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- Pubblicato Sabato, 08 Settembre 2018 07:30
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LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA Il caimano (2006) |
Si vota, in Italia, il 9 e 10 aprile del 2006. Aprile, di nuovo. E di nuovo il centro-sinistra vince: l’Unione, il nome della coalizione, prende il 49,72% dei voti. La Casa delle Libertà arriva al 49,20%. Lo scarto è inferiore ai 25.000 voti e lo scrutinio rimane incerto fino a tarda notte. Il secondo governo Prodi nasce il 17 maggio. Con quella maggioranza risicata, durerà meno di due anni. Nel frattempo, il 24 marzo 2006 è uscito nei cinema Il caimano. La campagna elettorale è in corso, più virulenta che mai. I tg delle reti Mediaset decidono di non parlarne. La stampa si divide. Tira aria di irritazione nei confronti di Moretti, che nei mesi precedenti ha fatto una cosa inusitata: non ha rilasciato interviste e non ha svelato nulla sul film, a parte una scarna ma inequivocabile dichiarazione: «È un film su Silvio Berlusconi». Hai detto niente!
Anche in questo caso, come per Palombella rossa, non possiamo non ricordare la presentazione del film con tanto di conferenza stampa nella quale Moretti parla per la prima volta dopo mesi. Un incontro che ha un seguito due mesi dopo, quando il film partecipa in concorso al festival di Cannes. È una conferenza stampa isterica, nella quale si parla solo di Berlusconi e mai di cinema, ma è ovvio – per quanto triste – che sia così. La stampa è in fibrillazione da mesi. Il 25 febbraio «la Repubblica» ha addirittura dedicato un articolo (di Paolo D’Agostini) al trailer programmato nei cinema! Diversi uomini politici hanno chiesto di posticipare l’uscita a dopo le elezioni (tra questi Daniele Capezzone, ex radicale, candidato alle elezioni per La rosa nel pugno, futuro portavoce di Forza Italia). Le critiche sono discordanti, influenzate dall’appartenenza politica dei singoli recensori o dei giornali sui quali scrivono. Come sempre è Tullio Kezich, sul «Corriere della Sera» del 24 marzo, a trovare la sintesi: in una recensione per altro dubbiosa, scrive che Moretti «abbraccia in un solo sguardo la crisi del cinema, la crisi dei sentimenti e la crisi dell’Italia» (Kezich 2). Nulla di più vero: Il caimano non è un film, sono (almeno) tre film uno dentro l’altro. Ed è impossibile parlare di uno senza far riferimento agli altri due.
Il primo film riguarda il produttore Bruno Bonomo (Silvio Orlando). In passato ha prodotto film-culto di serie B interpretati da sua moglie Paola (Margherita Buy). Alcuni vengono visualizzati. In uno di essi, intitolato Cataratte, Paola sta per sposarsi nella sezione di un partitino di estrema sinistra che allude a Servire il popolo (il marito è Paolo Sorrentino, l’officiante è Paolo Virzì: il film è pieno di cammei di registi che si prestano a fare gli attori). Bonomo è in piena crisi e spera di uscirne accettando il bizzarro copione di una giovane regista, Teresa (Jasmine Trinca). Si intitola Il caimano. Non l’ha nemmeno letto, gli piace il titolo.
Il secondo film è imperniato sulla crisi coniugale di Bruno e Paola e forse è il più bello e sentito dei tre. Ha momenti strazianti e buffi, molto veri, come la reticenza nel dare ai figli la notizia della separazione. La scena in cui Paola accompagna il figlio a una partita di calcio è meravigliosa.
Il terzo film è la preparazione del film nel film, Il caimano. Film che «esplode» in auto, quando Teresa riesce finalmente a spiegare a Bruno di che si tratta: il protagonista, detto appunto «il Caimano», è un imprenditore che ha costruito un impero grazie alla corruzione e alla creazione di holding all’estero; per questo motivo, i magistrati indagano e si accingono a processarlo. «E dopo questa scena dovrebbe essere chiaro che il Caimano è ispirato a Silvio Berlusconi». Quando sente il nome «Berlusconi», Bonomo inchioda e tampona la macchina davanti a lui. «Ma sei pazza? Stiamo andando alla Rai a proporre un film su Berlusconi? Io Berlusconi l’ho pure votato!». Il tamponato, che sta aspettando di compilare la constatazione amichevole, lo rimbrotta: «E te ne vanti?!».
Il ruolo, che nelle prime visualizzazioni oniriche tocca a Elio De Capitani (l’unico che a Berlusconi, vagamente, somigli) viene proposto al divo «impegnato» e vanesio Marco Pulici (Michele Placido, strepitoso). Pulici accetta, poi declina. La palla passa... a Nanni Moretti, che rifiuta perché ha altri progetti: «È sempre il momento di fare una commedia», ribatte alla regista che lo rimbrotta mentre l’autoradio trasmette Lei di Adamo e lui la canta a squarciagola. Alla fine il film si fa e, colpo di scena, è proprio Moretti a interpretare Berlusconi: la strategia del silenzio ha fatto centro sul punto più importante del film, il fatto che Nanni, nel Caimano, compare anche come attore, nel ruolo del titolo. È l’impressionante scena del processo. Una Pm (Anna Bonaiuto) lo incalza, un giudice (Stefano Rulli) lo condanna. E lui, dopo aver rivolto alla Pm uno sguardo ferocissimo, reagisce. «Non sono io l’anomalia in questo Paese, sono i comunisti... Con la mia condanna la nostra democrazia si è trasformata in un regime... Ma io sono stato eletto dal popolo e posso essere giudicato solo dai miei pari». Dettaglio decisivo: non solo Moretti interpreta Berlusconi senza cercare la minima somiglianza (e come potrebbe?), ma pronuncia le sue battute senza un sorriso, senza bonomia, distruggendo il luogo comune secondo il quale Berlusconi sarebbe, alla fin fine, «simpatico». Dandogli il proprio volto, Moretti ottiene l’incredibile risultato di togliere a Berlusconi la maschera che questi si è costruito con anni e anni di lifting, trapianti di capelli, filtri alle telecamere e barzellette a raffica. La scena è allarmante, angosciante. Un grande monito sui colpi di coda che un Caimano può sferrare quando si sente sconfitto. |
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Scheda |
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PRODUZIONE | Italia, Francia | ||
ANNO | 2006 | ||
DURATA | 112' | ||
COLORE | Colore | ||
RAPPORTO | 1,85:1 | ||
GENERE | Commedia, drammatico, satirico | ||
REGIA | Nanni Moretti | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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SOGGETTO | Nanni Moretti, Heidrun Schleef |
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CASA DI PRODUZIONE | Sacher Film, BAC Films, Stephan Films, France 3 Cinéma, Wild Bunch, Canal+, Cinecinema |
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SCENEGGIATURA | Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Francesco Piccolo |
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FOTOGRAFIA | Arnaldo Catinari | ||
MONTAGGIO | Esmeralda Calabria | ||
MUSICHE | Franco Piersanti | ||
SCENOGRAFIA | Giancarlo Basili | ||
COSTUMI | Lina Nerli Taviani | ||
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- Pubblicato Sabato, 08 Settembre 2018 07:00
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LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA Uccellacci e uccellini (1966) |
Totò era fatto così. Era un uomo all’antica. Quando, nell’estate del 1965, Pasolini si presenta a casa del Principe, insieme all’amico di sempre Ninetto Davoli, Totò li guarda storcendo il naso. Monarchico, di sani principi, di mentalità sorpassata (in pieni anni Sessanta, alle soglie della rivoluzione, crede ancora nei valori di famiglia, religione, Stato e moralità), Totò non sopporta quell’aria da intellettuale, per giunta di sinistra, tipicamente pasoliniana, e i jeans strappati di Davoli. Pasolini gli racconta di un progetto non ancora ben definito, cui Totò dovrebbe prendere parte come attore protagonista. Poche parole, qualche sguardo, e tanta perplessità. Quando Totò congeda i suoi ospiti, nell’elegante casa ai Parioli, ordina alla moglie Franca Faldini di porgergli subito in mano una bomboletta di Flit. Non sopportava quei due anarchici, e voleva disinfettare la casa dal loro nauseabondo (per lui) odore.
Totò aveva recitato per una vita a braccio, senza copione, sfruttando la propria incontenibile verve attoriale. Nel 1956, a seguito di una faticosa tournée teatrale (abbondantemente improvvisata), un dolore agli occhi lo colpisce. Già mezzo cieco da un occhio (a causa della travagliatissima lavorazione di Totò a colori, 1952, primo film italiano a colori), perde definitivamente la vista. Non completamente cieco, riesce a percepire qualche ombra, distingue i movimenti delle persone che lo circondano, per giungere, piano piano, alla perdita definitiva della vista. Nel 1965, quando incontra Pasolini, già non vede quasi più niente. Quando accetta di lavorare col regista per quel progetto di cui aveva capito pochissimo, non vede più nemmeno le ombre.
Il progetto vede la sua luce intorno ai primi mesi del 1966 e ha un nome: Uccellacci e uccellini.
Pasolini tratta Totò come un bambino, lo segue in ogni movimento, gli fa registrare buona parte del film in presa diretta (proibitivo era il doppiaggio, visto le critiche condizioni di salute di Totò), e gli dice passo passo quello che deve fare. Non è il primo film serio a cui Totò partecipa (considerarlo solo un comico è, ancora oggi, un gravissimo errore storico); già ci fu un precedente, nel 1963, col poco noto Il comandante. Ma è forse questo il primo vero film serio a cui prende parte, quello che lo lancia nel panorama internazionale (a 68 anni suonati, dopo cento film di grandezza assoluta) e che gli regalerà soddisfazioni di tutto rispetto, come la menzione speciale per l’interpretazione vinta a Cannes.
Uccellacci e uccellini è un film filosofico, forse pure troppo, ma di grande acutezza intellettuale e politica. Partendo dal presupposto puramente pasoliniano secondo cui il sottoproletariato è una costola del proletariato, il film si snoda su più livelli: l’intellettuale-politico, il fiabesco-reale e il critico-sociale. Totò e Ninetto Davoli sono due poveri cristi (padre e figlio) che, parlando apertamente di Vita e Morte, passeggiano quietamente tra le “strade perdute” (Lynch non c’entra nulla) della più squallida periferia romana. Che poi è la periferia del Mondo. A loro si unisce un corvo saccente, presuntuoso, che gli racconta le gesta di Frate Ciccillo e Frate Ninetto obbligati da San Francesco a convertire falchi e passerotti (cioè, vale a dire, gli uccellacci e gli uccellini). Totò e Ninetto Davoli col saio sono impagabili, capaci di esprimere emozioni e sensazioni solamente attraverso l’uso della mimica facciale. Poi si ritorna al presente, con l’anarchia di Totò-Pasolini che va a defecare in mezzo ai campi, si diletta con una puttana (subito imitato dal figlio) e assiste ai funerali di Togliatti. Si riprende il cammino. Ma il corvo ancora ciancia. Padre e figlio, stanchi delle prediche dell’uccellaccio, decidono di mangiarselo.
Gronda di pessimismo questa inquietante favola pasoliniana, ed è il pessimismo di un intellettuale stanco dei propri tempi e del mondo, evidentemente deluso da certa politica e certe lotte di classe. Il corvo, emblematico portatore di una salvezza più umana che divina, non viene ascoltato e viene ucciso. Così come uccisa è la volontà del popolo (che forse però non c’è mai stata) di ribellarsi contro il potere costituito, colpa anche e soprattutto di una sinistra inerme davanti ai problemi del proletariato, più vicina a certi giochetti di potere che al reale sostegno al cittadino comune. Il ruolo dell’intellettuale è pari a zero, è pari al ruolo di un ago in un pagliaio, e poi c’è l’attacco diretto, feroce, al ruolo della Chiesa, chiusa tra i propri doveri cristiani e l’assoluta incapacità di capire ciò che accade fuori dei Palazzi del Potere. L’episodio dei due fraticelli è emblematico. Il ruolo della Chiesa è quello di un anonimo “ordinatore” di leggi che però non capisce che proprio quegli ordini, quelle leggi imposte, non potranno mai concretizzarsi, perché lo scollamento che esiste (oggi come ieri) tra società e Chiesa è abnorme, quasi impossibile da colmare.
Il futuro è nerissimo, roba da Terzo Mondo, tra pattumiera, umanità allo sfascio e decadenza culturale. Troppo pessimismo? Può darsi, ma ognuno lo interpreti come vuole:
tesi a) Pasolini aveva ragione, oggi viviamo in un mondo corrotto, avido, incapace di dare risposte alle parti più deboli del Paese; anche se siamo tra le Nazioni più industrializzate, siamo nel disastro più totale, perché uno Stato che non riesce a garantire un futuro alle prossime generazioni (ma pure a quelle di oggi) è rivoltante;
tesi b) Pasolini ha sbagliato completamente la mira, oggi tutto sommato si vive bene, tutti possediamo una casa e un conto corrente, abbiamo tutte le comodità del mondo e possiamo andarcene in ferie due o tre volte l’anno.
Tutte e due le tesi sono rispettabili. O forse ci vuole ancora un corvo che provi a farci aprire gli occhi sulla realtà delle cose? E se poi, dopo un po’, facessimo la stessa cosa che hanno fatto Totò e Davoli, ucciderlo e mangiarlo? Il mondo è pronto per la rivoluzione? Oggi non lo so, ma Pasolini, nel 1966, optava per il no.
Dopo Uccellacci e uccellini Totò e Pasolini diventarono amici. O meglio, Totò diventò amico di Pasolini, visto che il regista lo era sempre stato nei confronti del Principe. Il suo essere gay (un peccato quasi mortale per la classicissima educazione cristiana che Totò ebbe in tenerissima età), il suo essere di sinistra, o meglio dire marxista, il suo essere culo e camicia con il sottoproletariato delle borgate romane, il suo essere insomma così lontano dai salotti buoni di Totò, col tempo, diventarono per il Principe una nuova scoperta di vita, un nuovo modo di concepire la realtà, prima di lasciare il Pianeta Terra, a 69 anni, nel 1967, dopo soli due intensi anni di collaborazione con Pasolini (con cui girerà un episodio de Le streghe e il fondamentale Che cosa sono le nuvole? all’interno del film corale Capriccio all’italiana). |
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Scheda |
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PRODUZIONE | Italia | ||
ANNO | 1966 | ||
DURATA | 85' | ||
COLORE | B/N | ||
RAPPORTO | 1,85:1 | ||
GENERE | Commedia,grottesco | ||
REGIA | Pier Paolo Pasolini | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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SOGGETTO | Pier Paolo Pasolini | ||
CASA DI PRODUZIONE | Alfredo Bini | ||
SCENEGGIATURA | Pier Paolo Pasolini | ||
FOTOGRAFIA | Tonino Delli Colli, Mario Bernardo | ||
MONTAGGIO | Nino Baragli | ||
MUSICHE | Ennio Morricone | ||
SCENOGRAFIA | Luigi Scaccianoce, Dante Ferretti | ||
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- Pubblicato Sabato, 08 Settembre 2018 06:00
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LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA Diaz (2012) |
Titolo in prima pagina sul «Corriere della Sera» dell’8 aprile 2015: «La condanna europea: alla Diaz fu tortura, punizioni inadeguate». La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo condanna l’Italia per le violenze avvenute a Genova nel 2001, nei giorni del G8, e per l’assenza nel nostro Paese di una legislazione adeguata a punire il reato di tortura. Scrive Michele Ainis sullo stesso numero del «Corriere»: «Dal 1999 la Corte europea ci bastona, perfino con 24 sentenze di condanna pronunciate in un solo giorno (16 gennaio 2001)» (Ainis, p. 28). E passa a elencare i motivi per cui Strasburgo ha condannato l’Italia nel corso del XXI secolo: i respingimenti in mare verso la Libia, le insufficienti garanzie per i rifugiati, il mancato diritto di attribuire ai figli il cognome della madre, gli sfratti decretati e mai eseguiti, l’eccessiva durata dei processi, il sovraffollamento delle carceri.
Tutte inadempienze – per usare un eufemismo – di fronte alle quali risuona il giudizio di Daniele Vicari, autore del film Diaz uscito in Italia quasi undici anni dopo i fatti, nell'aprile del 2012 (un paio di mesi prima viene presentato, con grande emozione, al festival di Berlino): «Quella notte, in Italia, c’è stata la sospensione dello Stato di diritto».
La Corte di Strasburgo si pronuncia in seguito al ricorso di Arnaldo Cestaro, sessantaduenne all’epoca dei fatti: si era recato a Genova per partecipare a una manifestazione che sperava pacifica e fu indirizzato alla scuola Diaz-Pertini, per passare la notte, da una professoressa conosciuta nel corteo. Nel pestaggio di quella notte Cestaro (che nel film di Vicari è riconoscibile nel personaggio, dal nome diverso, interpretato da Renato Scarpa) subì numerose fratture e danni fisici permanenti, come altri manifestanti vittime del brutale assalto della polizia.
Dopo la sentenza di Strasburgo i giornali ricordano le importanti carriere godute, negli anni successivi, da personaggi che avrebbero invece meritato punizioni esemplari. La più paradossale è quella di Filippo Ferri, figlio dell’ex ministro Enrico Ferri (Psdi, poi Forza Italia e Udeur), all’epoca capo della Squadra mobile di La Spezia: espulso dalla polizia, è assunto come responsabile della sicurezza dalla società calcistica del Milan e per mesi è «l’angelo custode» del calciatore Mario Balotelli (Preve, p. 4). Il proprietario del Milan Silvio Berlusconi, nel 2001 presidente del Consiglio, non si è dimenticato di lui.
Ma naturalmente il cursus honorum sul quale tutti si concentrano è quello di Gianni De Gennaro, all'epoca capo della polizia (carica che ricopre fino al 2007), successivamente commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania (gennaio-maggio 2008), direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (2008-2012), sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la cruciale delega ai servizi segreti nel governo Monti (maggio 2012-aprile 2013) e infine presidente di Finmeccanica, nominato dal presidente del Consiglio Letta con placet del presidente della Repubblica Napolitano. Una carriera bipartisan nemmeno scalfita dal G8. Il reato di tortura – nella primavera del 2016 – in Italia ancora non c’è, arenato da mesi in Commissione di giustizia al Senato dopo le promesse d el premier Renzi seguite alla sentenza di Strasburgo. Quello stesso 7 aprile del 2015 Marco Pannella dichiara il proprio scetticismo: «L’Italia non si è dotata e non si dota del reato di tortura perché, essendo un Paese che pratica la tortura ogni giorno nelle carceri come riconosciuto dalla Cedu [Commissione europea dei diritti dell’uomo], la pur grave sanzione ricevuta oggi per la vicenda Diaz sarebbe elevata all’ennesima potenza». È stato, per ora, facile profeta. | |
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Scheda |
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PRODUZIONE | Italia, Francia, Romania | ||
ANNO | 2012 | ||
DURATA | 127' | ||
COLORE | Colore | ||
RAPPORTO | 2,35:1 | ||
GENERE | Drammatico | ||
REGIA | Daniele Vicari | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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SOGGETTO | Daniele Vicari | ||
CASA DI PRODUZIONE | Fandango, Le Pacte, Mandragora Movie |
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SCENEGGIATURA | Daniele Vicari, Laura Paolucci | ||
FOTOGRAFIA | Gherardo Gossi | ||
MONTAGGIO | Benni Atria | ||
MUSICHE | Teho Teardo | ||
SCENOGRAFIA | Marta Maffucci | ||
COSTUMI | Roberta Vecchi, Francesca Vecchi | ||
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- Pubblicato Sabato, 08 Settembre 2018 05:00
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LA STORIA D'ITALIA IN PELLICOLA Gomorra (2012) |
Il 24 maggio 2016 «La Gazzetta dello Sport» titola in prima pagina: «Gomorra in campo». Il commento di Valerio Piccioni, sempre in prima pagina, inizia: «Già sei anni fa la chiamammo in un’inchiesta della Gazzetta la ‘Gomorra del pallone’. Minacce, partite taroccate, clan, scommesse: la miscela faceva già paura». In un articolo interno, a pagina 3, Nicola Binda è ancora più esplicito: «Chi sta seguendo la serie di Gomorra su Sky può capire in fretta in quale ambito sia maturata questa brutta storia. I traffici sporchi, i soldi da riciclare e l’opportunità che offre il calcio con le scommesse, ottima lavatrice per i criminali». Le citazioni di Gomorra «colorano» le notizie sull’ennesimo scandalo del calcio italiano, direttamente legato alla camorra: un giro di partite truccate in serie B, forti scommesse su alcune gare dell’Avellino con giocatori coinvolti, il clan di via Vanella Grassi (a Secondigliano, uno dei più potenti della camorra napoletana) a controllare il tutto per riciclare il denaro incassato con lo spaccio di droga e altre attività criminali. (...)
Il film di Matteo Garrone arriva qualche mese dopo: viene presentato in concorso a Cannes nel maggio del 2008 (vince il Gran Premio della giuria). In quegli stessi giorni, è in corso una guerra – una delle tante: il 2 maggio 2008 un commando di killer uccide Umberto Bidognetti, un anziano allevatore, dentro la sua azienda bufalina di Cancello ed Arnone, un comune in provincia di Caserta. La vittima è il padre di Domenico Bidognetti, un collaboratore di giustizia che in marzo aveva definito «buffoni» i camorristi. I casalesi diventano molto più pericolosi se sfidati e sbeffeggiati in pubblico: Saviano vive sotto scorta dal 13 ottobre 2006, non tanto a causa della pubblicazione di Gomorra (che dal punto di vista giudiziario non contiene novità di rilievo rispetto a quanto scritto in precedenza da Saviano stesso e da molti altri) quanto per il suo successo; e soprattutto per aver sfidato i casalesi de visu, durante una manifestazione per la legalità svoltasi a Casal di Principe il 23 settembre 2006.
l film di Garrone esce nei cinema in quello stesso maggio 2008, totalizzando un incasso superiore ai 10 milioni di euro. Rispetto al libro, è diverso nella forma e fedele nello spirito: incrocia quattro storie raccontate da Saviano, in una struttura narrativa ad incastri che poi Garrone utilizzerà anche in Il racconto dei racconti (2015), ispirato al testo barocco Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. La fedeltà sta in primis nell’approccio quasi documentaristico. Molti interpreti sono non professionisti, e alcuni di loro avranno guai con la giustizia dopo aver partecipato al film. I luoghi sono autentici, a cominciare dalle Vele di Scampia, un mostro architettonico realizzato fra il 1962 e il 1975 su progetto dell’architetto Franz Di Salvo e divenute, grazie anche alla serie di Sky, un’icona in negativo dell’Italia del XXI secolo. Inoltre, è comune a libro e film lo sguardo antropologico sul fenomeno. Non si mettono in scena storie di boss famosi, né di tutori dell’ordine: non c’è un approccio da thriller, o da poliziesco. Ci sono però – a differenza che nella serie – personaggi che rifiutano l’illegalità, o che ne sono vittime: il sarto che confeziona il vestito di Scarlett Johansson (nel libro si parla di Angelina Jolie, che però rifiuta alla produzione il diritto di usare il suo nome), il giovane tecnico Roberto che si rifiuta di lavorare allo smaltimento dei rifiuti assieme al cinico imprenditore interpretato da Toni Servillo. Nella serie tv, personaggi «positivi» non ce ne sono.
Quando Sky e la casa di produzione Cattleya, nel 2013, annunciano una serie tv ispirata a Gomorra sono reduci dal grande successo delle due stagioni di Romanzo criminale (Stefano Sollima, 2008-2010). Anche in questo caso si parte da un omonimo romanzo di successo, di Giancarlo De Cataldo, e da un film (Michele Placido, 2005). La filiera è identica, e anche in quel caso la serie tv conquista uno status di culto che il film non ha raggiunto. In De Cataldo i riferimenti alla cronaca sono pertinenti, ma – a differenza che in Saviano – nascosti sotto la forma del romanzo classico: le vicende della banda della Magliana sono raccontate con nomi fittizi. La storia, a volte, fa strani giri: quando va in onda Gomorra – La serie, nel 2014, i giornali cominciano a riempirsi di notizie che sembrano uscite dalla saga precedente, quella di Romanzo criminale... ma al tempo stesso le vicende dei «balordi» della Magliana assurgono a livelli che non sembrerebbero loro consoni. È il caso politico-giudiziario «Mafia Capitale», così almeno lo definiscono i media. Massimo Carminati, arrestato il 2 dicembre 2014, è il malvivente che ha ispirato a De Cataldo il personaggio del «Nero» (interpretato da Riccardo Scamarcio nel film e da Emiliano Coltorti nella serie). |
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- Pubblicato Martedì, 10 Luglio 2018 23:17
CINEMA E MUSICA DAL VIVO
Anche quest'anno vi proponiamo tre meravigliose serate estive con classici del cinema muto e l'accompagnamento musicale dal vivo del Maestro Marco Dalpane e del suo Ensemble Musica Nel Buio.
Al via martedì 17 luglio Lunedì Cinema Estate: nel cortile interno della Rocca si proietta «Il navigatore», film muto del 1924 diretto da Buster Keaton e da Donald Crisp, con musica dal vivo del maestro Marco Dalpane e dell'ensemble Musica nel Buio. Inizio alle 21.30, durata 59 minuti, ingresso libero.
Per l'occasione, entrata libera al Museo Alto Garda dalle 20 alle 21.30, e alle 20 visita guidata gratuita a tema.
È il film dell’amore, con tutte le incertezze dell’amore, gli equivoci, i momenti idillici, drammatici, tragici, il continuo progresso e il trionfo finale. Intendiamoci: in tutti i film di Keaton il tema dell’amore è sempre presente, ma in nessuno come in questo, dove costituisce di gran lunga il tema principale, quasi il tentativo di un’interpretazione suprema ed eroica della vita umana. Infatti, come secondo tema, come contrappunto all’assoluto dell’amore, abbiamo soltanto il tema del vuoto, della solitudine, dell’angoscia. Angoscia insieme tragica e comica, come sempre in Keaton».
Lunedì Cinema Estate è curato dal centro culturale La Firma e realizzato con la collaborazione del Comune di Riva del Garda e del Museo Alto Garda. Un'appendice estiva che vuole dare continuità al cineforum che ormai da diversi anni, da ottobre a maggio, si alterna tra Arco e Riva del Garda, coinvolgendo un pubblico crescente. In caso di pioggia le proiezioni si tengono all'auditorium del Conservatorio.
Il maestro Marco Dalpane è autore della musica di decine di film dei maestri del cinema, fra i quali Pabst, Murnau, Dreyer, Hitchcock, Lubitsch e Czinner, sia per organici cameristici sia per pianoforte solo. Più di recente ha realizzato l’ambizioso progetto di sonorizzare tutti i film muti firmati da Buster Keaton. Con lui a Riva del Garda l'ensemble Musica nel Buio, ovvero Claudio Trotta alla batteria, Tiziano Zanotti al contrabbasso, Francesca Aste al sintetizzatore, Alberto Capelli alla chitarra elettrica e Marco Zanardi al clarinetto.
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Marzo 2018 20:24
Cineforum
Nuovi SCAMBI: Storie di migrazioni
Come lo scorso anno siamo lieti di presentare un ciclo di film sul tema delle migrazioni. L’iniziativa è possibile grazie alla collaborazione del Gruppo Iniziative Varone, Mandacarù e il patrocinio del Comune di Riva del Garda.
Le proiezioni cominceranno alle ore 21.00 al Pernone a Varone e sono completamente gratuite.
cineforum
Nuovi scambi: storie di migrazioni
FILM IN PROGRAMMA
venerdì 23 marzo |
Cittadini del nulla di Razi Mohebi Documentario - Italia, 2015, durata 52 minuti Chi è costretto a fuggire da un luogo ostile e a chiedere asilo, come accaduto al regista, rischia di sentirsi un cittadino del nulla nel paese che lo ospita. Attraverso le vicende di una rifugiata politica appena giunta in Italia, Mohebi narra la condizione di spaesamento di un rifugiato. |
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venerdì 6 aprile |
Almanya di Yasemin Samdereli con Vedat Erincin, Fahri Yardim, Lilay Huser, Demet Gül, Denis Moschitto, Aylin Tezel, Petra Schmidt-Schaller Commedia - Germania, 2011, durata 101 minuti. Una famiglia turca che ha vissuto in Germania per tre generazioni parte per un turbolento viaggio verso la loro terra natale. |
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venerdì 13 aprile |
East Is East di Damien O'Donnell con Om Puri, Linda Bassett, Jordan Routledge, Archie Panjabi, Jimi Mistry Commedia - Gran Bretagna, 1999, durata 96 minuti Ayub Khan-Din scrive una commedia di successo sul multietnismo nelle periferie britanniche e O'Donnell dirige un film eccezionale, ironico, trascinante: un vero fenomeno. |
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giovedì 19 aprile |
Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismäki con André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin, Blondin Miguel, Elina Salo Commedia - Finlandia Francia Germania, 2011, durata 93'. Il regista Aki Kaurismäki racconta una storia toccante e sincera: un umile lustrascarpe aiuta un giovane clandestino a ritrovare la madre. Il film ha ottenuto 1 candidatura a David di Donatello, 4 candidature e vinto un premio ai European Film Awards e 2 candidature a Cesar. |
CENTRO SOCIALE DEL PERNONE Via Chiesa vecchia 17 Varone - Riva del Garda (TN) Proiezioni alle ore 21.00 A seguire rinfresco offerto da Mandacarù Onlus Ingresso libero Informazioni www.gruppoiniziativevarone.it |
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