LunedìCinema - Cineforum 2016 | 2017
    

Delitto in pieno sole (1960) di Reneé Clément

Philip Greenleaf vive a spese del padre, ricco californiano, nell'immaginaria località balneare italiana di Mongibello (gli sfondi reali sono di Ischia) con la connazionale Marge. L'ha raggiunto l'amico Tom Ripley, che dal padre di Philip ha avuto l'incarico di riportarlo a casa. Insolente, Philip si diverte in molti modi, incluso l'umiliare Tom. Costui però ne subisce il fascino e, al tempo stesso, matura l'odio nei suoi confronti. Consapevole della loro somiglianza, progetta di sostituirsi a lui. (...)

Efficace trasposizione cinematografica del complesso romanzo Il talento di mister Ripley di Patricia Highsmith, Delitto in pieno sole è un thriller psicologico di indubbio fascino, che unisce esigenze commerciali a suggestive intuizioni da cinema d'autore. Ellittico nella narrazione, il film scivola lentamente in un incubo alla luce del giorno senza ricercare climax tensivi ma, al contrario, sottolineando l'importanza dei rapporti tra i personaggi attraverso la parola e il gusto per il dettaglio. Un gioco all'insegna dell'illusione, della calma apparente, della rivalità (amorosa), in cui il la tensione omoerotica tra Tom e Philippe (suggerita con classe) è turbata dalla presenza di Marge (Marie Laforêt), fidanzata del secondo.

Delitto in pieno soleQuinto film di Delon, e primo da protagonista, Plein soleil precedette immediatamente il suo incontro con Luchino Visconti. La parte di Ripley venne offerta a Delon dopo il rifiuto di Jacques Charrier, allora più famoso di lui e marito di Brigitte Bardot. In un primo tempo i ruoli dovevano essere inversi: Delon però s'impuntò e ottenne la parte principale.

Totalmente priva di mistero, la pellicola si trascina un po' pesantemente nella pretesa che la macchinazione del protagonista possa anche gettare uno sguardo beffardo sulla dubbia moralità borghese. Delon (allora venticinquenne) è nel pieno della sua fulgida bellezza, ma non passa inosservato nemmeno lo charme del collega Maurice Ronet. Elegante, snob, un po' inamidato. Fotografia di Henri Decaë, musiche di Nino Rota. Dallo stesso romanzo è stato tratto anche il dimenticabile Il talento di Mr. Ripley (1999) di Anthony Minghella.

La critica francese dell'epoca non si scaldò per Plein soleil, limitandosi a notare che esso lanciava definitivamente Delon: si parlò di "fredda perfezione", di "film americano girato in Francia", che non sfiora tuttavia i livelli di Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) di Alfred Hitchcock: il paragone con Hitchcock è giustificato dal fatto che un altro romanzo di Patricia Highsmith, Strangers on a train, era già stato portato sullo schermo dal regista con lo stesso titolo (L'altro uomo, noto anche come Delitto per delitto, 1951).
In effetti, col senno d'allora, Plein soleil è un film di genere; col senno di oggi è un classico: una sorta di autopsia di un delitto quasi perfetto, sostenuto da una costruzione attentissima della suspense e da atmosfere sferzate dal sole che catturano gli umori del romanzo. Martin Scorsese, impressionato dal crogiolo di passioni, invidie e omicidi del film, lo ha recentemente rilanciato promuovendone un restauro che restituisce appieno la bellezza cromatica dell'Eastmancolor di Decaë.

da: http://www.treccani.it
http://www.longtake.it
 
 

   Scheda film  

           Delitto in pieno sole
TITOLO ORIGINALE   Plein soleil  
PRODUZIONE   FranciaItalia  
ANNO   1960  
DURATA   118'  
COLORE   Color (Eastmancolor)  
AUDIO   Mono (Westrex Recording System)  
RAPPORTO   1.66 : 1  
GENERE   Drammatico, Thriller  
REGIA   René Clément    

INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Alain Delon: Tom Ripley / Philippe Greenleaf Junior
  • Maurice Ronet: Philippe Greenleaf
  • Marie Laforêt: Marge Duval
  • Erno Crisa: Riccordi
  • Frank Latimore: O'Brien
  • Billy Kearns: Freddy Miles
  • Ave Ninchi: Sig.ra Gianna
  • Helene Chantel: donna belga
  • Elvire Popesco: Sig.ra Popova
 

DOPPIATORI
ITALIANI
 
  • Massimo Turci: Tom Ripley / Philippe Greenleaf
  • Giuseppe Rinaldi: Philippe Greenleaf
  • Maria Pia Di Meo: Marge Duval
  • Nando Gazzolo: Riccordi
  • Carlo Romano: Freddy Miles
  • Rosetta Calavetta: donna belga
  • Wanda Tettoni: Sig.ra Popova
  • Mario Corte
  • Ferruccio Amendola
  • Vinicio Sofia
  • Cesare Barbetti
  • Rita Savagnone
  • Maria Saccenti
 
SOGGETTO   Patricia Highsmith (romanzo)
 
SCENEGGIATURA
  Paul Gégauff e René Clément  
PRODUTTORE   Raymond Hakim e Robert Hakim
 
FOTOGRAFIA   Henri Decaë  
MONTAGGIO   Françoise Javet  
MUSICHE   Nino Rota
 
SCENOGRAFIA   Paul Bertrand
 
COSTUMI



Bella Clément  

 

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Il ritorno di Mr. Ripley (2005) di Roger Spottiswoode

Il ritorno di Mr. Ripley (Ripley Under Ground) è un film del 2005 diretto da Roger Spottiswoode e basato su Il sepolto vivo, secondo romanzo del ciclo di Tom Ripley della scrittrice Patricia Highsmith. Il protagonista è interpretato da Barry Pepper.
Il ritorno di Mr. Ripley

Sullo sfondo di una truffa concepita ed attuata nel mondo del collezionismo d'arte londinese, si fronteggiano due uomini: Tom Ripley, un "irriverente" uomo di mondo, sempre pronto ad ideare nuove strategie per arricchirsi, e Bernard, un pittore votato alla coscienza tragica della propria debolezza, che accetta la parte di esecutore della truffa e dipinge alcuni falsi quadri d'autore. La scoperta casuale dell'inganno dà il via non solo agli ineluttabili scenari del crimine, ma anche al confronto sul filo del rasoio di due caratteri ed atteggiamenti opposti: l'amoralità di Tom ed i sensi di colpa di Bernard, la determinazione dell'uno e la paura dell'altro, che si trasforma in un ansioso viaggio verso la morte.

La critica 
non è stata particolarmente benevola nei confronti del film. In particolare molti hanno considerato la trasposizione cinematografica non all'altezza di quella presente nel libro. Non apprezzata anche la prestazione dell’attore protagonista. Per queste ragioni, anche il pubblico ha snobbato il film ritenendo migliore il precedente capitolo della saga, gli spettatori sono stati ancora inferiori in Italia dove il film è uscito solo nel maggio del 2009.

 
da: http://movieplayer.it/
https://it.wikipedia.org
http://www.lettera43.it/
 

   Scheda film  

           Il ritorno di Mr. Ripley
TITOLO ORIGINALE   Ripley Under Ground  
PRODUZIONE   GermaniaUK  
ANNO   2005  
DURATA   101'  
COLORE   Colore  
AUDIO   Dolby Digital  
RAPPORTO   1.85:1  
GENERE   Thriller, Drammatico, Sentimentale  
REGIA   Roger Spottiswoode    

INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Barry Pepper: Tom Ripley
  • Jacinda Barrett: Heloise
  • Tom Wilkinson: Ispettore John Webster
  • Willem Dafoe: Neil Murchinson
  • Alan Cumming: Jeff Constant
  • Douglas Henshall: Derwatt
  • François Marthouret: Antoine Plisson
  • Claire Forlani: Cynthia
  • Ian Hart: Bernard Sayles
 
DOPPIATORI ITALIANI  
  • Andrea Ward: Tom Ripley
  • Monica Bertolotti: Heloise
  • Dario Penne: Ispettore John Webster
  • Abrogio Colombo Neil Murchinson
  • Edoardo Nordio: Jeff Constant
 
SOGGETTO   Dal romanzo "Sepolto vivo" di Patricia Highsmith
 
SCENEGGIATURA
  W. Blake HerronDonald E. Westlake   
PRODUTTORE   Cinerenta Medienbeteiligungs KG
 
FOTOGRAFIA   Paul Sarossy  
MONTAGGIO   Michel Arcand  
MUSICHE   Jeff Danna
 
       
 

 

 

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Il gioco di Ripley (2002) di Liliana Cavani


"Ripley's Game", presentato fuori concorso alla 59 Mostra del Cinema di Venezia, è il quarto adattamento cinematografico della serie ideata da Patricia Highsmith. Il primo romanzo, Il talento di Mister Ripley è stato adattato due volte, prima nel 1961 da Renè Clement, " Delitto in pieno sole" e poi nel 1999 da Anthony Minghella con Matt Damon come protagonista, conservando il titolo originale. Ripley's game,invece, fu oggetto di un famoso film, "L'amico americano" realizzato da Wim Wenders nel 1978.
Diciamo subito che l'ultimo lavoro della Cavani è un bel film, poderoso nell' impianto narrativo solidamente ancorato al soggetto da cui è tratto. Questo, grazie anche alla scelta ricaduta su John Malkovich quale interprete del ruolo di Tom Ripley.

Lo sfuggente e misterioso Ripley sembra tagliato apposta pensando alle doti di Malkovich. L'attore americano ne sublima le peculiari particolarità.
Ripley è un dandy, raffinato, innamorato di sé stesso e degli oggetti di cui ama circondarsi. La peggiore offesa che gli si possa rivolgere è di accusarlo di avere poco gusto. Ed è proprio a causa di un'accusa di tal guisa, mossagli da Jonathan Trevanny (Dougray Scott, "Enigma") che Ripley decide, mossa sublime, non di vendicarsi ma, anzi, di aiutarlo a risolvere un problema piu' grande di lui per dimostrargli le sue raffinate ed efficaci possibilità.
Il gioco di RipleyJonathan è un corniciaio inglese che lavora a Vicenza, la città nei pressi della quale Ripley abita in una villa circondata da un parco. Afflitto dalla leucemia, viene convinto da Reeves (Ray Winstone, "Zona di guerra") , un ex socio di Ripley, ad eseguire un omicidio per suo conto. Jonathan dapprima esita, poi, spinto dal bisogno, esegue il contratto. Ma la situazione precipita e sarà necessario l'intervento dell'ineffabile Tom e del suo talento per risolvere la situazione.
Felice la mano della Cavani che muove i personaggi e lega gli eventi così come Ripley domina e governa le persone che gli ruotano attorno.
Con consumato mestiere, la regista italiana enfatizza le potenzialità dei personaggi con i quali lavora. In quest'ottica è un piacere ascoltare i gustosi scambi di battute tra Ripley e Reeves o assistere all'innata eleganza del primo che doma la rozza goffaggine del secondo.
Si può andare in sollucchero nel vedere Ripley che, mentre brucia cadaveri, ordina 60 peonie cinesi - rosse per carità - per la moglie (Chiara Caselli) che quella sera stessa terrà un concerto di clavicembalo al Teatro Olimpico del Palladio.
Con una direzione sempre attenta e pulita, la Cavani procede nella narrazione riuscendo a donare al film quella misura di necessaria tensione che colma le aspettative anche di un pubblico che al lato estetico dell'opera predilige l'azione e il thrilling.
La prova di Malkovic è maiuscola, in alcuni momenti ci ha ricordato il Valmont de "Le relazioni pericolose". Anche gli altri interpreti , in particolare Winstone, eseguono il loro compito con bravura.
 
da: http://filmup.leonardo.it
 

   Scheda film  

           Il gioco di Ripley
TITOLO ORIGINALE   Ripley's Game  
LINGUA ORIGINALE   Inglese  
PRODUZIONE   ItaliaRegno UnitoUSA  
ANNO   2002  
DURATA   110'  
COLORE   Color (Fujicolor)  
AUDIO   Dolby Digital  
RAPPORTO   1.85:1  
GENERE   Drammatico, Thriller  
REGIA   Liliana Cavani    

INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • John Malkovich: Tom Ripley
  • Dougray Scott: Jonathan Trevanny
  • Ray Winstone: Reeves
  • Lena Headey: Sarah Trevanny
  • Chiara Caselli: Luisa Harari
 

DOPPIATORI
ITALIANI
 
  • Sergio Di Stefano: Tom Ripley
  • Fabio Boccanera: Jonathan Trevanny
  • Ennio Coltorti: Reeves
  • Stella Musy: Sarah Trevanny
  • Oreste Rizzini: Dottor Wentsel
  • Francesco Vairano: Mercante
 
SOGGETTO   Liliana CavaniCharles McKeownPatricia Highsmith(romanzo)
 
PRODUTTORE   Simon BosanquetIleen MaiselRiccardo Tozzi
 
FOTOGRAFIA   Alfio Contini  
MONTAGGIO   Jon Harris  
MUSICHE   Ennio Morricone
 
SCENOGRAFIA   Francesco Frigeri
 
COSTUMI   Fotini DimouRaffaella FantasiaAlberto Verso  
TRUCCO



Katia SistoGino Zamprioli  

 

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I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio

I pugni in tasca ha compie cinquantuno ann. All’uscita il film creò grandi discussioni, grazie anche a un passaggio semiclandestino al festival di Venezia dove, rifiutato dalla selezione ufficiale, fu presentato a margine della manifestazioneTutti gli intellettuali ne parlarono, Moravia, Soldati, Pasolini, Calvino, e alla fine la pellicola, praticamente autoprodotta, incassò bene risultando, come ricordato con divertimento dal regista, l’unico affare della sua vita.

Perché tanto clamore? I pugni in tasca racconta la storia di una famiglia problematica: senza padre, con una madre cieca e quattro figli. Solo il più grande è “normale” e inserito, Augusto (Marino Masé); poi c’è Giulia (Paola Pitagora), morbosamente legata al fratello maggiore, Leone (Pierluigi Troglio), epilettico e ritardato, Alessandro (Lou Castel), epilettico e insofferente. Vivono in una grande casa borghese decaduta a Bobbio (paese natale di Bellocchio), nei pressi di Piacenza. E in quella villa sembrano come confinati, a parte Augusto, incapaci di relazioni significative col mondo esterno.

I pugni in tascaIl più bizzarro è Alessandro: insoddisfatto e nevrotico, attratto dalla sorella e con velleità imprenditoriali – vorrebbe mettere su un allevamento di cincillà – che non si traducono mai in atti concreti. Solo un disegno conduce a termine: uccidere i componenti della famiglia, prima la madre, poi Leone. Delitti compiuti, come dichiara preventivamente al fratello maggiore, per dar respiro al bilancio familiare, su cui gravano le spese per la mamma inferma, permettendo così ad Augusto di sposare la fidanzata.

Per capire l’enorme attenzione e lo scandalo del film, bisogna interrogarsi su quale fosse l’Italia di quegli anni: un paese nel quale, l’esempio è notissimo, l’inchiesta sulla condizione femminile realizzata da un giornalino scolastico, “La zanzara” del liceo Parini di Milano, era sfociata in un processo, perché le ragazze avevano parlato con franchezza di sesso prematrimoniale. Un paese quindi dalla morale pubblica ancora rigida, incapace di dare voce alle inquietudini giovanili: basti pensare, restando al cinema, che mentre in Francia, Gran Bretagna o Polonia i registi del nuovo cinema d’autore erano quasi tutti giovani, Godard, Truffaut, Reisz, Wajda, in Italia l’avanguardia cinematografica era nelle mani di Fellini e Antonioni. Che venivano da un’altra generazione e, soprattutto, raccontavano un’altra generazione.

Bellocchio invece aveva 25 anni ed era portatore di istanze che non avevano ancora trovato spazio: giocoforza, e aldilà delle intenzioni dell’autore, il film venne interpretato in una chiava paradigmatica e fortemente simbolica, come espressione di un malessere giovanile diffuso. L’esplosione del ’68 fece il resto, consegnando stabilmente I pugni in tasca all'epopea movimentista, di cui sarebbe stato letto come spia e prodromo. Un equivoco che lo stesso Bellocchio alimentò, con la militanza nell’Unione dei comunisti marxisti-leninisti e la realizzazione di documentari rigorosamente “rivoluzionari” (Viva il primo maggio rosso, 1968; Paola ovvero Il popolo calabrese ha rialzato la testa, 1969).

I pugni in tascaIn realtà I pugni in tasca, come i film successivi del regista avrebbero reso più evidente, era il risultato di rovelli molto personali, venati di accenti autobiografici. Forse proprio per questo capaci di intercettare lo spirito del tempo, mostrando sentimenti e rabbie condivise. Perché, come mise bene in luce Moravia, “Bellocchio ha dato fondo a tutto ciò che di solito costituisce il mondo della giovinezza […] odio e amore della famiglia, ambiguità dei rapporti fraterni, attrazione verso la morte, entusiasmo per la vita, volontà astratta di azione, furore impotente, malinconia morbosa, violenza profanatoria e infine, a sfondo di tutto questo, il senso cupo e fatale di una provincia senza speranza”.

I giovani si riconobbero. E gli adulti si allarmarono, alla vista d’un personaggio sgradevole, inetto e malato, capace di uccidere con indifferenza e sinistro piacere (al funerale della madre si vanta con la sorella dell’omicidio), preda d’una frenesia repressa e slanci distorti. Butta giù dalla scarpata la mamma cieca, desidera (e forse consuma) l’incesto con la sorella, affoga il fratello minorato: e lo fa con spirito distaccato, quasi abulico, come si trattasse solo di far quadrare il bilancio familiare.

Sono l’ambiguità e la mancanza di motivazioni nei gesti di Alessandro a fare de I pugni in tasca un’opera spaventosa e sgradevole: “la tragicità sta tutta nello sguardo freddo”, disse Calvino, espresso attraverso una grammatica visiva quasi naturalistica, controllata e priva d’impennate “d’autore”. Uno stile avvertito, che rende ancora più realistica la storia: perciò più inquietante, dato che l’Alessandro di buona famiglia e buoni studi non è troppo diverso dal ragazzo della porta accanto, le cui bizzarrie si tendono a reputare del tutto innocenti.

Perciò I pugni in tasca non poteva lasciare indifferenti: benché lo si volesse negare, c’era qualcosa di familiare in quel protagonista, una vicinanza che spiega perché nel finale, come nota ancora Moravia, quando Alessandro “si abbandona all'esaltazione vitalistica e mortuaria che gli ispira la musica verdiana e muore, lo spettatore prova un sentimento di pietà come per la morte di un eroe in fondo positivo”.

da: http://www.optimaitalia.com/blog/author/sfedele
 

   Scheda film  

           I pugni in tasca
PRODUZIONE   Italia  
ANNO   1965  
DURATA   105'  
COLORE   B/N  
AUDIO   Mono  
RAPPORTO   1.75:1  
GENERE   Drammatico  
REGIA   Marco Bellocchio    

INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Lou Castel: Alessandro
  • Paola Pitagora: Giulia
  • Marino Masè: Augusto
  • Liliana Gerace: la madre
  • Pierluigi Troglio: Leone
  • Jenny MacNeil: Lucia
  • Irene Agnelli: Bruna
  • Mauro Martini: bambino
  • Gianni Schicchi: Tonino
  • Alfredo Filippazzi: Dottore
  • Gianfranco Cella
  • Celestina Bellocchio
  • Sandra Bergamini
  • Lella Bertante
 
SOGGETTO   Marco Bellocchio
 
SCENEGGIATURA
  Marco Bellocchio  
PRODUTTORE   Enzo Doria (Doria Cinematografica)
 
FOTOGRAFIA   Alberto Marrama  
MONTAGGIO   Aurelio Mangiarotti (Silvano Agosti)  
MUSICHE   Ennio Morricone
 
SCENOGRAFIA   Rosa Sala  
COSTUMI   Gisella Longo  
       

 

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Gioventù, amore e rabbia (1962) di Tony Richardson


Correre ha sempre avuto grande importanza nella nostra famiglia, specialmente correre dalla polizia. E’ difficile da capire. Tutto quello che so è che bisogna correre, correre senza sapere il perché, attraverso campi e boschi. E il traguardo non è la fine, anche se la folla potrebbe tifare fino a diventare sorda. Questa è la solitudine che prova un corridore di lunga distanza.”
Con queste parole ha inizio Gioventù, amore e rabbia (The Loneliness of the Long Distance Runner), un film del 1962 diretto da Tony Richardson. Richardson aveva già realizzato Giovani arrabbiati ed era in testa alla nuova ondata di registi che prendeva piede nel Regno Unito tra gli anni cinquanta e sessanta.

Il protagonista del film, Colin Smith, è un giovane ragazzo che viene condannato al riformatorio a seguito della rapina di un panificio commessa da lui ed un suo amico. Grazie alle sua abilità atletiche, in particolare alle sue capacità di resistenza nella corsa, riesce a scalare i ranghi dell’istituzione, fino a diventare il beniamino del direttore. Durante il suo allenamento, che consiste in lunghe corse solitarie intorno al riformatorio, Colin si trova a fantasticare sulla sua vita prima dell’incarcerazione e a rivalutare la sua posizione privilegiata all'interno del riformatorio.

Gioventù, amore e rabbiaE’ facile rivelare nella storia del film un accenno di quel sentimento di ribellione giovanile che avrebbe dominato gli anni ’60. In particolare, era l’ostilità senza compromessi del protagonista nei confronti delle autorità che preoccupava i censori che reagirono con disappunto e malcontento all’uscita del film.
Quando messo a confronto con la propria situazione di sottomissione nel riformatorio, da un altro ragazzo che gli dice: “Sono loro quelli con la frusta in mano”, riferendosi alle autorità. Smith allora risponde senza battere ciglio: “Sai cosa farei se avessi io in mano la frusta? Prenderei tutti i poliziotti, i governatori, le puttane d’alta classe, gli ufficiali dell’esercito e i membri del parlamento, gli appiccicherei al muro e gliela farei sentire, perché questo è quello che vorrebbero fare loro a tizi come noi.”
E’ comprensibile che questo atteggiamento preoccupasse i censori. Che fosse un ladro a vestire i panni dell’eroe, poi, era inaccettabile. Senza parlare di quella che fu identificata come “palese e snervante propaganda comunista”.

Colin Smith è interpretato da Tom Courtenay, nella sua prima apparizione sul grande schermo (anche se si era già fatto conoscere a teatro). La sua fusione con il personaggio del giovane ribelle fu perfetta. Anche le peggiori recensioni del film non evitarono di lodare l’interpretazione del giovane attore. Courtenay rese credibile il personaggio, mostrandone il carattere irrequieto ed anarchico e la sua agognata ricerca di libertà, ma allo stesso tempo, il suo contrastante desiderio di normalità e di tranquillità.

In Gioventù, amore e rabbia, l’attenzione ai dettagli e la rappresentazione della misera vita del giovane ragazzo, danno un’immagine vivida ed un’aria convincente di realtà alla storia. Ci troviamo di fronte ad uno pseudo-documentario che ha però la capacità di mantenere un certo flusso cinematografico ed un emozionante carattere poetico. Tra i tanti film che pretendono di rappresentare la rabbia e le frustrazioni giovanili, questa pellicola di Richardson occupa sicuramente un posto di rilievo.

da: http://www.filmforlife.org/
 

   Scheda film 

         Gioventù, amore e rabbia
TITOLO ORIGINALE The Loneliness of the Long Distance Runner  
PRODUZIONE Regno Unito  
ANNO 1962  
DURATA 104'  
COLORE B/N  
AUDIO Mono (Westrex Recording System)  
RAPPORTO 1.66:1  
GENERE Drammatico  
REGIA Tony Richardson    

INTERPRETI E PERSONAGGI

  • Tom Courtenay: Colin Smith
  • Michael Redgrave: Ruxton Towers
  • Alec McCowen: Brown
  • James Fox: Gunthorpe
 
SOGGETTO Alan Sillitoe  
SCENEGGIATURA
Alan Sillitoe  
FOTOGRAFIA Walter Lassally  
MONTAGGIO Antony Gibbs  
MUSICHE John Addison  
SCENOGRAFIA Ralph W. Brinton e Ted Marshall  
     
     
     

 

 

 

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Il maschio e la femmina (1966) di Jean-Luc Godard


"Questo film potrebbe chiamarsi 'I figli di Marx e della Coca-Cola'. Chi ha orecchie per intendere intenda". Così recita uno dei numerosi cartelli che inframezzano con pensieri, frasi, titoli di giornali, aforismi e citazioni le sequenze di una delle pellicole fondamentali per comprendere il Godard degli anni sessanta e la direzione che il suo cinema (e quello di tutta la nouvelle vague) stava prendendo all'epoca.

Girando quasi senza sceneggiatura (ma ispirandosi ad alcuni racconti di Maupassant), il regista osserva come un entomologo il mondo che lo circonda e ne riproduce la quotidianità e la banalità. Non a caso il protagonista Paul, interpretato da un Léaud forse alla sua prima parte "adulta" dopo "I quattrocento colpi", lavora come sondaggista per cercare di tracciare un quadro dei giovani moderni (di cui egli stesso fa parte) e del loro rapporto con il sesso, l'amore, la politica e la società della Francia di quel periodo.

Il maschio e la femminaIl film si propone così di descrivere il mondo culturale, i miti e i sogni (Madeleine che vuol diventare cantante), il consumismo (il bowling, il cinema) e lo sfruttamento sociale della gioventù francese prima del '68. Il sottotitolo del film recita "15 fatti precisi", anche se poi la narrazione procede in maniera quasi dispersiva raccontandoci l'incontro e il corteggiamento di Paul nei confronti di Madeleine, molto più superficiale di lui (così come le sue due amiche: il film è leggermente misogino nel mettere a confronto l'impegno politico e la sensibilità dei ragazzi con la leggerezza e la spensieratezza delle ragazze: vedi per esempio l'intervista a "miss sorriso").

Fra riferimenti ai temi sociali e politici di quegli anni (prima su tutti la guerra in Vietnam) e osservazioni di costume (le canzonette, il cinema, la moda), la pellicola divaga in tutte le direzioni per arrestarsi bruscamente con una conclusione assurda e inaspettata, anticipata qua e là da situazioni e momenti "violenti" (la donna che spara a suo marito, l'uomo che si accoltella, il dimostrante che si dà fuoco fuori campo).

Anche i cartelli e le frasi che separano le diverse sequenze sono accompagnate dal suono di spari che potrebbero uscire da un film western. Se Madeleine è interpretata da una giovane cantante "yè-yè", ci sono piccole apparizioni anche per Brigitte Bardot e per Françoise Hardy. Non manca nemmeno un "film nel film", quello – quasi muto – che offre al cinefilo Léaud l'occasione per protestare contro il proiezionista per l'errato uso del mascherino.

da: http://tomobiki.blogspot.it
 

   Scheda film 

         Il maschio e la femmina
TITOLO ORIGINALE Masculin, féminin  
PRODUZIONE Francia, Svezia  
ANNO 1966  
DURATA 104'  
COLORE B/N  
AUDIO Mono   
RAPPORTO 1.37:1  
GENERE Drammatico  
REGIA Jean-Luc Godard    

INTERPRETI E PERSONAGGI

  • Jean-Pierre Léaud: Paul
  • Chantal Goya: Madeleine Zimmer
  • Marlène Jobert: Élisabeth
  • Michel Debord: Robert
  • Catherine-Isabelle Duport: Catherine-Isabelle
  • Brigitte Bardot (non accreditata)
  • Françoise Hardy (non accreditata) Amica dell'ufficiale
 
SOGGETTO Guy de Maupassant (dai racconti La Femme de Paul e Le Signe)  
SCENEGGIATURA
Jean-Luc Godard  
PRODUZIONE Anouchka Films, Argos Films, Svensk Filmindustri  
FOTOGRAFIA Willy Kurant  
MONTAGGIO Agnès Guillemot  
MUSICHE Jean-Jacques Debout  
PREMI Festival di Berlino 1966: miglior attore (Jean-Pierre Léaud)