LunedìCinemaCineforum 2018 -2019
    

LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA
Il sorpasso  (1962)

 

Vittorio Gassman e Dino Risi si sono incontrati per Il mattatore (1960), un film ispirato a una trasmissione Rai con lo stesso titolo nel quale l’attore sfodera tutto il suo talento di istrione trasformista. Il sorpasso è il primo film, per generale ammissione, in cui Gassman recita con la propria faccia: in I soliti ignoti era pesantemente truccato, la fronte abbassata con un toupet, il naso ingrossato, la bocca modificata con un paradenti da pugile (Marlon Brando, nel Padrino di Coppola, non ha inventato nulla).
La produzione è scarna, economicamente povera ma agilissima: piuttosto che come una commedia all’italiana (genere che solitamente fa largo uso di interni in teatro di posa e prevede una sceneggiatura di ferro), Il sorpasso è girato come un film della Nouvelle Vague o del cinema indipendente americano. Riprese dal vero, ampio spazio all’improvvisazione, coinvolgimento in numerose scene di parenti o amici di passaggio (una delle turiste tedesche inseguite da Bruno e Roberto è Annette Stroyberg, futura fidanzata di Gassman; nelle scene di Castiglioncello compaiono Vittorio Cecchi Gori, figlio del produttore, e Paola Gassman, figlia dell’attore).

Il sorpasso (1962) di Dino RisiTutto è talmente «rubato» dalla realtà che le riprese cominciano addirittura senza il coprotagonista: Risi e Gassman girano l’inizio del film nei giorni intorno al Ferragosto del 1962, approfittando delle vie di Roma deserte e senza traffico. Jean-Louis Trintignant non è ancora stato scritturato. In tutte le prime scene – la breve inquadratura in cui Roberto si affaccia alla finestra, la macchina con i due a bordo che percorre il centro della città – c’è una controfigura. Trintignant viene scelto non solo per motivi di coproduzione con la Francia, ma anche perché corrisponde all’idea che Risi e Gassman si sono fatti dell’«antagonista»: bassino, esile, biondo mentre il protagonista è alto, atletico, bruno. Gli dà voce Paolo Ferrari, reduce tra l’altro dal doppiaggio di Franco Citti in Accattone (Pier Paolo Pasolini, 1961).

A dimostrazione che spesso le scelte artistiche derivano dalle circostanze produttive, l’importanza di Il sorpasso è strettamente legata al modo in cui il film viene realizzato. Dimostra l’assunto dal quale siamo partiti: il cinema come documento storico. Un futuro archeologo che vorrà, tra qualche migliaio di anni, capire cos’erano gli anni Sessanta in Italia ricaverà più informazioni da questo film che da mille libri di storia. Facciamo degli esempi. Nel prologo si vede una Roma che, più di mezzo secolo dopo, sembra uscire da una pellicola di fantascienza. La macchina guidata da Gassman vaga per strade deserte, moderne.
Gli anni Sessanta sono fisicamente presenti, «sono» il film: il Ferragosto che svuota la città in modo oggi inimmaginabile, i negozi chiusi, le finestre sbarrate, l’assenza di pedoni e di macchine parcheggiate. Un rito sociale allora irrinunciabile, che rendeva invivibili le grandi città per i pochi costretti a rimanerci e spediva tutti gli italiani in ferie in coincidenza con la chiusura dei ministeri e delle grandi fabbriche del Nord. Il quartiere scelto per le riprese: la Balduina, Roma Nord-Ovest, fresca urbanizzazione per la classe media, quasi una mimesi borghese dei più antichi Parioli limitrofi al centro. Quando Bruno parcheggia l’auto per bere da una fontanella, sembra che la città finisca, e in un certo senso è così: siamo in via Proba Petronia, dove ancora oggi la Balduina si interrompe, affacciandosi sul cuneo verde di Valle Aurelia e del Pineto Torlonia.

L’automobile è il terzo protagonista del film: è una Lancia Aurelia B24, una splendida e costosa decappottabile creata dalla Lancia (e progettata da Pininfarina) dal 1954. Nel 1962 è già una vettura vintage (tra l’altro, l’esemplare guidato da Gassman ha ritocchi alla carrozzeria) ed è la tipica auto «da rimorchio»: chi la guida è per definizione un maschio aggressivo, una simile vettura racconta il sogno di vacanze avventurose, di viaggi improvvisati, di vita «on the road». I suoi duelli con le altre auto, sulla via Aurelia che si chiama come lei, sono destinati alla sconfitta degli avversari: «Quando passa Bruno daje strada», grida Gassman a un incauto rivale che ha tentato di negargli il sorpasso. Sull’Aurelia c’è di tutto: furgoncini che ospitano famiglie in gita, berline più compassate, utilitarie che marcano la differenza di classe, moto con sidecar affollatissimi («er nonno non è voluto veni’?»), biciclette con ciclisti affaticati che Bruno sfotte crudelmente («Anvedi er girino, j’ha preso la cotta. Fatte la Vespa!»).

     Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)


da: 
Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)

 
 

 

   Scheda 

      Il sorpasso (1962) di Dino Risi   
     
PRODUZIONE Italia  
ANNO 1962  
DURATA 108   
COLORE B/N  
RAPPORTO 1,85:1  
GENERE Commedia, drammatico  
REGIA Dino Risi    

INTERPRETI E PERSONAGGI


  • Vittorio Gassman: Bruno Cortona
  • Catherine Spaak: Lilly Cortona
  • Jean-Louis Trintignant: Roberto Mariani
  • Luciana Angiolillo: Gianna, moglie di Bruno
  • Claudio Gora: Bibì, fidanzato di Lilly
  • Luigi Zerbinati: commendatore
  • Franca Polesello: moglie del commendatore
  • Linda Sini: Lidia (zia di Roberto)
  • Bruna Simionato: Enrica (zia di Roberto)
  • John Francis Lane: Alfredo, l'avvocato
  • Annette Strøyberg: turista tedesca
  • Nando Angelini: Amedeo
  • Mila Stanic: Clara
  • Edda Ferronao: cameriera a Civitavecchia
  • Jacques Stany: automobilista toscano
 

DOPPIATORI ORIGINALI

  • Melina Martello: Lilly Cortona
  • Paolo Ferrari: Roberto Mariani
  • Benita Martini: Gianna
  • Edoardo Toniolo: commendatore
  • Antonio Guidi: Alfredo, l'avvocato
  • Noemi Gifuni: moglie del commendatore
 
SOGGETTO Dino RisiEttore ScolaRuggero Maccari  
CASA DI PRODUZIONE Dario Cecchi Gori per Fair Film, INCEI Film, Sancro Film  
SCENEGGIATURA Dino RisiEttore ScolaRuggero Maccari  
FOTOGRAFIA Alfio Contini  
MONTAGGIO Maurizio Lucidi  
MUSICHE Riz Ortolani  
SCENOGRAFIA Ugo Pericoli  
     


 

 

 

 LunedìCinemaCineforum 2018 -2019
    

LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA
La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa! (1977)


Sollima comincia a pensare a un film salgariano subito dopo Corri uomo corri. Per il ruolo di Sandokan vorrebbe il giapponese Toshiro Mifune, interprete di tanti capolavori di Akira Kurosawa. Lavora su un copione che poi abbandona. Nel frattempo, il nome di Salgari circola per i corridoi della Rai. È un vecchio sogno del direttore generale Ettore Bernabei, che mette al lavoro sul progetto il produttore Rai Elio Scardamaglia affiancato al capo della Titanus, Goffredo Lombardo. Vengono contattati diversi registi, fra i quali Sergio Leone. Dopo lunghi giri la proposta arriva a Sollima, che accetta a una condizione: girare in Oriente, nei luoghi veri, con attori locali.

La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa! (1977) di Sergio SollimaÈ il 1972. Dopo due anni di preparazione, otto mesi di riprese (iniziate nel luglio del 1974) e un paziente lavoro di montaggio, Sandokan arriva sugli schermi italiani in sei puntate, mandate in onda dal 6 gennaio all’8 febbraio 1976. È un trionfo. Kabir Bedi, attore indiano scelto per il ruolo dopo una robusta dieta dimagrante (in India i divi sono tanto più popolari quanto più grassocci), diventa da un giorno all’altro l’uomo più famoso d’Italia.
Particolarmente azzeccata si rivela la scelta di Philippe Leroy per il ruolo di Yanez e di Adolfo Celi per quello del rajah bianco James Brooke: Sollima li vuole, oltre che per il loro talento, per il loro passato di «autentici avventurieri». Leroy è un ex parà della Legione Straniera e Celi è vissuto per anni in Brasile, diventando un cineasta internazionale capace di interpretare un credibilissimo «cattivo» bondiano in Agente 007 Thunderball: operazione tuono (Terence Young, 1965). Con il fisico di Bedi, il carisma di questi due gaglioffi e la bellezza diafana di Carole André, la perla di Labuan, Sandokan entra – anche grazie alla sigla musicale degli Oliver Onions, che va in testa alla hit parade – nelle case di milioni di italiani e nella loro memoria imperitura. (...)
Le sei puntate del film sono piene di bandiere rosse, naturalmente contestualizzate nella trama e issate sui praho dei pirati, ma pur sempre allusive: ce ne sono di più in Sandokan che in Novecento di Bernardo Bertolucci, che in quello stesso 1976 viene presentato fuori concorso al festival di Cannes. Bertolucci ricorda ancora, con un pizzico di amara autoironia, l’effetto di quel colore: «I due paesi ai quali, nel mio sogno megalomaniaco, era indirizzato il film erano l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, che sono i due paesi dove non è uscito. Per motivi assolutamente identici: troppe bandiere rosse!».

Sandokan, invece, viene visto in tutto il mondo: la Rai lo vende a 85 Paesi, compresi gli Stati Uniti, e in Italia la prima messa in onda viene vista da 27 milioni di spettatori. Dà anche vita a un ricco merchandising (album di figurine, giocattoli, magliette, maschere di Carnevale) e spinge la Rai, d’accordo con la coproduzione Titanus, a un’uscita cinematografica in due capitoli che però non ottiene grande successo. In tv, invece, Sandokan è un punto di svolta: è la prima grande produzione internazionale Rai, in collaborazione con la francese Ortf e la tedesca Bavaria Film, ed è uno dei primi sceneggiati tv girato en plein air, in luoghi reali, come un vero film. Perché «è» un vero film. 

     Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)


da: 
Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)

 
 

 

   Scheda 

      La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa! (1977) di Sergio Sollima    
     
PRODUZIONE Italia  
ANNO 1977  
DURATA 130'  
COLORE Colore  
RAPPORTO 1,33:1  
GENERE Avventura, drammatico  
REGIA Sergio Solima    

INTERPRETI E PERSONAGGI


  • Kabir Bedi: Sandokan
  • Philippe Leroy: Yanez De Gomera
  • Adolfo Celi: James Brooke
  • Sal Borgese: Kammamuri
  • Massimo Foschi: Teotokris
  • Néstor Garay: sultano Abdullah
  • Mirella D'Angelo: Surama
  • Teresa Ann Savoy: Jamilah
  • Kumar Ganesh: Tremal Naik
  • Franco Fantasia: Generale Inglese
  • John S. H. Pettit: Generale Croft
 

DOPPIATORI ORIGINALI

  • Pino Locchi: Sandokan
  • Giuseppe Rinaldi: Yanez De Gomera
  • Manlio De Angelis: Kammamuri
  • Antonio Guidi: sultano Abdullah
  • Maria Pia Di Meo: Surama
  • Cesare Barbetti: Tremal Naik
  • Ferruccio Amendola: Generale Croft
 
PREMI 7 d'Or Night 1980 Miglior Attore (Kabir Bedi)

 
SOGGETTO Emilio Salgari  
CASA DI PRODUZIONE Leone Film e Rizzoli Film  
SCENEGGIATURA Sergio Sollima e Alberto Silvestri  
FOTOGRAFIA Marcello Masciocchi  
MONTAGGIO Alberto Gallitti  
MUSICHE Guido De Angelis e Maurizio De Angelis  
SCENOGRAFIA Francesco Bronzi  
     


 

 

 

 LunedìCinemaCineforum 2018 -2019
    

LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA
Il mafioso (1962)


In Mafioso Sordi è Antonio Badalamenti, cognome che già nel 1962 fa una certa impressione (Gaetano Badalamenti è socio di Luciano Liggio e nel 1963 diventerà un capo-cosca importante; Peppino Impastato verrà ucciso nel 1978, lo stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani, e il film di Marco Tullio Giordana, I cento passi, arriverà nel 2000). Antonio Badalamenti, dicevamo, ha un ottimo lavoro in un’industria milanese e sta per andare in ferie con la famiglia in Sicilia, terra natìa dalla quale manca da anni. Un dirigente della fabbrica, italoamericano di origini sicule, lo chiama e gli consegna un pacco da portare a don Vincenzo, notabile di Calamo, paese natale di Antonio (Calamo non esiste, è un ovvio anagramma di Alcamo). La famiglia arriva al paesello in macchina: è una scena memorabile, nella quale Antonio bacia e abbraccia i familiari urlando come un pazzo in dialetto e confondendo la vecchia madre con una zia, mentre la moglie nordica (la interpreta Norma Bengell, brasiliana bionda, doppiata dalla milanese Adriana Asti) osserva stupefatta. Sordi è fantastico e straripante: la sua performance in questa scena e in tutto il film, nel quale non ci sono altri attori di nome, dà indirettamente ragione a Giuseppe Marotta che, su «L’Europeo» dell’11 novembre 1962, scrive del film: «Perdonami, Lattuada, ma devi ammettere che l’attuale Sordi è Attila: 
dove il suo cavallo si inoltra, non cresce più lanuggine d’erba per il talento degli altri».

Il ritorno di Antonio alla terra d’origine si colora però, ben presto, di toni opachi. Si ritrova immischiato in una faida immobiliare (la vendita di un terreno) che riguarda la sua famiglia e che viene risolta proprio da don Vincenzo; il dono per quest’ultimo si rivela essere una polpetta avvelenata, un messaggio in codice: la condanna a morte di un capo della mafia italoamericana che il boss di Calamo è costretto ad eseguire. In una scena al luna park, festosa ma foriera di morte, Antonio (con baffetti e coppola in testa) si esibisce al tiro a segno sfoderando una mira infallibile. Partito per una battuta di caccia, scopre che la preda è il boss italoamericano di cui sopra: viene spedito clandestinamente in America, chiuso in una cassa imbarcata su un aereo, e riportato nello stesso modo nel giro di 24 ore dopo aver compiuto, in una sala di barbiere del New Jersey, il suo primo (e ultimo?) omicidio.
La trama di Mafioso coincide con un percorso malavitoso, emotivo, esistenziale: Antonio viene fagocitato da un’identità che credeva di avere espulso da se stesso. Ridiventa mafioso, forse lo è sempre stato. Lattuada – regista concreto che lavora su corpi, gesti, emozioni – racconta questa regressione puntando molto sull’identità incerta di Antonio, anche dal punto di vista sessuale. 
Quando l’uomo tenta di far ragionare il vecchio padre, incaponito nella faida con il proprietario del podere vicino, quello lo insulta dandogli della «femmina». Il lungo dialogo in spiaggia con i vecchi amici rimasti al paese, sulle diverse attitudini erotiche delle donne in Sicilia e al Nord, è un richiamo del branco al quale Antonio non è in grado di resistere: Lattuada lo gira come un reportage etnografico, gli uomini in costume da bagno sembrano leoni marini spiaggiati al sole, la figura di donna modellata con la sabbia (come i castelli costruiti per gioco dai bambini) rappresenta la fantasticheria erotica di un gruppo di adulti non cresciuti. Quando poi il branco punta gli occhi sulla moglie di Antonio – bionda e visibilmente «emancipata», donna del Nord – lui li rimette in riga rientrando nei ranghi e assumendo, di fatto, il ruolo di capobranco, di maschio Alfa: «Io vivo a Milano ma siciliano sugno»

Antonio Badalamenti è diviso fra tre mondi: il Nord industrializzato (la fabbrica), il Sud arcaico (la famiglia, il cibo, il podere, la spiaggia, la battuta di caccia) e l’America. Se i primi due sono costruiti su stereotipi sociali funzionali alla costruzione del racconto, il terzo è connotato in senso onirico: ci si va di notte, in un viaggio che non potrà mai essere raccontato, è l’America sognata (anche da precedenti personaggi incarnati da Sordi: Un americano a Roma...) che si trasforma in incubo. Diviso fra questi mondi che sono altrettante identità – la prima rispettabile, la seconda atavica, la terza inconfessabile –, Antonio è un personaggio privo di identità propria. Sembra l’incarnazione di teorie antropologiche sul concetto di identità venute a maturazione in tempi molto più recenti, in testi come L’ossessione identitaria di Francesco Remotti (Laterza, Roma-Bari 2011) o Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi di Benedict Anderson (Laterza, Roma-Bari 2018, ma la prima edizione originale è del 1983).

     Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)


da: 
Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)

 
 

 

   Scheda 

      Il mafioso (1962) di Alberto Lattuada   
     
PRODUZIONE Italia  
ANNO 1962  
DURATA 98'  
COLORE B/N  
RAPPORTO    
GENERE Drammatico  
REGIA Alberto lattuada    

INTERPRETI E PERSONAGGI


  • Alberto Sordi: Antonio Badalamenti
  • Norma Bengell: Marta
  • Gabriella Conti: Rosalia
  • Ugo Attanasio: Don Vincenzo
  • Cinzia Bruno: Caterina
  • Katiuscia: Cinzia
  • Armando Tine: dottor Zanchi
  • Lilly Bistrattin: segretaria del dottor Zanchi
  • Michèle Bailly: baronessa
  • Francesco Lo Briglio: Don Calogero
  • Carmelo Oliviero: Liborio
 

DOPPIATORI ITALIANI

  • Adriana Asti: Marta
  • Ennio Balbo: Don Vincenzo
  • Corrado Gaipa: dottor Zanchi; Liborio
 
SOGGETTO Bruno Caruso  
CASA DI PRODUZIONE Dino De Laurentiis  
SCENEGGIATURA Rafael AzconaMarco FerreriAgenore IncrocciFurio Scarpelli  
FOTOGRAFIA Armando Nannuzzi  
MONTAGGIO Nino Baragli  
MUSICHE Piero Piccioni  
SCENOGRAFIA Carlo Egidi  
     


 

 

 

 LunedìCinemaCineforum 2018 -2019
    

LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA
Faccia a faccia (1967)


La trama è assurda dal punto di vista di una supposta verosimiglianza western ma perfetta se si legge il film come un apologo brechtiano: Gian Maria Volonté è Brad Fletcher, professore dell’Est malato di tisi che emigra ad Ovest per curarsi con l’aria «salubre» del Texas. Viene catturato dalla banda di Solomon Beauregard (Milian), bandito meticcio e analfabeta. Da mite intellettuale, Fletcher diventa il feroce teorico della gang. (...)

Nel suo Dizionario del western all’italiana, Marco Giusti ricorda una recensione di Enzo Natta sulla «Rivista del cinematografo»: il professore viene paragonato alle guardie rosse della Rivoluzione culturale, si parla di partito-guida, di culto della personalità, di terrore staliniano; Beauregard invece «fa pensare a certi movimenti popolari messi in disparte o sconfessati dai burocrati moscoviti perché non perfettamente allineati».

Faccia a faccia (1967) di Sergio SollimaSarebbe fin troppo facile inserire il film nel dibattito politico del tempo: le cose importanti di Faccia a facciasono quelle che, al tempo, non esistono ancora. L’intellettuale inoffensivo che si fa ideologo di un movimento armato non può non evocare, anni dopo, le figure di Toni Negri o di Renato Curcio; solo che il primo nel ’67 è «solo» uno dei fondatori di Potere operaio e il secondo, 
nello stesso anno, fonda il gruppo di studio teorico Università negativa e darà vita alle Br solo nel ’69.

Ci è capitato di parlare con Sollima di questa «profezia»: essendo un uomo colto – un ex critico, tra l’altro –, il regista non rifiutava il parallelo, ma preferiva ricondurre Faccia a faccia alla sua esperienza di partigiano: «Il personaggio di Volonté ti fa capire come nascono le dittature, come persone dotate di un particolare carisma sappiano penetrare nell’anima di una collettività: una storia che noi, in Italia, abbiamo conosciuto bene. 

Ma i miei western riflettono i ricordi dell’occupazione tedesca, della ‘Roma città aperta’ così magnificamente raccontata da Rossellini. Volevo mostrare come può cambiare la personalità di un uomo in condizioni estreme. Durante la Resistenza ho assistito ad episodi di eroismo da parte di bambini e di ragazzette insospettabili, mentre ho visto spacconi che si presentavano come Errol Flynn o John Wayne trasformarsi in vigliacchi. Come fai a raccontare cose simili ambientandole nella tranquillità della pace? 

     Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)


da: 
Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)

 
 

 

   Scheda 

      Faccia a faccia (1967) di Sergio Sollima   
     
PRODUZIONE Italia, Spagna  
ANNO 1967  
DURATA 108'  
COLORE Colore  
RAPPORTO 2,35:1  
GENERE Western  
REGIA Sergio Sollima    

INTERPRETI E PERSONAGGI



  • Gian Maria Volonté: Brett Fletcher
  • Tomas Milian: Solomon 'Beauregard' Bennet
  • William Berger: Charley 'Chas' A. Siringo
  • Jolanda Modio: Maria
  • Lydia Alfonsi: Belle de Winton
  • Gianni Rizzo: Williams
  • Carole André: Cattle Annie
  • Ángel del Pozo: Maximilian de Winton
  • Aldo Sambrell: Zachary Shawn
  • Nello Pazzafini: Vance
  • José Torres: Aaron Chase
  • Linda Veras: Cathy
  • Antonio Casas: Cittadino leader di Puerto del Fuego
  • Frank Braña: Jason
  • Guy Heron: Sceriffo a de Winton Estate
  • Rossella D'Aquino: Sally
  • Giovanni Ivan Scratuglia: Scagnozzo di Taylor
 

DOPPIATORI ITALIANI

  • Pino Locchi: Solomon 'Beauregard' Bennet
  • Sergio Graziani: Charley 'Chas' A. Siringo
  • Rita Savagnone: Maria
  • Micaela Esdra: Cattle Annie
  • Giuseppe Rinaldi: Maximilian de Winton
  • Renato Turi: Zachary Shawn
  • Corrado Gaipa: Vance
  • Carlo Alighiero: Aaron Chase
  • Bruno Persa: Cittadino leader di Puerto del Fuego
 
SOGGETTO Sergio Sollima  
CASA DI PRODUZIONE Produzioni Europee AssociatiArturo Gonzalez Cinematografica  
SCENEGGIATURA Sergio Donati, Sergio Sollima  
FOTOGRAFIA Rafael Pacheco  
MONTAGGIO Eugenio Alabiso  
EFFETTI SPECIALI Eros Bacciucchi
 
MUSICHE Ennio Morricone  
SCENOGRAFIA Carlo Simi  
COSTUMI Carlo SimiFranco Antonelli  
     


 

 

 

 LunedìCinemaCineforum 2018 -2019
    

LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970)


Pomeriggio del 12 dicembre 1969. È venerdì, a Milano il centro è gremito di gente che sbriga gli ultimi affari e si prepara al weekend prenatalizio. Le banche dovrebbero chiudere alle 16,30, ma a quell’ora la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, dietro il Duomo, è piena di clienti che effettuano le ultime operazioni prima della chiusura. Molti sono agricoltori, venuti da fuori città. Alle 16,37 nel salone principale della banca esplode una bomba che uccide sul colpo 13 persone e ne ferisce altre 87. (...)

A febbraio 1970 esce nei cinema Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, scritto da Ugo Pirro e diretto da Elio Petri. Le reazioni, anche le più positive (il film ha un’ottima accoglienza critica e ottiene un ampio successo commerciale), non possono fare a meno di leggerlo come un film «su» piazza Fontana e soprattutto sulle indagini – appunto – che si sono susseguite dopo la 
strage. Per molti, l’immagine del poliziotto senza nome interpretato da Gian Maria Volonté si sovrappone a quella del commissario Luigi Calabresi, che in quei giorni viene considerato (soprattutto per la virulenta campagna condotta dal quotidiano «Lotta Continua») colpevole della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano nella notte del 15 dicembre.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) di Elio PetriSembra sfuggire un dato elementare: per essere nelle sale nei primi giorni del 1970 il film è stato – ovviamente... – girato molto prima, nel corso del 1969. Ma è altrettanto innegabile che
Indagine
(d’ora in poi, per brevità, chiamiamolo così) è forse, in tutta la storia del cinema italiano, il film che maggiormente respira l’aria del tempo e la restituisce, a distanza di quasi mezzo secolo, con feroce e straordinaria precisione. (...)

L’impatto di Indagine non si esaurisce in Italia. Nel maggio del 1970 vince il Gran Premio della giuria a Cannes. Nel 1971 si aggiudica l’Oscar come miglior film straniero. Esce negli Stati Uniti e, caso più unico che raro, concorre a due edizioni dell’Oscar: nel 1972 viene candidato al premio per la miglior sceneggiatura. (...)

Nei primi giorni del 1970 Indagine è il film giusto al momento giusto. La crudeltà della polizia e dei suoi metodi, la violenza grottesca del personaggio di Volonté, soprattutto l’aspetto misterico per cui le forze dell’ordine appaiono autoreferenziali e infallibili: tutto riverbera sull’attualità, sul contesto politico nel quale il film esce. A distanza di molti anni è doveroso chiedersi: cos’è, davvero, Indagine? Innanzi tutto è un film grottesco con momenti di esasperato umorismo nero, recitato da Volonté con uno stile espressionista e survoltato che rende il personaggio indimenticabile. (...)

Per molti critici e spettatori vicini alla sinistra extraparlamentare, in particolare a Lotta Continua, è un film su Calabresi. Invece è la storia di un poliziotto che compie un omicidio e poi lancia una sfida, conducendo egli stesso le indagini e seminando dovunque indizi della propria colpevolezza: ma il potere della polizia è talmente forte che tale colpevolezza non viene vista da nessuno; per tutti, il poliziotto è innocente. (...)
E così siamo arrivati a ciò che Indagine indiscutibilmente è. Lasciamo che sia Petri a dirlo: «Indagine venne certamente fuori dalla rabbia. Credo che in Italia ogni cittadino abbia, tuttora, molti conti da regolare con la polizia e con lo Stato, se si pensa al contenuto persecutorio, punitivo dei nostri rapporti con l’autorità e i suoi rappresentanti. In quell’epoca la polizia continuava ad ammazzare, e personalmente ero d’accordo fino a un certo punto con Pasolini e la sua poesia sui poliziotti, perché da ragazzo ero stato una vittima di questi figli del popolo, ne avevo prese tante, senza mai ridarle... Il film nasceva da un’idea che Pirro ed io ci siamo più volte passati, l’idea dostoevskiana della sfida che un assassino faceva alla giustizia. Il personaggio divenne, poi, un poliziotto» (Faldini-Fofi 3, pp. 59-60).

     Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)


da: 
Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)

 
 

 

   Scheda 

      Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970)  
     
PRODUZIONE Italia  
ANNO 1970  
DURATA 112'  
COLORE Colore  
RAPPORTO 1,85:1  
GENERE Drammatico, Thriller  
REGIA Elio Petri    

INTERPRETI E PERSONAGGI



  • Gian Maria Volonté: dirigente di polizia
  • Florinda Bolkan: Augusta Terzi
  • Gianni Santuccio: Prefetto
  • Salvo Randone: idraulico
  • Orazio Orlando: brigadiere Biglia
  • Arturo Dominici: dott. Mangani
  • Aldo Rendine: dott. Panunzio
  • Sergio Tramonti: anarchico Antonio Pace
  • Vittorio Duse: Canes
  • Massimo Foschi: marito di Augusta Terzi
  • Fulvio Grimaldi: Patanè, giornalista di Paese Sera
  • Vincenzo Falanga: Pallottella
 

DOPPIATORI ITALIANI

  • leana Zezza: Augusta Terzi
  • Corrado Gaipa: idraulico
  • Gianni Marzocchi: anarchico Antonio Pace
  • Giampiero Albertini: Canes
  • Renato Cortesi: Patanè
 
SOGGETTO Elio Petri, Ugo Pirro  
CASA DI PRODUZIONE Vera Film  
SCENEGGIATURA Elio Petri, Ugo Pirro  
FOTOGRAFIA Luigi Kuveiller  
MONTAGGIO Ruggero Mastroianni  
MUSICHE Ennio Morricone  
SCENOGRAFIA Carlo Egidi  
     


 

 

 

 LunedìCinemaCineforum 2018 -2019
    

LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA
Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975)


Alcune frasi che Pasolini pronuncia nel documentario di Amaury Voslion Salò d’hier à aujourd'hui, realizzato durante le riprese di Salò e le 120 giornate di Sodoma e incluso come extra nell'edizione in dvd francese: «Il sadomasochismo c’è sempre stato, ma ciò che mi interessa è altro: nel mio film il sesso è il rapporto tra il potere e chi gli è sottoposto. Il sadomasochismo di Sade rappresenta ciò che il potere fa del corpo umano, la mercificazione del corpo, la riduzione del corpo a cosa. Quindi l’annullamento della personalità dell’altro. È un film sul potere e sull'anarchia del potere, il potere fa ciò che vuole, è del tutto arbitrario... Anche un film sull'inesistenza della storia, almeno come la percepiamo noi europei. Vale per tutti i tempi. Ma detesto il potere di oggi, che manipola i corpi in un modo orribile che non ha niente da invidiare a Hitler o a Himmler. Li manipola trasformandone la coscienza, istituendo valori falsi, come il valore del consumo, quello che Marx chiama il genocidio delle culture precedenti».

Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo PasoliniSe la storia è «inesistente», Salò vive solo in un presente assoluto. Sul Meridiano Mondadori dedicato agli scritti Per il cinema Pasolini afferma: «Siamo dentro quel presente in modo ormai irreversibile... Viviamo ciò che succede oggi, la repressione del potere tollerante, che, di tutte le repressioni, è la più atroce. Niente di gioioso c’è più nel sesso. I giovani sono o brutti o disperati, cattivi o sconfitti... Questo è il ‘vissuto’. Certo non ne posso prescindere. È uno stato d’animo. È quello che cova nei miei pensieri e che soffro personalmente... Il sesso in Salò è una rappresentazione, o metafora, di questa situazione che viviamo in questi anni: il sesso come obbligo e bruttezza» (Pasolini 3, pp. 2064-2065).

L’idea di Sade arriva a Pasolini in modo indiretto: la trasposizione del libro viene inizialmente proposta a Sergio Citti, suo collaboratore storico. Alle prime stesure del copione partecipa anche Pupi Avati. Sempre nel documentario di Amaury Voslion Pasolini afferma: «Ho lavorato con Citti alla sceneggiatura dandogli una struttura a gironi, dantesca, che probabilmente era già nell'idea di De Sade. Gli ho dato questa verticalità, poi lavorando Citti si è disamorato e io invece me ne innamoravo, e l’illuminazione è stata l’idea di trasportare Sade nel 1944 a Salò e ho visto la coreografia fascista. È stato lo schema formale, l’idea del film che non è esprimibile a parole». Stando a tutti i racconti d’epoca, la lavorazione è serena e persino divertente. L’aiuto regista Umberto Angelucci: «Lì l’ho visto divertirsi sul set con la troupe, precedentemente non era così. Durante questo film una volta mi disse che era molto in dubbio se fare più film, poi però aggiunse che probabilmente no, avrebbe continuato, ‘perché quello che mi mancherebbe è il contatto con queste persone tutte diverse che formano la troupe’» (Faldini-Fofi 3, p. 13). (...)

 

L’allegria sul set si traduce nella tremenda angoscia della visione. Rivedere Salò per scrivere queste righe è stata un’esperienza terribile. Non tanto per ciò che il film mostra – estremo nel 1975 e quasi «normale» oggi, dopo decenni di cinema splatter – quanto per lo stato d’animo che comunica. Salò è il film di un artista (di un uomo) disperato per il mondo che lo circonda. 
Anche nella famosa «abiura» della Trilogia della vita, scritta nella stessa estate in cui lavora al film, Pasolini è chiarissimo quando parla dei propri critici: Non si accorgono della valanga di delitti che sommerge l’Italia: relegano questo fenomeno nella cronaca e ne rimuovono ogni valore. Non si accorgono che non c’è alcuna soluzione di continuità tra coloro che sono tecnicamente criminali e coloro che non lo sono: e che il modello di insolenza, disumanità, spietatezza è identico per l’intera massa dei giovani. Non si accorgono che in Italia c’è addirittura il coprifuoco, che la notte è deserta e sinistra come nei più neri secoli del passato... Non si accorgono che la liberalizzazione sessuale anziché dare leggerezza e felicità ai giovani e ai ragazzi, li ha resi infelici, chiusi, e di conseguenza stupidamente presuntuosi e aggressivi... 

     Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)


da: 
Storia D'italia In 15 Film di Alberto Crespi (Editori Laterza 2018)

 
 

 

   Scheda 

      Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini   
     
PRODUZIONE Italia, Francia  
ANNO 1975  
DURATA 117'  
COLORE Colore  
RAPPORTO 1,85:1  
GENERE Grottesco, Drammatico  
REGIA Pier Paolo Pasolini    

INTERPRETI E PERSONAGGI


  • Paolo Bonacelli: Duca
  • Giorgio Cataldi: Monsignore
  • Uberto Paolo Quintavalle: Eccellenza
  • Aldo Valletti: Presidente
  • Caterina Boratto: signora Castelli
  • Elsa De Giorgi: signora Maggi
  • Hélène Surgère: signora Vaccari
  • Sonia Saviange: pianista
  • Marco Lucantoni: prima vittima (maschio)
  • Sergio Fascetti: vittima (maschio)
  • Bruno Musso: vittima (maschio)
  • Antonio Orlando: vittima (maschio)
  • Claudio Cicchetti: vittima (maschio)
  • Franco Merli: vittima (maschio)
  • Umberto Chessari: vittima (maschio)
  • Lamberto Book: vittima (maschio)
  • Gaspare Di Jenno: vittima (maschio)
  • Giuliana Melis: vittima (femmina)
  • Faridah Malik: vittima (femmina)
  • Graziella Aniceto: vittima (femmina)
  • Renata Moar: vittima (femmina)
  • Dorit Henke: vittima (femmina)
  • Antiniska Nemour: vittima (femmina)
  • Benedetta Gaetani: vittima (femmina)
  • Olga Andreis: vittima (femmina)
  • Tatiana Mogilansky: figlia
  • Susanna Radaelli: figlia
  • Giuliana Orlandi: figlia
  • Liana Acquaviva: figlia
  • Rinaldo Missaglia: collaborazionista (soldato)
  • Giuseppe Patruno: collaborazionista (soldato)
  • Guido Galletti: collaborazionista (soldato)
  • Efisio Etzi: collaborazionista (soldato)
  • Claudio Troccoli: collaborazionista (repubblichino di leva)
  • Fabrizio Menichini: collaborazionista (repubblichino di leva)
  • Maurizio Valaguzza: collaborazionista (repubblichino di leva)
  • Ezio Manni: collaborazionista (repubblichino di leva)
  • Paola Pieracci: ruffiana
  • Carla Terlizzi: ruffiana
  • Anna Maria Dossena: ruffiana
  • Anna Recchimuzzi: ruffiana
  • Ines Pellegrini: serva nera
 

DOPPIATORI ITALIANI
  • Giorgio Caproni: Monsignore
  • Aurelio Roncaglia: Eccellenza
  • Marco Bellocchio: Presidente
  • Laura Betti: signora Vaccari
 
SOGGETTO Pier Paolo Pasolini (da Le 120 giornate di Sodoma delMarchese de Sade e dagli scritti di Roland Barthes e Pierre Klossowski)  
CASA DI PRODUZIONE Alberto GrimaldiAlberto De StefanisAntonio Girasante (ultimi due non accreditati)  
SCENEGGIATURA Pier Paolo PasoliniSergio CittiPupi Avati (collaboratori non accreditati)  
FOTOGRAFIA Tonino Delli Colli  
MONTAGGIO Nino BaragliTatiana Casini MorigiEnzo Ocone  
EFFETTI SPECIALI Alfredo Tiberi
 
MUSICHE Pier Paolo PasoliniEnnio Morricone  
SCENOGRAFIA Dante Ferretti  
COSTUMI Danilo Donati