
  • Carmelo Oliviero: Liborio
 

DOPPIATORI ITALIANI

  • Adriana Asti: Marta
  • Ennio Balbo: Don Vincenzo
  • Corrado Gaipa: dottor Zanchi; Liborio
 
SOGGETTO Bruno Caruso  
CASA DI PRODUZIONE Dino De Laurentiis  
SCENEGGIATURA Rafael AzconaMarco FerreriAgenore IncrocciFurio Scarpelli  
FOTOGRAFIA Armando Nannuzzi  
MONTAGGIO Nino Baragli  
MUSICHE Piero Piccioni  
SCENOGRAFIA Carlo Egidi