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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Mercoledì, 21 Ottobre 2020 10:00
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L'OTTIMISMO DI FRANK CAPRA La vita è meravigliosa (USA 1946) |
Probabilmente è il capolavoro di Frank Capra, certamente uno dei film più belli e amati usciti dalla fucina americana, sostenuto da una magistrale interpretazione di James Stewart. La storia è molto semplice: George Bailey per tutta la sua vita rinuncia a qualche cosa pur di servire gli altri. Da bambino salva il fratello caduto in uno stagno ghiacciato, ma prende un'otite che lo rende sordo da un orecchio. Da giovane rinuncia alla laurea per restare nella sua cittadina e fare andare avanti la società fondata dal padre per fornire case ai meno abbienti. E così, di rinuncia in rinuncia, George tira avanti; si sposa, va ad abitare in una vecchia casa umida, ha tre figli. Ma ecco che lo zio che lo aiuta. Perde ottomila dollari che vengono trovati dal perfido finanziere Potter. Questi non restituisce la somma e spinge così George al suicidio. È la notte di Natale e George si avvia verso il fiume per gettarsi nelle sue acque turbinanti. Ma arriva dal cielo un angelo che per convincerlo a non uccidersi gli fa vedere cosa sarebbe successo se lui non fosse mai nato. La città sarebbe in mano al perfido Potter, nessuna casa per i meno abbienti sarebbe mai stata costruita, sua moglie sarebbe rimasta zitella, sua madre sarebbe ridotta a gestire una pensione, suo fratello, morto da bambino perché George non avrebbe potuto salvarlo, non avrebbe a sua volta potuto salvare duemila uomini durante un'azione bellica che gli ha fruttato la massima onorificenza militare. George si convince che la vita è meravigliosa e torna ad affrontare le sue responsabilità. Nel frattempo la popolazione della cittadina ha raccolto gli ottomila dollari per aiutare George che ha sempre aiutato tutti. In uno straordinario finale, allegro e patetico insieme, il film si chiude con il suono di un campanello. È l'angelo custode che, compiuta la missione, ha ottenuto da Dio le ali, diventando angelo di prima categoria.
da: https://www.mymovies.it
A Bedford Fall il brav'uomo George Bailey, onesto e sfortunato, vuol togliersi la vita. Gli appare, nelle vesti di un simpatico vecchietto, il suo angelo custode e gli mostra come sarebbe stato il mondo se non fosse mai nato. È il film di Natale per eccellenza, uno dei capolavori del cinema sentimentale di tutti i tempi. L'americano R. Sklar scrisse che ha 2 registi: Frank Capra e Dio, realizzatore di miracoli nel film, ma anche autore di un film dentro il film. Stewart dà il meglio in un personaggio che passa dall'ottimismo al pessimismo più nero come la commedia passa dal comico all'incubo, dal documentario alla favola.
da: il Morandini
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Ottobre 2020 09:00
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IL MONDO DI JACQUES TATI Le vacanze di Monsieur Hulot (FRANCIA 1953) |
È esplosa la febbre delle vacanze di massa. Solo Monsieur Hulot si muove lontano dagli affollamenti e con la sua auto dal carburatore scoppiettante raggiunge una pensioncina ai bordi di una spiaggia. Vivrà insieme agli altri una vacanza in cui non mancheranno le sorprese.
Il postino impegnato a cercare di emulare la supposta rapidità di consegna dei colleghi americani è ormai alle spalle e nel film successivo lo spettatore ha la possibilità di assistere al battesimo del personaggio con cui Tati finirà con l’identificarsi e con l’essere identificato: Monsieur Hulot.
Il suo ingresso in scena non è segnato da quella camminata che ne diverrà poi un tratto distintivo. Hulot è in macchina. È quindi un uomo massa, uno dei tanti che dileggerà con crudele levità nei film successivi? Nulla di tutto ciò. La sua auto che sbuffa e tossisce (e viene regolarmente sorpassata dalle altre) lo segnala già come alieno in un mondo che si sta votando progressivamente e inconsapevolmente al consumismo collettivo. Non sono più persone ma una folla di individui che si accalca e si sposta da un binario all’altro seguendo messaggi incomprensibili che provengono dagli altoparlanti o che viene si stipata su corriere stracolme. Hulot cerca in tutti modi (è un gentiluomo di vecchio stampo che fa ancora i baciamano) alla follia collettiva.
Anche quando questa si maschera di bon ton e di ‘prego prima lei’. Ma gli è difficile uscire da un mood che lo fa sentire irriducibilmente solo anche quando è circondato dagli altri. Qualcuno volle paragonarlo (al momento dell’uscita del film e grazie al successo ottenuto) a Charlot ma Tati ci tenne a sottolineare che la sua era una comicità differente perché puntava da subito sugli effetti del sonoro anche quando questo era fuori campo o sembrava quasi non intellegibile. Per un personaggio che non parla quasi mai sembrerebbe una pretesa eccessiva. Hulot però ‘reagisce’ o fa reagire ai suoni e ai rumori costringendo chi guarda a prenderne atto.
Potrà far sorridere chi oggi vede o rivede il film sapere che al regista venne offerta la possibilità di girare a seguire i seguenti film: “Le vacanze invernali di Monsieur Hulot”, “Hulot nel Texas”, “Hulot a Saint Tropez”, “Hulot sulla luna” e anche un”Totò e Tati”. Come sappiamo tutte le proposte ricevettero un rifiuto.
da: https://www.mymovies.it
Monsieur Hulot va in vacanza su una spiaggia della Bretagna in una pensioncina familiare e gli capitano tante piccole disavventure. Finiscono le ferie, rimane la malinconia. È per molti il capolavoro di Tati di cui è il 2° lungometraggio. La sua comicità di osservazione (Hulot è un testimone e un rivelatore più che un protagonista) trova qui, attraverso una serie di gag irresistibili, il culmine poetico in un bianconero sonoro e non parlato: le parole diventano rumori. L'uso che fa della realtà è di una modernità persino anticipatrice. Ridistribuito nel 2009 in una edizione rimontata e restaurata. Scritto con H. Marquet, P. Aubert, J. Lagrange. Musica: Alain Romains (sassofono e vibrafono jazzistico). Premio della critica a Cannes e Prix Delluc 1953
da: il Morandini
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Ottobre 2020 08:00
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IL MONDO DI JACQUES TATI Mio zio (FRANCIA 1958) |
Gérard Arpel vive con i genitori in una villa in cui dominano la modernità e la plastica ma preferisce la compagnia dello zio materno Hulot il quale lo porta con sé nel vecchio quartiere della città in cui ha la sua abitazione. I signori Arpel cercano in tutti i modi di accasare il congiunto e di trovargli un lavoro affinché metta fine al suo stile di vita che ritengono stravagante.
Con il Premio della Giuria a Cannes e l'Oscar quale miglior film straniero Tati consegue, grazie a questo film, quel riconoscimento internazionale che gli consentirà di avere una totale libertà di azione per il suo futuro lavoro. Va detto che per arrivare all'Oscar mette in atto una strategia accurata con un doppiaggio in inglese e con alcune scene differenti rispetto alla versione europea. Gli americani gli proporranno un contratto con molti zeri per un film con Sophia Loren dal titolo "Mr. Hulot Goes West" ma Tati risponderà che all'Ovest preferisce l'Est, lasciandosi alle spalle qualsiasi possibilità di collaborazione con Hollywood.
Dove sta un così forte potere di attrazione del film e del suo personaggio? Sta innanzitutto nel fatto che, dopo il paese di Giorno di festa e la località balneare di Le vacanze di Monsieur Hulot si affronta finalmente in modo frontale la dimensione urbana. Tati/Hulot diventa così il portabandiera di chi non si vuole integrare, di chi non vuole accettare come positiva una modernità assurta ad idolo da parte di quelli che vogliono dare di sé un'immagine costruita ad hoc. Il tormentone della fontana con getto d'acqua nel giardino degli Arpel (che è tenuta inattiva e viene 'accesa' solo se arriva un ospite che si vuole stupire) ne è l'emblema. Hulot però non è un rivoluzionario, è piuttosto un cane sciolto (come quelli che simbolicamente aprono e chiudono il film inseguiti dal loro consimile con cappottino in cerca di libertà). Non a caso il piccolo Gérard trova in lui quel respiro vitale che, in una casa in cui si mangia un uovo come se si fosse in un freddo ospedale, fa desiderare frittelle consumate in libertà. Tati contrappone i due aspetti dell'urbanizzazione (uno in cui la dimensione umana ha ancora un suo rilievo e l'altro in cui tutto si riduce a formalismo ed automatizzazione) ma non deve essere ascritto d'ufficio a un passatismo fine a se stesso. Basti pensare che lo scenografo Jacques Lagrange immagina la villa degli Arpel seguendo canoni architettonici che sono solo falsamente moderni in quanto risalgono all'International Style che ebbe il suo momento di fulgore tra gli anni Venti e i Trenta.
Ciò che Hulot in fondo sottolinea è ben altro. Il mondo di plastica che si prefigura sta plastificando anche gli esseri umani e se il rapporto tra Gérard e il padre rimanda a quello non facile tra lo stesso Tati e il suo genitore, in questo film il regista francese soprattutto avverte e teme l'assedio di una società in cui, come il De Sica di Miracolo a Milano, non ci sia più un luogo in cui "buongiorno voglia dire veramente buongiorno". Ce lo comunica grazie a gag che entreranno nella storia del cinema e i cui tempi comici saranno da modello per innumerevoli film (un esempio per tutti: Hollywood Party di Blake Edwards)
da: https://www.mymovies.it
Gli Arpel vivono in una villa ultramoderna, dotata di tutti i conforti elettromagnetici. Il loro figlio Gérard di nove anni preferisce ai genitori M. Hulot, lo zio materno, scapolo spensierato che abita in un quartiere popolare. 3° lungometraggio di Tati e 1° a colori, è fondato sulla contrapposizione di due mondi in cui l'autore riesce a conciliare il comico di osservazione con il burlesque attraverso una serie di invenzioni buffe che, pur sfiorando il surreale, hanno le radici in una plausibile quotidianità. "Per Tati soltanto il poeta e il bambino, grazie alla loro spontaneità, possono salvare la nostra società dalla disumanizzazione che nasce dalla standardizzazione" (G. Bellinger). Bisogna riconoscere che, anticipatore degli ecologisti, Tati diceva con garbo cose che non erano molto comuni alla fine degli anni '50. Oscar per il miglior film straniero.
da: il Morandini
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Jacques Tati - Monsieur Hulot,
Jean-Pierre Zola - Charles Arpel,
Adrienne Servantie - Madame Arpel,
Lucien Frégis - Monsieur Pichard,
Betty Schneider - Betty, la figlia della portinaia,
J.F. Martial (Jean-François Martial) - Walter,
Dominique Marie - La vicina,
Yvonne Arnaud - Georgette,
Adelaide Danieli - Madame Pichard,
Alain Bécourt - Gerard Arpel,
Régis Fontenay - Commerciante,
Claude Badolle - Venditore al mercato delle pulci,
Max Martel - Ubriaco
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Ottobre 2020 07:00
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IL MONDO DI JACQUES TATI Playtime - Tempo di divertimento (FRANCIA 1967) |
In una Parigi distante anni luce dalla Ville Lumière della tradizione Monsieur Hulot cerca di incontrare una persona e nel frattempo si ritrova in luoghi in cui la modernità ha imposto la propria concezione di stile di vita e di lavoro. In parallelo un gruppo di turiste visita la città.
Con Playtime Jacques Tati realizza la produzione più costosa della sua filmografia ma anche della cinematografia francese dell'epoca. Il suo sforzo sul piano economico non verrà gratificato dall'accoglienza del pubblico mentre otterrà pressoché universali favori critici. Il motivo risiede nelle aspettative che gli spettatori si erano create sulla base dei film precedenti del regista/attore. Il pubblico voleva una 'storia' e qui Tati invece gliela nega; il pubblico voleva un protagonista e in questa occasione Monsieur Hulot è 'uno' dei personaggi (si vedano la sua ritardata entrata in scena e, alla fine, la sua uscita quasi di soppiatto). Lo studioso Noël Burch lo definì"un film che va visto non solo più volte ma da più distanze diverse". Il senso di questa valutazione risiede nel fatto che Tati lo gira nell'inusuale (tranne che per Kubrick in 2001 Odissea nello spazio) formato del 70 mm, prediligendo l'utilizzo della profondità di campo e cercando di ridurre al minimo i movimenti di macchina. Tutto ciò comporta una molteplicità di azioni all'interno della stessa inquadratura e richiede allo spettatore di non essere passivo (come accade con il montaggio accentuato) ma di 'andarsi a cercare' i punti di forza dell'azione. La quale si situa in un mondo in cui i segnali di allarme presenti in Mio zio non hanno più ragion d'essere in quanto una modernità asettica ha invaso e pervaso il vivere sociale nella grande città.
Se nella casa dei signori Arpel ci si poteva trovare a mangiare in uno spazio che assomigliava a un ambulatorio ora (vedasi l'inizio del film) si deve cercare di capire dove ci si trova: in un ospedale o in un aeroporto? I due luoghi sono diventati intercambiabili in una Parigi in cui i nuovi palazzoni vetro e cemento nascondono i monumenti del passato. Se nella casa di Hulot nel film precedente il movimento di una finestra poteva, con il suo riflesso, far cantare un uccellino in gabbia ora i vetri possono continuare a riflettere, ma solo di sfuggita, la Parigi del tempo che fu. A proposito di animali: se i cani aprivano e chiudevano significativamente Mio zio in questa Parigi gli animali sembrano essere quasi totalmente scomparsi. Con una sola eccezione che lo spettatore potrà scoprire.
Tati lavora, facendo ancora una volta e più che nel passato leva sugli elementi del sonoro, su un livello di concreta astrazione. L'ossimoro è solo apparente perché di fatto ciò che appare come poco realistico si rivela come rivelatore di uno sguardo quasi entomologico la cui lente si piega verso una società che ha ormai perso il senso delle relazioni interpersonali anche se, in modo talvolta inconscio e spesso comunque confuso, ne è alla ricerca.
da: https://www.mymovies.it
Monsieur Hulot alle prese con un gruppo di turisti americani in visita a Parigi. Una serie di incidenti trasforma la serata dell'inaugurazione di un locale nella demolizione di un cantiere. È, anche per l'alto costo, il film più ambizioso di J. Tati (1908-82), quello in cui spinge alle estreme conseguenze la sua comicità di osservazione e la capacità di chiudere in una sola inquadratura una grande molteplicità di informazioni. È il film - girato in 70 mm - in cui Tati ha più sopravvalutato l'intelligenza del pubblico e la capacità di attenzione dello spettatore. Una sconfitta che gli fa onore, ma che gli tribolò gli ultimi 15 anni. Inadatto al piccolo schermo. Restaurato nella sua versione integrale (152') nel 2002 e ridistribuito in Francia. Rivisto con il senno di poi, acquista un valore profetico come satira della globalizzazione a tutti i livelli: Tati ha messo in immagini la crisi spirituale del suo secolo.
da: il Morandini
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