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- Pubblicato Lunedì, 14 Novembre 2022 19:47
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60 ANNI SENZA MARILYN Gli uomini preferiscono le bionde (USA 1953) |
Provate, in altre parole, a resistere alla tentazione di evitare un film, assolutamente incredibile nella sua costruzione narrativa, credibile nei suoi assunti originari e che per stemperare questa divergenza insanabile, utilizza dosi massicce di tutti gli strumenti dello spettacolo non esclusa la musica che irrompe improvvisa e a tradimento nel bel mezzo della scena. Marilyn Monroe e Jane Russell formano una solidissima e spregiudicata coppia di ballerine e cantanti da rivista, una indissolubile coppia di amiche, un pericoloso sodalizio che quasi sconfina nell’associazione per delinquere. Lorelei (Marilyn) è una bella e provocante bionda a caccia di uomini ricchi, portafogli gonfi e inclini a cedere al suo fascino di ignorantella bellona da palcoscenico; Dorothy (Russell) è una avvenente bruna disincantata che pensa all’amore e poco ai soldi. Sono opposte, così come nel colore dei capelli, anche nel modo di pensare. Quindi non entrano in conflitto e quindi sono amiche.
Una quanto mai opportuna crociera che le porterà a Parigi offrirà l’occasione a Lorelei di mettere in atto i suoi perversi, ma in fondo bonari e un po’ scoperti, piani per ottenere favori economici in forma di regalo da uomini quanto mai ricchi e irretiti dal fascino che un corpo così iconico sa emanare. Il sesso però è solo ammiccamento, immaginazione tra battute sul serpente e il prezzo da versare al capocameriere per avere un tavolo a cena con la bella Lorelei che va su.. su… su. Dorothy, invece, ha i piedi per terra e sarà brava a tirare l’amica fuori dai guai nei quali si era cacciata. Nel frattempo troverà pure l’amore in un doppio lieto fine tanto annunciato quanto obbligatorio.
Il film del 1953, non certo esemplare per parlare del cinema multiforme di Hawks, è uno dei molti prodotti di ottimo intrattenimento che l’industria americana ha saputo mettere in piedi quasi con niente, ma con un grande senso del ritmo e grande intuito sui desideri del pubblico in fatto di divertimento. Il film si affida ad una spumeggiante successione di sequenze che per quanto annunciate nel loro susseguirsi colgono nel segno, raggiungono il risultato dello spettacolo che è davvero l’unico scopo per cui questo film deve avere visto la luce. È spettacolare il numero di danza di Dorothy sulla nave con la squadra americana diretta alle Olimpiadi; è altrettanto spettacolare il numero della stessa Dorothy/Russell in tribunale quando travestita da Lorelei/Monroe lancia messaggi trasversali al suo innamorato pronto a mettere nei guai la sua amica e quando poi, sollecitata dal giudice, si libera del visone che la copre lanciandosi con il succinto costume da ballerina, in un numero che travolge l’aula.
Il controcanto maschile è penoso, per quanto anch’esso non nuovo. Uomini pronti a dare tutto per un momento di abbandono femminile, che non vedono un centimetro al di là degli spessi occhiali che portano, pronti, in altre parole, a farsi raggirare con l’inganno dell’amore e il miraggio sessuale, nonostante anche un bambino si accorgerebbe dell’inganno e in questo film è proprio il caso di dirlo!
Ma aveva ragione (e come dargli torto!) Jacques Rivette quando diceva L’evidenza è il segno della genialità di Hawks, ed è proprio questa evidenza senza mezzi termini il pilastro che sorregge il film. L’evidenza dello spettacolo, l’evidenza della bellezza femminile e l’evidenza del raggiro. Hawks, in un film che non figura tra le sue cose esemplari, mette a nudo i giochi e scopre le carte con quel tanto di evidente sessismo di cui soffrivano gli autori di quegli anni in America, ma un po’ nel resto del mondo. Ma è tutto spettacolo e se la frase oca mercenaria dal magnetismo animale infastidirà per la sua esplicita carica discriminatoria anche questa fa parte dell’evidenza e appare (piaccia o meno), consona al clima del tutto surreale nel quale si svolge la scontatissima storia delle due avventuriere. Tutto, infatti, nel film si trasforma in luccichio quasi accecante, non c’è un filo di cattiveria, non un momento di tristezza. È l’evidenza dello spettacolo luminoso e senza grinze, uno scenario che supera ogni concetto di realtà e che il cinema sa restituire.
Gli uomini preferiscono le bionde è questo, il fascino che cattura, lo spettacolo che ammalia, la bellezza che conquista ed è così che anche noi, frastornati dallo charme ingannatore, meraviglioso contenitore vuoto, arriviamo alla fine del film senza avere cambiato canale.
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- Pubblicato Lunedì, 14 Novembre 2022 19:39
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BENVENUTI A TAVOLA! Le ricette della signora Toku (Giappone 2015) |
Melodramma delicato e gentile, tratto dal romanzo omonimo di Durian Sukegawa. La trama è semplicissima. Un uomo taciturno gestisce un chiosco di dorayaki, una sorta di pancake giapponesi. Le cose vanno maluccio: la clientela è scarsa, i dorayaki sono un po’ “possi”. Insomma il giovane, di nome Sentaro, tira a campare come può trincerato in un cocciuto silenzio. Le cose cambiano con l’arrivo di una signora anziana, la signora Toku del titolo. Presenza discreta e ironica, entrerà pian piano, prima nel chiosco di Sentaro come semplice cliente, poi nella sua cucina come cuoca e infine nella sua vita.
Bel film, tutto centrato sui rapporti umani come vera propria occasione di rilancio nella vita. Il parallelo tra il gusto del cibo e il gusto della vita è un’idea già ampiamente sfruttata da mezzo cinema, per così dire, a tematica culinaria, ma è l’andamento del racconto, in questo caso, a convincere oltre a un’apprezzabile discrezione nell’approssimarsi al dolore e alla sofferenza. Già, perché per buona parte del film sia della signora Toku che di Sentaro si sa poco o nulla. Si percepisce tanta solitudine nelle vita di entrambi mentre colpisce la posizione umana di questa timida signora che, senza voler nulla, si mette a disposizione di Sentaro, gli dà consigli su come portare avanti meglio il suo chiosco, soprattutto condivide con lui le sue ricette. Insomma, l’idea è che a un certo punto della vita, nel momento di maggior crisi, ti arriva tra capo e collo una persona che ti vuol bene, si mette in gioco con te, condivide con te tutto a partire dalla propria storia di dolore e di mancanze.
Soprattutto, Kawase ci dice che c’è bisogno di qualcuno che ti guardi mentre il mondo non si accorge nemmeno che esisti. Guardi a te per quello che sei e potresti essere, e non per quello che hai combinato, che si accorga di te. È l’esperienza bella di amore totalizzante che vive Sentaro: l’uomo, nel rapporto con la signora Toku, comincia dapprima a tirar fuori la testa dal proprio guscio, per poi cominciare a parlare di sé fino a provare con commozione un sentimento di gratitudine per quello che viene immediatamente percepito come una posizione umana ricca, che permette uno sguardo sul mondo nuovo e carico di speranza. Come lasciano bene intendere i tanti splendidi scorci naturalisti che fanno da sfondo alla narrazione.
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- Pubblicato Lunedì, 14 Novembre 2022 19:39
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BENVENUTI A TAVOLA! La cuoca del presidente (Francia 2012) |
ispirato ad una storia vera, quella di Danièle Mazet-Delpeuch, la prima donna chef personale del presidente di Francia François Mitterrand. Si tratta di una storia non nota ai più, ma che attraverso i toni della commedia si presenta come un delicato racconto volto a dimostrare la forza che la buona cucina e il cibo può avere nella vita e nei rapporti di tutti i giorni. Con la brillantezza che contraddistingue le commedie francesi, La cuoca del presidente è però anche il racconto di una donna tenace mai arresasi ai ruoli che gli altri avrebbero voluto imporle.
Tra emancipazione, rapporti tra i sessi e rapporto con l’ambito culinario, questo si afferma così come un delizioso film di buon successo. Acclamato da critica e pubblico, è infatti diventato uno dei film francesi di maggior successo del suo anno, ritrovando ancora oggi appassionati spettatori in tutto il mondo. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori ed alla storia vera dietro il film. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Protagonista del film è la rinomata cuoca Hortense Laborie, la quale con grande passione svolge il suo lavoro in una sperduta stazione di ricerca in Antartide. Da qui la donna inizia a raccontare la propria storia, di quando quattro anni prima era stata scelta come cuoca privata del Presidente della Repubblica Francese. Proprio a lei il politico rivelerà di desiderare sulla propria tavola il meglio della cucina francese, permettendo alla donna di sbizzarrirsi in cucina. La sua attività, come anche il rapporto che intrattiene con il Presidente, la fanno però ben presto diventare oggetto di invidia. Ben presto, Hortense sarà costretta a misurarsi con una serie di ostacoli particolarmente complessi.
Ad interpretare la protagonista Hortense Laborie vi è l’apprezzata attrice francese Catherine Frot. Questa ha debuttato al cinema nel 1980 con il film Mio zio d’America, per poi distinguersi anche in Aria di famiglia, La cena dei cretini e Quello che so di lei. Ad oggi, quello in La cuoca del presidente rimane uno dei suoi ruoli cinematografici più famosi, che l’ha portata anche ad ottenere una nomination come miglior attrice ai prestigiosi premi César. Per prepararsi al ruolo, la Frot ha avuto modo di approfondire la vita e l’attività della vera cuoca, cercando poi di ottenere una buona manualità nella preparazione di alcune ricette classiche.
Accanto a lei, nei panni del presidente francese, vi è lo scrittore Jean d’Ormesson, la cui fama è prevalentemente dovuta alla sua attività in ambito saggistico e giornalistico. All’età di 86 anni, egli accettò di recitare per la prima volta in vita sua. Assunse così i panni del capo del governo francese, ruolo che lo ha da subito reso ulteriormente popolare. Nel film è poi presente l’attore Hippolyte Girardot, recentemente visto in I fantasmi d’Ismael e The French Dispatch, e che in La cuoca del presidente interpreta David Azoulay. Infine, l’attrice spagnola Arly Jover, nota per i film Blade e L’impero dei lupi, dà qui volto a Mary.
Pur cambiando nome alla protagonista, qui chiamata Hortense Laborie, il film è dichiaratamente ispirato alla vera storia di Danièle Mazet-Delpeuch. Questa, dal 1988 al 1990, fu la cuoca personale del presidente francese Mitterrand. Ella arrivò a tale ruolo dopo essersi distinta come insegnante culinaria, venendo notata da Joël Robuchon, tra i più rinomati chef del Novecento. Egli la raccomandò per il ruolo, aiutandola ad ottenere il posto di lavoro. Come cuoca del presidente, Danièle ebbe l’occasione di cucinare per alcune delle più importanti personalità politiche dell’epoca. Dal leader russo Mikhail Gorbachev al primo ministro britannico Margaret Thatcher. Non sopportando le etichette e i tanti protocolli da seguire, Danièlle decise infine di lasciare il posto. Andò poi a lavorare come cuoca in una base scientifica in Antartide.
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- Pubblicato Lunedì, 14 Novembre 2022 19:39
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BENVENUTI A TAVOLA! Soul Kitchen (Germania 2009) |
Solitamente si parte da piatti da fast-food e si finisce in una raffinata cucina francese, si comincia dal basso per intraprendere la strada del buon gusto. Prendendo in prestito il titolo da una nota canzone dei Doors, l'anima della cucina di casa Akin vuole contenere un cheesburger e del caviale senza per questo essere dell'idea che l'uno debba a ogni costo escludere l'altro. Questo è "Soul Kitchen", commedia che mescola con intraprendenza comicità alta e bassa.
Questa idea di congiungere ingredienti almeno sulla carta agli antipodi, nasce forse dalla stessa biografia di Fatih Akin, di sangue turco (padre) - tedesco (madre), mette mano a un'operazione autobiografica ma non di formazione, fatta di ricordi ma non per questo nostalgica. L'ambientazione in una Amburgo contemporanea sposa scenografie che si rifanno talvolta a locali che rievocano la giovinezza dell'autore, che rappresenta dei luoghi contemporanei non contestualizzandoli con l'oggi.
Per ricreare il locale protagonista del film Fatih Akin si è rifatto alla taverna greca di Adam Bousdoukos (amico/ ristoratore-attore, qui nel ruolo di Zinos), nel quartiere di Ottensen. Trasportando il tutto nel quartiere Wilhelmsburg, si è ricreato uno spazio temporale fatto di divertimento e di sbronze, di amicizie e d'amore, di sesso e di risse.
Chi ha visto "Im Juli." sa che Fatih Akin, non è nuovo al genere comico. Conosciuto e apprezzato per film come "La sposa turca" e "Ai confini del Paradiso", esempi di melodrammi filtrati attraverso ottiche moderne (e personali), il cineasta è fedele a se stesso nel trasportare luoghi e volti, passioni e colpi di scena, sapori e odori in un contesto più leggero, ribadendo la regola che non per forza realizzare una commedia è più semplice che affrontare un melò, anzi.
Come detto c'è molta autobiografia (addirittura si accenna con ironia a un'ernia del disco che il regista dovette realmente affrontare sul set de "La sposa turca"). Pur non ascrivendosi alla categoria dell' heimat film (film sull'appartenenza a una madre patria) è fuori discussione che Akin da una parte mette in scena due fratelli di sangue straniero (greco, ma poteva essere tanto turco quanto italiano: poco importa), dall'altro sottolinea una maggiore appartenenza al luogo che l'ha visto crescere e formarsi, come uomo e come regista. Il quadro multiculturale che emerge non si fa mai discorso sull'immigrazione, come nel recente e ottimo "Welcome", e sembra quasi sottintendere che nel corso degli ultimi decenni la Germania ha imparato ad accogliere lo straniero quantomeno senza strumentalizzarlo in proclami e battaglie politiche, ma, quando possibile, permettendogli di integrarsi a dovere. Si alla multiculturalità contro la globalizzazione edilizia pronta a fare tabula rasa della genuinità del movimento giovanile che in Germania continua a marciare con passo maggiormente spedito che altrove.
Se la produzione è stata impossibilitata ad acquisire i diritti per la canzone "Soul Kitchen", la musica è comunque una delle protagoniste assolute del film. La danza è costantemente sinonimo di sensualità e in particolar modo la black music americana (nel film si va da Sam Cooke a Quincey Jones, da Barry White ai Kool & the Gang; ma non sono pochi i brani mixati propriamente danzerecci) viene utilizzata, per ammissione dello stesso Akin, come vero motore audiovisivo
La comicità è prevalentemente slapstick e per una sequenza romantica abbozzata, ne segue una caciarona (come nella divertente scena fantozziana del tremendo guaritore turco).
Si va dall'alto al basso dunque, e forse "Soul Kitchen" è davvero una vacanza collettiva con un merito non da poco: dalla coppia di fratelli al geniale cuoco sui generis, da una donna acqua e sapone a una eccitante, da un combattivo vecchietto a un imbroglione, è straordinaria e memorabile la galleria di personaggi, ai quali è praticamente impossibile non affezionarsi, grazie anche a un cast affiatatissimo.
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