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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Lunedì, 14 Novembre 2022 20:37
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LUIGI COMENCINI, IL REGISTA DELL'INFANZIA Incompreso (Italia 1966) |
Un classico del melodramma strappalacrime, diretto con molto pudore e garbo da un Comencini in ottima forma. Il film è tratto da un romanzo della scrittrice inglese Florence Montgomery che lessi anch’io durante la mia infanzia, e pur con vari accorgimenti legati al cambio di ambientazione (la storia originale si svolgeva in Inghilterra nel XIX secolo), le dinamiche della trama sono rimaste le stesse.
Al centro della vicenda un console inglese a Firenze rimasto prematuramente vedovo con due figli a carico, di cui trascura il primo, in realtà molto bisognoso delle sue attenzioni e del suo affetto, e vizia un po’ troppo il secondo, una piccola peste capace di combinare solo guai a catena, anche se il padre tende a prendersela, puntualmente, con il primogenito. Una delle migliori qualità del film è quella di aver posto al centro della scena due bambini credibili, osservati dall’occhio della cinepresa nei loro rituali quotidiani, nei loro giochi, ma per quanto riguarda Andrea anche nel suo disperato tentativo di stabilire una comunicazione autentica col padre, tentativo destinato continuamente a fallire, tranne nel tragico finale. La figura del padre, dal canto suo, funziona perché non è mai caratterizzata come un classico “cattivo”, ma semplicemente come un uomo sofferente per la morte della moglie che si trova impreparato a gestire la responsabilità di crescere da solo due figli e commette una serie di errori, più per superficialità che per cattiveria. Il contributo degli attori risulta importante, così come l’attenta direzione del regista: Anthony Quayle è assai misurato e convincente nel ruolo del console, i due bambini sono bravi, in particolare Stefano Colagrande nel ruolo di Andrea, un’interpretazione sensibile e ricca di sfumature da annoverare fra le migliori interpretazioni di un attore bambino del cinema italiano (in seguito Colagrande ha abbandonato completamente lo schermo per dedicarsi alla professione di medico).
Certo, soprattutto nell’ultima parte è inevitabile che lo spettatore si sciolga in lacrime, ma mi sembra che Comencini abbia sempre rispettato i limiti del buon gusto e della sensibilità di un autentico “cinema popolare” che oggi non esiste più; rispetto ad altri film analoghi di quegli anni che puntarono sul patetismo come “Love story”, “Incompreso” ne esce vincente. Da menzionare la fotografia di Armando Nannuzzi vincitrice di un Nastro d’Argento e la colonna sonora di Fiorenzo Carpi, con un ricorrente tema musicale impregnato di malinconia che contribuisce molto all’atmosfera piuttosto triste di diverse sequenze; per contrasto, però, la scena della gita in bicicletta a Firenze per comprare il regalo di compleanno al padre è commentata da una musica molto allegra e vivace, sempre perfettamente funzionale.
Insieme a “Le avventure di Pinocchio” resta il più bel film sull’infanzia del regista, bravo quasi come Truffaut a descriverci gioie e dolori di quel periodo fondamentale della vita di una persona.
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- Pubblicato Lunedì, 14 Novembre 2022 20:17
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LUIGI COMENCINI, IL REGISTA DELL'INFANZIA Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (Italia 1969) |
Sul Casanova, il seduttore veneziano, si son girati almeno una dozzina di film. Il più celebre è, lecitamente, quello di Federico Fellini, datato 1976 e con Donald Sutherland nei panni di Giacomo, ma curiosa è anche l’operazione di Steno del 1955 con Gabriele Ferzetti protagonista. Questa di Luigi Comencini è una delle sue opere più ingiustamente sottovalutate, un ritratto del giovanissimo Casanova, come recita il wertmulliano titolo. L’infanzia è raccontata con dovizia di particolari, interesse e partecipazione dal regista che più di ogni altri riusciva ad entrare nell’animo dei bambini e a guardare con i loro occhi le contraddizioni e gli accadimenti che avvengono nel mondo circostante. La parabola del piccolo Casanova, cresciuto con la nonna e trascurato dalla superficiale madre, lo vede passare dai canali della Serenissima decadente e sfarzosa alla Padova universitaria e pedagogica, e ha come figura fondamentale quella del maestro che se lo piglia a cuore e lo indirizza verso una carriera ecclesiastica, l’unica che un poveraccio come lui può intraprendere se vuole farsi una posizione invidiabile. E già si presentano i primi segni di una certa tendenza carnale e passionale.
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- Pubblicato Lunedì, 14 Novembre 2022 20:07
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60 ANNI SENZA MARILYN Gli spostati (USA 1961) |
È innegabile. Gli spostati di John Huston del 1961, sembra venuto per consacrare una serie di verità che vanno dalla condizione dell’America di quei tempi, conseguenza di una non più controllabile e radicale mutazione epocale, fino alle raggiunte alte qualità di attrice di Marilyn Monroe.
I bellissimi e astratti titoli di testa riflettono la nettezza del bianco e nero nel quale il film è girato e rimandano ad una chiara iconografia grafica anni 60, quella che letteralmente, molti anni dopo, avremmo considerato, confinante con forme d’arte in rapida evoluzione.
The misfits, il titolo originale, rimanda, invece, alla condizione in cui i protagonisti si trovano e se in italiano Gli spostati rimane un titolo, tutto sommato, accettabile, il più aderente disadatti, tradurrebbe ancora meglio quella inquietudine che non trova baricentro stabile e che tutti i personaggi della piece di Arthur Miller, compresa l’anziana e svagata Isabelle, vivono e il cui malessere sembra doversi riconoscere in tutto il Paese.
Il racconto è fondato su un triangolo e poi quadrilatero amoroso con al centro la bella Roslyn, una ancora giovane, ma consapevolmente matura Marilyn Monroe, all’apice della sua luminosa avvenenza. Lei è appena divorziata, conosce del tutto incidentalmente Guido, Eli Wallach anche qui ambiguo e quindi mutevole, e il suo amico Gay, un roccioso Clark Gable, che di mestiere fa il cow boy. Isabel (Thelma Ritter) la vicina di casa di Roslyn pluridivorziata non sa resistere al fascino maschile e spinge Roslyn ad accettare un breve soggiorno nella casa in montagna di Guido. Questi suggerisce la possibilità di catturare cavalli per fare un po’ di soldi. Viene arruolato al gruppo anche Pierce (Montgomery Clift) e anche lui, come gli altri, si innamorerà di Roslyn. In un finale concitato che profila una incipiente venatura ecologica, Gay e Roslyn proveranno a vivere la loro storia d’amore.
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- Pubblicato Lunedì, 14 Novembre 2022 19:57
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60 ANNI SENZA MARILYN Fermata d'autobus (USA 1956) |
Un cowboy arriva in città per partecipare a un rodeo, lo accompagna un vecchio amico. In un locale vede cantare Marilyn e cade letteralmente innamorato. La corteggia alla sua maniera, rude e infantile, e lei ne è spaventata. La mette a viva forza su un torpedone per portarsela al suo ranch. A nulla valgono le prediche del vecchio saggio. Il torpedone si ferma per i rifornimenti e l'autista, che ha assistito alla vicenda, dà una sonora lezione al cowboy, che alla fine si convince che non si può costringere la gente a fare una cosa che non vuole fare. Ma proprio allora la ragazza si rende conto che a suo modo il cowboy le vuole bene e che lei stessa prova qualcosa di particolare. I due, innamoratissimi, salgono sull'autobus per il ranch. Il vecchio amico, a quel punto, preferisce lasciarli soli.
Film perfetto, fondamentale nel suo genere, senza contare che è la più completa ed efficace rappresentazione di Marilyn Monroe. In nessun altro film infatti la diva, trentenne, esprimeva meglio se stessa. In Quando la moglie è in vacanza forse era più bella, in A qualcuno piace caldo più brava, ma qui era ironica, attrice vera, e magnetica, e non erano casuali certi riferimenti alla sua vita privata e certe precise battute: "Gli uomini si sono interessati a me da quando avevo tredici anni", dice alla sua amica e sappiamo che per Norma Jean era stato proprio così. Il film è un insieme felice di tanti ingredienti che compongono, appunto, il capolavoro del genere col valore aggiunto della vedibilità perpetua. Anche la voglia matta di "Cherie", la protagonista, di andare a Hollywood e avere successo era semplicemente quella di Marilyn, che aveva avuto successo dolorosamente, arrivando a compromettere tanti equilibri. Autobiografica è anche la paura di essere amata. Per il resto tutto funziona, dall'esordiente Don Murray al bravo caratterista Arthur O'Connell, alla regia del "teatrale" Logan.
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