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- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 14:58
Rapporto confidenziale (1955) di Orson Welles |
Film dalla storia tormentata come la vita e la carriera del regista. Girato in giro per l'Europa nel 1954, in modo frammentario e sofferto, a causa di un budget ridotto, Welles si accontenta di sceneggiatura, trucco, e costumi approssimati, ma esaspera le tendenze barocche e kafkiane, complica la trama fino a renderla incomprensibile, rendendo ancora più cupi i suoi temi del "potere negativo", dell'ambiguità, dell'auto-distruzione, scardinando ancor più a fondo i modelli del poliziesco, del melodramma, del thriller.
Tratto dall'omonimo romanzo, scritto dallo stesso regista è forse il film meno amato da Welles; sosteneva che gli era stato sottratto e massacrato da un montaggio che considerava lontano anni luce da quello che lui aveva in testa; il titolo originale è Mr. Arkadin, ma è anche conosciuto con il titolo alternativo di Confidential Report.
Spesso paragonato a Quarto Potere, questo film è stato definito la versione europea di "Citizen Kane"; Arkadin, miliardario dall'aspetto e dai modi mefistofelici è anch'egli, come il Charles F. Kane di Quarto Potere, vittima di un'autoreclusione in un castello di sua proprietà. Trascorre le sue giornate in compagnia della figlia - interpretata da Paola Mori, la futura e reale moglie del regista - e degli invitati ai suoi party, passando di festa in festa ed allietando gli ospiti con aneddoti a sfondo predicatorio. Uno su tutti, la storiella dello scorpione e la rana quale metafora della natura del carattere che risulta impossibile da mutare anche se causa disastrose conseguenze.
Come in Quarto potere, la storia ruota attorno alla ricerca del passato di un uomo ma in realtà Mr. Arkadin è completamente diverso da Kane nel genere e nello spessore del personaggio. In Mr. Arkadin il carattere che subisce l'investigazione è anche quello che l'ha iniziata volontariamente - mentre Kane, era morto e il giornalista voleva sapere di più sulla sua vita, qui Arkadin partecipa attivamente all'indagine, seguendo Van Strattren, raccogliendo informazioni e confondendo le acque.
da .mymovies.it
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- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 13:58
L'infernale Quinlan (1958) di Orson Welles |
Mike Vargas, questo il nome del poliziotto, deve quindi interrompere l’idillio e collaborare con l’arrogante e corpulento detective locale Quinlan (Welles), per poter risolvere il caso. Sebbene il colpevole venga incastrato in maniera quasi istantanea da Quinlan, Vargas è assolutamente convinto della falsità delle prove reperite da quest’ultimo. La sua nuova missione diventa quindi quella di riuscire a svelare l’inganno del detective, e al tempo salvare la moglie da un complotto ordito da un signore della droga del luogo, desideroso di vendetta nei confronti di Vargas per l’arresto del fratello.
Descritta così può sembrare la trama di un qualsiasi poliziesco, ma Welles riesce a trasformarla in un “tour de force”, portandoci all’interno dei peggiori strip clubs, bordelli, e vicoli oscuri di Los Robles. Le scene sono talmente intense che è quasi possibile percepire odori e sensazioni come se ci si trovasse davvero al loro interno. Ogni angolo della città permea di sensualità e perversione, persino una telefonata carica d’affetto come quella che Vargas fa alla sua mogliettina viene corrotta dall’attenzione morbosa di una negoziante cieca, che sorride maliziosamente ad ogni parola.
da: https://argonautilazzatesi.wordpress.com/
Tutto questo anche grazie all’ ambiguo personaggio interpretato dal regista, un poliziotto disonesto e tormentato dal passato che manifesta un briciolo di umanità solo quando va a trovare la prostituta-chiromante Tanya (una bruna Marlene Dietrich che fu inserita nel film in un momento successivo) che profetizza a Quinlan: “tu non hai futuro”.
Chiunque ami il cinema non deve perdere questo concentrato di virtuosismo e di esasperato barocchismo wellessiano: distorsione delle immagini , primissimi piani, montaggio alternato, uso frequente della profondità di campo ed efficacissimi movimenti di camera che culminano nell’ubriacante piano-sequenza iniziale di 3'e 20" in cui Welles introduce la storia e alcuni dei principali protagonisti.
da: http://www.cinemecum.it/
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- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 12:58
Sciarada (1963) di Stanley Donen |
Non poteva che presentarsi così, con tono altezzoso, Regina "Reggie" Lampert (Audrey Hepburn) al signore di mezza età Peter Joshua (Cary Grant) che cerca di corteggiarla mentre è seduta in uno Chalet sulle Alpi. Da qui in poi le loro vite si intrecceranno in una incredibile sequenza di fatti, spionaggio, omicidi, scambi di identità, fughe, tutto si sommerà in modo inaspettato per dare risultati imprevisti e difficili da gestire per i due protagonisti, proprio come in una "Sciarada". La "Sciarada" infatti è un gioco della vecchia tradizione enigmistica in cui secondo una formula, "A+B=AB", si sommano parole per darne un'altra di senso compiuto. Su questo gioca la trama del film magistralmente diretto da Stanley Donen.
Questo non è un film che può essere classificato in un genere particolare, uno dei suoi pregi più grandi è infatti quello di unire sapientemente molti fili narrativi del cinema, la commedia, il giallo, il thriller, il romanticismo, tutti perfettamente calibrati in modo che si sommino perfettamente per dare il risultato voluto. Non era facile rendere in immagini la complessa trama scritta da Peter Stone, ecco che allora il talento di Stanley Donen viene fuori.
Maestro dei musical cinematografici il coreografo e regista americano riesce con molta disinvoltura a tenere le redini della pellicola, la sua esperienza con i film musicali, dipendenti fortemente da ritmo e equilibrio nelle scene, viene fuori e riesce a realizzare un film dai tipici incastri presenti nei musical (per esempio la continua alternanza tra scene corali e scene individuali) anche senza musica e canzoni.
da: https://www.debaser.it
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- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 11:58
L’erba del vicino è sempre più verde (1960) di Stanley Donen |
L’erba del vicino è sempre più verde, di Stanley Donen, si ricollega e si inserisce nella tradizione di un certo tipo di commedia brillante americana: la “sophisticated comedy”, in auge soprattutto tra gli anni trenta e quaranta, e caratterizzata dall’ambientazione nell’alta società, dall’eleganza di ambienti, costumi e scenografia, dall’origine molto spesso teatrale e dalla quasi assoluta prevalenza dei dialoghi rispetto all’azione e quindi di un ironica e brillante comicità di parola.
Ritroviamo tutte queste caratteristiche nel film di Donen, dove è in scena un triangolo amoroso che coinvolge una nobile coppia inglese (Cary Grant e Deborah Kerr) e un petroliere miliardario americano (Robert Mitchum), a cui si aggiunge la migliore amica della coppia (Jean Simmons) a scompaginare le carte, e che per il 90% è ambientato negli eleganti e ricchi di opere d’arte saloni del castello/museo dei coniugi. Il miliardario petroliere si innamora della nobile inglese, riuscendo presto a farla cadere tra le sue braccia: lo scaltro marito capisce l’inghippo, e organizza un fine settimana dove i due maschi si sarebbero contesi la donna.
Come accennato, a dominare sono i dialoghi, carichi di ironia e allusioni varie: se molto spesso questi vanno a segno e toccano alti livelli di sarcasmo e di elegante perfidia, in altri momenti, soprattutto in quelli più intimisti, non riescono a conferire il ritmo giusto, dando la sensazione di una certa prolissità.
Il dominio della parola permette a Stanley Donen di limitarsi a dirigere con mestiere il traffico per tre quarti dell’opera, cosa che non gli impedisce nel restante quarto di regalare pezzi di bravura: per esempio, le carrellate con cui nella parentesi londinese fa capire, in un capolavoro di allusione, che la donna e il petroliere se la stanno godendo, oppure lo split screen al momento della telefonata, in cui viene attuato un divertente gioco di rimandi tra le due parti dello schermo, senza contare la maestria, ereditata dal suo periodo musical, nel gestire la colonna sonora.
Le connessioni con la “sophisticated commedy” di venti/trenta anni prima non fanno del film di Donen solo un elegante e gradevole prodotto un po’ fuori tempo massimo.
The grass is greener eredita anche un altro aspetto di quel sottogenere: quello di agire su due piani di significato, da un lato il più evidente, cioè la messa in scena di ambienti aristocratici favolistici e un po’ fuori dal mondo e di storie che facessero sognare il pubblico; dall’altra, innestare tra le righe, nei dialoghi, elementi di cattiveria e di riferimenti culturali e sociali che lo rendesse aderente al contesto, e che mettessero un po’ di amarezza di sottofondo. (…) Nel film di Donen troviamo graffianti frecciate, per esempio, alla mentalità economica dominante, o all’ipocrisia e all’egoismo mascherati da un’elegante cortesia.
da: mediacritica.it
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- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 10:58
Due per la strada (1967) di Stanley Donen |
La vita, la strada, l'amore. Tutto corre verso una meta, è difficile però prevedere le curve, i dossi, i pericoli, ma anche le gioie più o meno inaspettate che un cammino ci presenterà davanti a noi, e soprattutto non possiamo sapere con chi affronteremo questo tragitto e quanto durerà; questo è quello che accade a Joanna e Mark, i protagonisti di quello che è uno dei più bei road-movie di sempre, "Due Per La Strada" di Stanley Donen.
"Two For The Road" è un film di rara bellezza, un altro piccolo capolavoro del regista americano che rende al meglio la bellissima sceneggiatura di Frederic Raphael; una pellicola "on the road" in cui Donen gioca con lo spazio e il tempo raccontandoci la storia d'amore di una coppia nell'arco di dieci anni, coppia che è interpretata da due attori strepitosi, un' Audrey Hepburn immensa e un notevole Albert Finney.
Uno degli elementi più affascinanti del film è che l'intreccio non segue una linea narrativa precisa, infatti la vita di Joanna (Audrey Hepburn) e Mark (Albert Finney) è raccontata con una tecnica molto particolare fatta di incastri giocati su flashback, di momenti che si presentano nel corso del film e che rimandano a vari periodi della loro storia senza però seguire un filo cronologico.
Un lavoro quindi molto complesso che però sorprendentemente appare naturale; ho detto precedentemente che Donen gioca anche con lo spazio, il film si svolge in Francia, o megliosulle strade francesi che portano dal nord del paese (la Manica) fino alla Costa Azzurra. La cosa curiosa è cheil viaggio che la coppia percorre è sempre lo stesso ma ripetuto più volte nel corso dei dieci anni di vita insieme, protagoniste sono anche le varie auto che vengono usate dai due, da una vecchia MG per il primo viaggio da sposati (1958) fino alla Mercedes del 1967 che accompagna Joanna e Mark nei momenti più difficili del loro rapporto, le auto curiosamente compaiono contemporaneamente nei vari momenti del film intrecciando i loro percorsi in modo molto suggestivo.
La Francia che Donen riporta è una protagonista che si oppone alla felicità dei due, sembra che con le sue strade si diverta a rovinare il viaggio alla coppia. Una delle scene più belle è quella in cui la vecchia MG prende fuoco lasciando dietro di se una nuvola densa di fumo, ma soprattutto lasciando Joanna e Mark a piedi, proprio come quando si sono conosciuti un anno prima sulle stesse strade in modo casuale.
Donen racconta i dieci anni e i vari viaggi sovrapponendo il tempo agli stessi luoghi, per esempio in una scena del loro primo viaggio i due si appoggiano ad un muretto di un ponte in cerca di un passaggio, poco dopo si vede la Mercedes 280 bianca sfrecciare sullo stesso luogo con Mark alla guida incurante di una coppia di giovani autostoppisti. Sono questi piccoli passaggi così poco usuali in un film a fare di "Due Per La Strada" una pellicola interessante anche dal punto di vista tecnico, ma quello che emerge in modo notevole è la capacità dello sceneggiatore di raccontare la vita di due persone che si sono conosciute per caso, si sono innamorate e nell'arco di un tempo brevissimo si sono sposate senza pensarci troppo. Questo ha portato loro ad avere dei grossi problemi una volta finito l'idillio iniziale, si tradiscono, non si parlano (bellissima è la scena in cui Joanna e Mark appena conosciuti riconoscono una coppia sposata dal fatto che non parlano, e si promettono che non saranno mai così,un attimo dopo Donen li mostra dieci anni avanti seduti ad un tavolino senza più parole da dirsi), ma alla fine non possono fare a meno l'uno dell'altra.
L'inizio del film li mostra su un aereo diretti nuovamente in Francia, parlano di divorzio, il dialogo è assente, è da qui che Donen prende per mano la storia, dal momento in cui Joanna guardando fuori dal finestrino scorge il battello su cui conobbe Mark e incomincia a ricordare alcuni momenti della loro vita insieme, alla fine il regista riporterà lo spettatore definitivamente al 1967, alla risoluzione del rapporto di Joanna e Mark, un finale lieto e significativo, la strada è sempre meglio percorrerla in due anche nei momenti difficili.
Finché l'amore manterrà il suo profumo.
Io so che saremo Due per la strada,
per molto, molto tempo ancora
La colonna sonora è di Henry Mancini, il tema principale che accompagna anche i bellissimi titoli di testa è uno struggente brano jazz guidato dal piano diventato presto uno dei brani più famosi del compositore americano.
da: www.debaser.it/recensionidb/ID_17730/Stanley_Donen_Two_For_The_Road.htm
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- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 09:58
Indiscreto (1958) di Stanley Donen |
“Indiscreto” (il cui titolo originale Indiscreet per una volta è stato tradotto esattamente) sembra essere il classico film dove lei incontra lui, che, però, è già sposato ma…sì, ci sono diversi ma. Primo fra tutti, la coppia di attori protagonisti costituita da una splendida Ingrid Bergman e da un Cary Grant sempre affascinante (che qui lavorano assieme per la seconda volta dopo “Notorius” di Hitchcock) vale da sola la visione del film (in Technicolor, per ammirare ancora meglio lo splendore degli abiti di lei). Secondo “ma”: è un classico nel suo senso più positivo perché ti lascia con il sorriso sulle labbra, ti fa sentire bene e mostra come una volta si fosse capaci di far ridere e piacere senza comicità forzate, scene idiote e linguaggio sporco. Qui la tensione erotica tra i due protagonisti è evidente ma senza venir mai mostrata apertamente ma solo lasciata intuire.
Terzo e ultimo “ma”: “Indiscreto” è una pellicola dal fascino antico dove la protagonista Anna (Ingrid Bergman) è sì un’attrice londinese ma di teatro e la sua vita non è affatto fatta di scandali e alcol ma solo di tanta solitudine: per una volta anche le star riescono a condurre una vita normale. Tutto qui è più semplice e meno frenetico.
Cary Grant interpreta Philip, diplomatico che lavora alla Nato e si innamora perdutamente di Anna. Tutto funziona bene anche se lei spera sempre che lui possa lasciare la moglie per sposare lei. Almeno finchè Anna non scopre che Philip non è affatto coniugato ma solo allergico al matrimonio. A questo punto la situazione diventa un paradosso perché Anna, giustamente, alla scoperta dell’assenza di impedimenti a diventare una coppia ufficialmente antepone la voglia di vendicarsi. Una situazione singolare ben raccolta nella battuta della Bergman: “Come osa fare l’amore con me senza essere sposato?”.
La storia in sé non è nulla di nuovo (tratta dal testo teatrale di Norman Krasna “Kind Sir”) anche se la svolta del non essere realmente sposato è abbastanza singolare. Bisogna comunque ricordare che si tratta di un film del 1958 quindi la storia non era stata così sfruttata come ora. Merito della piacevolezza del film, oltre ad una splendida scenografia (che meraviglia la casa di lei) e a una certa velata comicità è la chimica tra i due attori: è evidente come le due star di Hollywood, infatti, si trovino bene a lavorare assieme tanto da sembrare grandi amici anche sul grande schermo, così come nella vita reale.
A spiccare nella storia è anche la figura del cognato di Anna, interpretato da Cecil Parker, colui che presenta Anna e Philip ma anche la figura più cinica e distaccata che, al contrario di quanto richiesto dalla moglie, cerca di non intromettersi troppo.
È ricordato spesso per essere la prima pellicola della storia del cinema in cui compare la tecnica dello split screen: in una scena, infatti, in cui i due chiacchierano al telefono, lei a Londra e lui a Parigi, lo schermo viene diviso in due e quando entrambi giocano con le mani sembra quasi che possano toccarsi. Nel complesso un film piacevole e allegro, capace di far spesso sorridere.
da: https://theroadtothepast.wordpress.com
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