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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 22:58
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Brevi amori a Palma di Maiorca (1959) di Giorgio Bianchi |
Classicissimo film balneare di quelli che tanto andavano di moda tra la fine dei Cinquanta e i primi Sessanta (tradizione ripresa dai valorosi figli di Steno, i fratelli Vanzina di Sapore di Mare e Vacanze di Natale). In realtà film come questi erano spesso unicamente un veicolo promozionale per cantanti di buone speranze (che si esibivano nella riproposizione del loro repertorio) o per attori più o meno comici.
Tra questi ultimi spicca, in Brevi amori a Palma di Maiorca, il grande Alberto Sordi che, nella parte del commerciante di dolciumi Anselmo Pandolfini, tratteggia con inimitabile verve un personaggio destinato a rimanere nei ricordi dei molti ammiratori dell'attore romano. La sua camminata da zoppetto inarrestabile, la sua invulnerabilità morale, la simpatia travolgente, trasformano un uomo apparentemente destinato al fallimento in un vincente totale, che arriva perfino a conquistare le grazie della megadiva Mary Moore (la splendida Belinda Lee) nonostante il vistoso handicap fisico.
Tipico prodotto dell'iperattività sordiana, Pandolfini di guadagna un posto nella galleria delle migliori macchiette italiane grazie ad una comicità dirompente e mai scontata.
Rimangono relegati sullo sfondo sia le bellezze naturali dell'isola spagnola che il resto del cast, con Belinda Lee e Dorian Gray spocchiose straniere e Gino Cervi omonimo dello scrittore francese André Breton.
Merita un applauso a scena aperta Dorian Gray nei panni di una mantenuta, grazie ad un'interpretazione effervescente, straripante e autocriticamente ridondante.
http://www.davinotti.com
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- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 21:58
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Il Grido (1957) di Michelangelo Antonioni |
Un paese della velle del Po: Irma (Alida Valli) decide di lasciare Aldo (Steve Cochran), suo compagno da anni, al quale ha dato una bambina, Rosina. Aldo è sconvolto, non riesce a capire. (....)
Grandissimo film, il più significativo di Antonioni insieme all'Avventura. Esemplare la rappresentazione della natura mai così protagonista: Aldo, con la sua giacca sdrucita, con la sua bambina che gli trotterella dietro, cammina nelle terre del Po, fra i filari, sull'argine, nel fango, lontano ci sono i paesi. Incontra la gente e ogni incontro è una nuova direzione. Tutto è determinato dal caso.
Gli amori sono piccoli e tristi, e mai scelti. Ciò che sarebbe vitale sfugge, non è recuperabile. E c'è il vento, c'è la pioggia, tutto è difficile. E il caso, sempre, sovrintende. Lo stile, scarno ed essenziale, di lucida pulizia, trasmette il mondo di Antonioni attraverso parole e rapporti di una semplicità assoluta, non ci sono quasi discorsi, ci sono risposte e ci sono le azioni che tutto spiegano. E comunque niente serve, ognuno rimane dentro se stesso, i tentativi non approdano a nulla. Non ci si fa capire e le cose dipendono sempre dagli altri. E agli altri non importa della tua felicità. (....)
Una menzione per la semplice e straordinaria colonna sonora composta da Giovanni Fusco con Lya De Barberis al pianoforte (unico strumento).
da: Mymovies.it
Il film, tra i meno apprezzati del maestro, resta superbo anche a distanza di decenni, perfettamente agganciato alla sua epoca di produzione eppure universale per i concetti che riesce a veicolare e per le scelte estetiche attuate dal suo autore.
Rimangono nella memoria le interpretazioni degli attori, volti vissuti di un cinema senza tempo; inattesa l'aderenza al ruolo dello statunitense Steve Cochran, meteora del noir spentasi in fretta, che pur non si prese col regista; come sempre fatale la Valli, bellezza altera perfettamente in grado di reggere le fila di un personaggio con cui si fa fatica a simpatizzare; malinconica la prova della "malafemmina" Dorian Gray (doppiata dalla futura musa del regista, Monica Vitti), la benzinaia che sogna una vita di ordinaria normalità, così come toccante è Betsy Blair, la bruttina vista in "Marty" di Mann.
da Filmscoop.it
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- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 20:58
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Mogli pericolose (1958) di Luigi Comencini |
Quattro coppie trascorrono un weekend in campagna. Mentre i loro mariti vanno a caccia, le mogli parlano di uomini. La giovane Ornella non è d'accordo che gli uomini siano tutti frivoli: lei sa che può fidarsi di suo marito. La sua amica Tosca scommette che lei riuscirà a sedurlo. Tornata a Roma, mette in pratica il suo piano...
Scritto e diretto da Luigi Comencini, Mogli Pericolose è una commedia leggera sulle relazioni tra uomini e donne all'interno della coppia e in particolare sui pericoli di una gelosia eccessiva. Come molte commedie italiane del tempo, Mogli Pericolose è un ritratto della classe media, quella che esce trionfante dalla ricostruzione, abbastanza agiata da dimenticare i problemi materiali e concentrarsi sui rapporti umani. Il contenuto è un po 'meno superficiale di quello può sembrare, anche se la descrizione non è molto approfondita.
Senza troppo esagerare o scadere nella caricatura, Comencini utilizza le quattro coppie per mostrare quattro situazioni molto diverse (fiducia, squilibrio, sospetto, conflitti aperti). L’umorismo è suscitato dalle tensioni e dai drammi che si intrecciano. L’insieme è molto divertente, supportato da un ottimo cast d’attori.
A proposito di umorismo, Comencini dice:
"Una cosa è certa: per fare un film divertente, si deve inventare delle storie davvero tragiche. (...) La risata è una conseguenza della cattiveria umana. Charlot ha sempre e solo fatto ridere con le sue disgrazie. Quando finalmente le cose funzionano per lui, sullo schermo appare la parola "fine". Molto più modestamente, Mogli Pericolose propone di far ridere la gente, mostrando i pericoli e disastri che fanno capolino in qualsiasi casa. Nel film, questi pericoli e questi disastri non solo fanno capolino ma traboccano con tutta la loro forza, la loro insistenza cieca e persistente, facendo così divertire.
(Intervista pubblicata da Tempo il 25//11/1958, citata nel libro di Jean A. Gili Luigi Comencini).
da: http://films.blog.lemonde.fr/
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- Pubblicato Lunedì, 14 Settembre 2015 19:58
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Gli anni spezzati (1991) di Peter Weir |
Australia 1914. Archie (Mark Lee) e Frank (Mel Gibson) intraprenderanno un viaggio che li porterà, nella primavera del 1915, prima in Egitto, presso il campo di addestramento inglese, e poi sullo Stretto dei Dardanelli, nei pressi di Gallipoli, città che dà il titolo originale al film. Ed è là che la guerra mostrerà loro il proprio aspetto cinico e spietato, nonché privo di qualsiasi possibile idealismo.
Sesta opera del maestro australiano Peter Weir, all’epoca non ancora quarantenne e quarto film per Mel Gibson, poco più che ventenne. Il primo aveva mostrato le sue eccezionali doti di regista con l’inquietante e spettacolare Picnic at Hanging Rock, il secondo era reduce da Interceptor, lungometraggio a bassissimo budget destinato a diventare un cult. Dall’incontro fra i due, connubio che si confermerà vincente anche per il toccante Un anno vissuto pericolosamente, nasce uno dei più incisivi film antimilitaristi mai realizzati. Gran parte di questa forza espressiva proviene dall’intenzione di non cedere mai alla retorica, ma di raccontare semplicemente i fatti, e su quest’aspetto lo stile immediato e netto dell’australiano Weir, coautore anche della sceneggiatura, si fa decisamente sentire.
Gli avvenimenti narrati, e realmente successi, rappresentano il disgraziato episodio della Battaglia del Nek, combattuta da due reggimenti della 3a Brigata di Cavalleria Leggera australiana e neozelandese svoltasi nell’agosto del 1915 nei pressi dello stretto dei Dardanelli. Si trattò di una serie di assalti fallimentari volti a conquistare una trincea turca. Fu una delle innumerevoli carneficine che caratterizzarono il primo conflitto mondiale.
Accolto con entusiasmo in patria, Gli anni spezzati (Gallipoli) ha conosciuto minor fortuna in Europa e in USA, sebbene con ogni probabilità sia stato d’ispirazione per molti film successivi e incentrati sullo stesso tema. Eppure è un piccolo gioiello di stile registico, a cominciare dalla maestria con la quale Weir dimostra di essere, anche agli esordi della carriera, uno dei migliori nella composizione e distribuzione degli spazi sui campi lunghi e lunghissimi. Memorabili sono le inquadrature nel deserto australiano, i grandi sfondi egiziani e la scena del bagno subacqueo dei soldati, delicato preludio al loro destino. L’adagio di Albinoni si alterna al capolavoro elettronico Oxygene di Jean Michel Jarre. Una scelta, quest’ultima, che risulta particolarmente efficace nel descrivere il contrasto fra l’umanità dei protagonisti e la loro riduzione a puri strumenti funzionali al meccanismo cieco della guerra.
Raffaele Castagna
win.sentieridelcinema.it
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