LunedìCinema - Cineforum 2017 | 2018
    

 LA BELLE ÉPOQUE E IL CINEMA DI MAX OPHÜLS
I gioielli di Madame de... (1953)

 

Il cinema di Ophüls mette in scena, ancora una volta, i sentimenti e il gioco d’amore che con essi si consuma, dentro l’atteggiarsi delle convenzioni sociali di un’epoca che non sembra poter mai finire. Il suo cinema ne perpetua il racconto e se con il precedente La ronde aveva reso gioioso il suo controcanto all'amore eterno e con l’ancora precedente Lettera da una sconosciuta aveva raccontato la perdizione dell’amore in senso unidirezionale, con questo film del 1953 accomuna sotto un unico destino i due amanti protagonisti della vicenda.

Nella Parigi dei primi del secolo una giovane e piacente contessa, sposata ad un generale, è costretta a vendere dei gioielli per pagare un non meglio specificato debito. I due preziosi oggetti gireranno di mano in mano e torneranno da lei, ma ciò avverrà quando si sarà perdutamente innamorata di un diplomatico italiano che sarà sfidato a duello dal marito.

I gioielli di Madame de... (1953)Il racconto di Ophüls si fa ancora una volta 
ingannevole e se l’incipit da frivola operetta fa pensare ad una commedia sentimentale in cui si consumano i fuggevoli amori di una annoiata nobildonna, tra i pizzi e gli illusori balli dell’aristocrazia, il progredire della storia farà ingrigire i colori e la commedia scivolerà, nel volgere del suo breve apparire, nel melodramma e poi nella tragedia. L’eleganza e la leggerezza narrativa con cui il film si apre fa pensare ai giochi cinematografici di Lubitsch – è davvero un grande omaggio al maestro austriaco la sequenza delle innumerevoli porte che si aprono e si chiudono – ma nel suo proseguire I gioielli di madame de… mette in mostra tutta la poetica illusoria e pessimista del regista, vero e solitario demiurgo di questi scenari. (...)

È Danielle Darrieux a dare vita al complesso personaggio di madame de…, chiamata solo Luise nel film, la sua bellezza sfiorisce lentamente nel mal d’amore e sembra svuotarla di ogni forza e ogni speranza nell'escalation che il melodramma impone. Nel gioco a tre che la storia mette in scena i ruoli maschili, nel più puro e classico antagonismo amoroso, sono ricoperti da Charles Boyer il cinico marito, complice e carnefice ed egli stesso vittima delle regole sociali e non a caso generale di carriera, e da Vittorio De Sica, il maturo ed elegante diplomatico che troverà nel coraggio dell’amore la forza per superare il sacrificio.

Ophüls ordisce e tradisce ogni aspettativa ed è sempre geniale la brillante falsità del suo cinema. Gli scenari in cui si consumano le sue storie conservano sempre il piacevole sapore del tradimento della realtà, ma più ciò accade, più i suoi film si fanno racconto unico del sentimento della vita, e se si ricordano per la leggerezza del loro impianto che richiama una certa levità dell’esistenza, in realtà giocano sempre nel profondo per smentire a se stessi quell'approccio.

da: www.sentieriselvaggi.it


 
 

 

   Scheda film  

       I gioielli di Madame de...  
     
TITOLO ORIGINALE Madame de...  
PRODUZIONE Francia, Italia  
ANNO 1953  
DURATA 100'   
COLORE B/N  
AUDIO Sonoro Mono  
RAPPORTO 1,37 : 1  
GENERE Drammatico, sentimentale  
REGIA Max Ophüls     


INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Danielle Darrieux: contessa Luisa de
  • Charles Boyer: generale André
  • Vittorio De Sica: Fabrizio Donati
  • Jean Debucourt: Rémy, il gioielliere
 

DOPPIATORI
ITALIANI
  • Anna Proclemer: Danielle Darrieux
  • Roldano Lupi: Charles Boyer
 
SCENEGGIATURA Marcel Achard, Annette Wademant, Max Ophüls  
FOTOGRAFIA Christian Matras  
MONTAGGIO Boris Lewyn  
MUSICHE Georges van Parys  
SCENOGRAFIA Jean d'Eaubonne  
     
       

  

 

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 JERRY LEWIS, UN GENIO ICONOCLASTA
Artisti e modelle (1955)

 

Un pittore e uno scrittore vanno a New York in cerca di fortuna. Sono tipi strani (uno è sonnambulo) e hanno vita difficile soprattutto quando si tratta di cercar casa. Finiscono per conoscere due ragazze. I quattro giovani uniscono i loro sforzi e arrivano i primi successi. La pubblicazione di un libro dà inizio a un complicato affare di spionaggio in cui i giovani si trovano coinvolti loro malgrado. Alla fine tutto si aggiusta e ci sono quattro fedi matrimoniali in vista. 

Artisti e modelle (1955)Stavolta, accanto a Dean Martin e Jerry Lewis, ci sono Shirley McLaine e Dorothy Malone (oltre ad Anita Ekberg), e l'insieme ci guadagna parecchio. Soprattutto la McLaine ha una carica comica travolgente e regge più di un confronto con Lewis.

Il quattordicesimo film della coppia Martin & Lewis, Artisti e Modelle venne girato dal 28 febbraio al 3 maggio del 1955 negli studi della Paramount Pictures.
Il film fu una delle commedie del duo con il maggior successo di pubblico e con il budget per la realizzazione più alto, 1.5 milioni, di dollari, infine la pellicola venne filmata utilizzando la tecnica del 
VistaVision.

Artisti e Modelle è il primo film in cui Lewis lavorò con l'ex regista di cartoni animati Frank Tashlin, di cui era un grande ammiratore. Martin e Lewis gireranno con lui il loro ultimo film insieme, Hollywood o morte!, e Lewis in seguito girerà altri sei film con la regia di Tashlin. È inoltre la seconda pellicola dove appare Shirley MacLaine che girò subito dopo La congiura degli innocenti di Alfred Hitchcock.

da: it.wikipedia.org e mymovies.it


 
 

 

   Scheda film  

       Artisti e Modelle  
     
TITOLO ORIGINALE Artists and Models  
PRODUZIONE USA  
ANNO 1955  
DURATA 109'   
COLORE Colore (Technicolor)  
AUDIO Mono  
RAPPORTO 1,66 : 1  
GENERE Commedia, musicale  
REGIA Frank Tashlin     


INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Dean Martin: Rick Todd
  • Jerry Lewis: Eugene Fullstack
  • Shirley MacLaine: Bessie Sparrowbush
  • Dorothy Malone: Abigail "Abby" Parker
  • Eddie Mayehoff: signor Murdock
  • Eva Gabor: Sonia / signora Norma Curtis
  • Kathleen Freeman: signora Milldoon
  • Anita Ekberg: Anita
  • Herbert Rudley: capo servizi segreti Samuels
  • Otto Waldis: Kurt
  • Sara Berner: signora Stilton
  • Don Corey: uomo al telescopio
  • Charles Evans: generale Traynor
 

DOPPIATORI
ITALIANI
  • Gualtiero De Angelis: Dean Martin
  • Carlo Romano: Jerry Lewis
  • Rosetta Calavetta: Shirley MacLaine
  • Maria Pia Di Meo: Dorothy Malone
  • Stefano Sibaldi: Eddie Mayehoff
  • Lydia Simoneschi: Eva Gabor
  • Dhia Cristiani: Kathleen Freeman
  • Tina Lattanzi: Anita Ekberg
  • Renato Turi: agente segreto Samuels
  • Manlio Busoni: Otto Waldis
  • Franca Dominici: Sara Berner
  • Bruno Persa: Don Corey
  • Luigi Pavese: Charles Evans
 
SOGGETTO Michael Davidson, Norman Lessing  
SCENEGGIATURA Frank Tashlin, Hal Kanter
Herbert Baker, Don McGuire
 
FOTOGRAFIA Daniel L. Fapp  
MONTAGGIO Warren Low  
MUSICHE Harry Warren
 
SCENOGRAFIA Tambi Larsen Hal Pereira
 
     
       

  

 

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 JERRY LEWIS, UN GENIO ICONOCLASTA
Le folli notti del dottor Jerryll (1963)

 

La parodia si afferma come un genere sicuramente divertente che per Umberto Eco costituiva anche una forma di ulteriore conoscenza. Una forma espressiva che ha quindi l’essenziale compito di smitizzare gli effetti dell’opera importante e trasformarla in prodotto adatto ad un consumo popolare, per diventare strumento immediatamente riconoscibile e anche il titolo, spesso, nella sua essenza accattivante, ridefinisce i termini del mito, offrendo al pubblico una differente prospettiva.

Pertanto l’operazione messa in piedi da Jerry Lewis con Le folli notti del dottor Jerryll (assai preferibile è il titolo originale The Nutty professor), con la quale il regista e attore ha messo in scena una parodia dello stevensoniano romanzo Dottor Jackyll e Mr. Hide, non è particolarmente originale, ma questo non significa affatto che non funzioni egregiamente. Il regista e attore è ebreo di origine russa ed è un personaggio indiscutibilmente importante nel panorama del cinema americano. Il suo carisma ha attirato l’attenzione di Martin Scorsese che nel 1983 costruì sul suo mito un film come Re per una notte, titolo oggi forse un po’ trascurato della sua filmografia.

Le folli notti del dottor JerryllAmbientato nel classico college americano nella cultura policroma degli anni ’60, Le folli notti del dottor Jerryll rielabora i concetti del romanzo adattandoli ad una nuova chiave di lettura che è quella del rifiuto di se. Ciò accadeva in un’epoca in cui cominciavano a farsi largo, dopo i timori della guerra fredda, i primi bagliori di un edonismo ancora acerbo e sul quale il film centra completamente il suo sottotesto, sotto le mentite spoglie di una farsa d’amore.

Mr. Julius Kelp è un professore di chimica, genialoide, imbranato e malaccorto, come egli stesso si definisce, ma anche pazzo come rimarca il titolo originale. Kelp è bruttino, ma intelligente, sgraziato, segretamente innamorato della sua allieva Stella Purdy. Elabora un intruglio che gli permette di trasformarsi in un uomo bello, sfrontato, misuratamente rude e romantico. Ma la pozione agisce per qualche ora e Buddy Love, così si chiama il personaggio nel quale Kelp si trasforma, è costretto a precipitose ritirate, nelle fasi decisive del corteggiamento. Ma l’amore è cieco e la bellezza non sta nella forma, ma nel contenuto.

Come si immagina e come accade con i grandi artisti, il film di Lewis non si ferma alla superficie, ma scava dentro la sensibilità dei suoi personaggi, riuscendo a toccare quelle piccole verità conosciute che però non è peregrino che vengano sottolineate di tanto in tanto. Lewis possiede il film e lo fa proprio, vero maestro del trasformismo e dell’invenzione mimica, gag esilaranti e inedite si susseguono a ritmo incessante. Il primo colloquio con il preside del College è memorabile. La sua mimica facciale e le sue posture, l’invenzione, poi fantozziana, dell’essere seduto su una poltrona dove sprofonda sono un piccolo e irresistibile capolavoro. Poi il film è segnato dal suo essere sempre fuori posto e dal confronto con il bullo, bello e aitante, prova ne sia la sequenza della palestra – con l’irresistibile effetto delle braccia lunghe al mattino dopo – e i vari disastri causati dal suo essere maldestro. L’alter ego, Buddy Love, non fa che aggravare apparentemente i tratti di questo disagio, ma in fondo tutto è destinato a mutare direzione, in un’ottica ottimista che dominava i tempi.

In fondo a riguardarlo il film di Lewis del 1963 anticipa e afferma i tratti di una comicità raffinata che avrebbe segnato buona parte del cinema a venire di Woody Allen. Si ritrovano gli stessi temi, tra i quali quello del confronto tra lo sfigato intellettuale e il bel bullo, ma ignorante e rozzo, tutti spunti di una comicità raffinata che sarebbero diventati i pezzi importanti della prima comicità alleniana. Ma il pessimismo di Allen avrebbe offerto tutt’altra sorte ai suoi personaggi che senza rivincita ripiomberanno nella solita ignorata solitudine.

Tutto resta frutto della identica radice culturale ebraica e, fino ad un certo punto, dell’identico modo di vedere il mondo e certe cose del mondo. La bella Stella Purdy si innamorerà del brutto anatroccolo, ma pieno di risorse intellettive e anche lei è una donna fuori luogo e fuori tempo rispetto a quella modernità in arrivo e al mito dei tempi e al culto eterno della bellezza. A nulla valgono, per togliere valore al personaggio, gli sdilinquimenti, volutamente esagerati, ai quali Stella sembra doversi doverosamente sottoporre, ciò che conta, in fondo, è il risultato finale.

Le folli notti del dott. Jerryll resta parodia anche nel titolo italiano che esigeva qualcosa di più immediatamente riconoscibile dal pubblico. La “nemesi” ha dato vita ad un remake di questo film con protagonista Eddie Murphy. Ma Le folli notti del dottor Jerryll resta un esempio di solido cinema, di spettacolo perfettamente sincronizzato nei tempi che non perde nemmeno per un attimo la sua presa sul pubblico, segno del genio comico di Jerry Lewis e della sua modernità, se ancora oggi il suo smalto rimane brillante come i colori del technicolor che lo animano.

da: sentieriselvaggi.it


 
 

 

   Scheda film  

       Le folli notti del dottor Jerryll (1963)  
     
TITOLO ORIGINALE The Nutty Professor  
PRODUZIONE USA  
ANNO 1963  
DURATA 107'   
COLORE Colore (Technicolor)  
AUDIO Mono  
RAPPORTO 1,85 : 1  
GENERE Comico  
REGIA Jerry Lewis
   


INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Jerry Lewis: prof.Julius Kelp/Buddy Love
  • Stella Stevens: Stella Purdy
  • Del Moore: dr.Hamius Warfield
  • Kathleen Freeman: Millie Lemmon
  • Milton Frome: dr.Sheppard Leevee
  • Buddy Lester: barman
  • Howard Morris: Elmer Kelp
  • Elvia Allman: Edwina Kelp
 

DOPPIATORI
ITALIANI
  • Carlo Romano: prof.Julius Kelp/Buddy Love
  • Maria Pia Di Meo: Stella Purdy
  • Renato Turi: dr.Hamius Warfield
  • Lidia Simoneschi: Millie Lemmon
  • Sergio Graziani: dr.Sheppard Leevee
  • Riccardo Mantoni: barman
  • Sergio Tedesco: Elmer Kelp
  • Wanda Tettoni: Edwina Kelp
 
SOGGETTO Jerry Lewis e Bill Richmond
 
SCENEGGIATURA Jerry Lewis e Bill Richmond
 
FOTOGRAFIA W. Wallace Kelley  
MUSICHE Walter Scharf, Les Brown
 
SCENOGRAFIA Robert R. Benton, Sam Comer  
     
       

  

 

 

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 JERRY LEWIS, UN GENIO ICONOCLASTA
Re per una notte (1983)

 
Ci sono quei punti oscuri in ogni settore, e nel cinema sono quei film che, nella biografia di un grande regista, non vengono mai ricordati. Vuoi per una ragione, vuoi per l’altra, “Re per una notte”, del 1983, pare scomparire di fianco ai mostri sacri di Martin Scorsese come “Quei Bravi Ragazzi”, “Taxi Driver”, “New York, New York”, ma anche di fianco ai film meno celebrati come “Fuori Orario” o “l’Età dell’Innocenza”. Sarà forse per il disastroso insuccesso al botteghino che il film riscosse ai tempi, sarà per la contingenza di eventi, ma fatto sta che il film non è mai citato tra quelli principali del regista italo-americano. 


Re per una notte (1983)E’ un peccato, perché “The King of Commedy” (nell’originale) è, a parer nostro, uno dei film più riusciti di Martin, una di quelle indimenticabili opere da vedere e, in questo caso, da riscoprire. La storia è una delle più riuscite riguardo il variegato mondo dello spettacolo: Rupert Pupkin (De Niro) è un ossessivo aspirante comico che inizia a tampinare la sua star preferita, Jerry Langford (Lewis) per avere una possibilità di sfondare nello spettacolo. Le risposte evasive della star amplificano l’ossessione di Pupkin che, allo stremo, lo rapirà costringendolo poi, sotto la minaccia di morte di Masha (Bernhard), complice del rapitore, a dargli quella tanto agognata possibilità per una notte, divenendo, appunto il Re per una notte.

La storia è una sorta di gioco di (falsi) specchi, dove Lewis è l’irritante star, dove De Niro è il fan scatenato, dove lo stesso Scorsese appare brevemente nei panni di un regista televisivo. E il gioco degli specchi sta proprio qui: nel calare i personaggi reali in situazioni in parte plausibili ma in parte all'antitesi rispetto al loro mondo reale.
Così Jerry Lewis, il comico simpatico, bonaccione, sempre pronto a giocare ci regala la migliore interpretazione della sua carriera, in uno dei suoi tre ruoli drammatici o comunque non comici, qua si mette in gioco, totalmente, vestendo i panni di una star antipatica, o quanto meno indisponente.
Anche Robert De Niro ci regala una delle sue migliori interpretazioni, il suo personaggio, istrionico, sospeso tra il simpatico e l’irritante, è quanto di meglio si potesse cucire addosso all'attore americano. Straordinario e indimenticabile anche il ruolo di Sandra Bernhard, pazza cacciatrice di autografi, e non bisogna nemmeno tralasciare Diahnne Abbott, affezionata attrice di Scorsese e a lungo moglie di De Niro.
E così il film, divertente, dissacratorio, si basa su una storia perfetta, su un tris grandioso di attori, ed è una satira sul mondo dello spettacolo più unica che rara. A nostro parere “Kings of commedy” (una volta tanto tradotto con un titolo che in italiano rende quanto l’originale nonostante sia decisamente diverso) rimane uno degli episodi più felici della filmografia del Re dei registi italo-americani. Un film da riscoprire, vedere e rivedere, collezionare.
 

da: www.mescalina.it


 
 

 

   Scheda film  

       Re per una notte (1983)  
     
TITOLO ORIGINALE The King of Comedy  
PRODUZIONE USA  
ANNO 1983  
DURATA 109'   
COLORE Colore (Technicolor)  
AUDIO Mono  
RAPPORTO 1,85 : 1   
GENERE Drammatico  
REGIA Martin Scorsese
   


INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Robert De Niro: Rupert Pupkin
  • Jerry Lewis: Jerry Langford
  • Diahnne Abbott: Rita Keane
  • Sandra Bernhard: Marsha
  • Shelley Hack: Cathy Long
  • Martin Scorsese: Direttore TV
  • Tony Randall: se stesso
  • Fred De Cordova: Berth Thomas
 

DOPPIATORI
ITALIANI
  • Ferruccio Amendola: Rupert Pupkin
  • Manlio De Angelis: Jerry Langford
  • Emanuela Rossi: Marsha
  • Vittoria Febbi: Rita Keane
  • Anna Rita Pasanisi: Cathy Long
  • Gianfranco Bellini: Tony Randall
  • Luciano De Ambrosis: Berth Thomas
 
SOGGETTO Paul D. Zimmerman
 
SCENEGGIATURA Paul D. Zimmerman
 
FOTOGRAFIA Fred Schuler  
MONTAGGIO Thelma Schoonmaker  
MUSICHE Robbie Robertson
 
SCENOGRAFIA Boris Leven  
     
       

  

 

 

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 ENTRA LA CORTE... IL DRAMMA GIUDIZIARIO AMERICANO
Il buio oltre la siepe (1962)

 

Legal movie e racconto di formazione, avventura e thriller, manifesto anti-razzista e poema della diversità: Il buio oltre la siepe ci restituisce, nella forma esemplarmente piana di una narrazione con gli occhi dei bambini, le contraddizioni e la violenza della provincia americana degli anni Trenta allo specchio del pregiudizio razziale. Alle spalle, il caso editoriale To Kill a Mockingbird da cui il film è quasi fedelmente tratto, Premio Pulitzer e opera prima della scrittrice Harper Lee che non pubblicherà altro romanzo salvo il sequel Go Set a Watchman, scritto in anticipo su To kill… e dato alle stampe oltre cinquant’anni dopo. A chiedere all’autrice di romanzare le sue memorie d’infanzia fu l’amico Truman Capote che nel libro (e nel film) è rappresentato dal personaggio di Dill, il buffo compagno di giochi di Jem e la sorellina Scout, voce narrante della vicenda. Pretesto un caso giudiziario risalente all’Alabama del 1931: due donne bianche accusarono falsamente di stupro un gruppo di uomini di colore che furono condannati malgrado le prove scagionanti degli avvocati. Si trattava di una prassi abbastanza diffusa nell’America bianca segregazionista post Grande Depressione per far fuori neri scomodi.

Il buio oltre la siepeAd interpretare, nell film diretto da Robert Mulligan, l’avvocato progressista Atticus Finch un Gregory Peck in grande spolvero che per quel ruolo vinse l’Oscar. Alla sua “misura” l’efficacia drammatica di uno dei momenti più rappresentativi dello spirito del tempo: la scena in cui Atticus rischia il linciaggio per sottrarre il nero in prigione alla vendetta di un gruppo di bianchi. A salvargli la pelle sarà l’abitudine dei suoi figli, Scout in particolare (l’esordiente Mary Badham), a non “farsi i fatti propri”. In sintonia con il ribadito modello educativo paterno fondato sull’empatia: “mettersi nei panni degli altri” è ciò che solo permette di conoscerli veramente, di scoprire che sono “gente e basta” senza discriminazioni, di andare oltre la siepe e illuminare il buio di una casa misteriosa. E di “non uccidere usignoli”, traduzione del titolo originale e metafora del primo comandamento impartito da Atticus: non si fa del male a chi, con la sua innocenza, sparge intorno la bellezza come un canto. Vale per il nero ingiustamente sotto processo (Brock Peters). Come per Boo , il matto che la famiglia tiene chiuso in casa e che si rivelerà per i piccoli vera e propria presenza angelica: a dargli la diafana aurea di un Edward mani di forbice ante litteram Robert Duvall al suo debutto.

Candidato a 8 Oscar Il buio oltre la siepe ne vinse tre:  Gregory Peck (che considererà per sempre Atticus il “ruolo” della sua vita), una sceneggiatura da manuale (Horton Foote) e la perfetta ricostruzione di Monroeville, città natale di Harper Lee, troppo cambiata nella realtà per essere utilizzata come set (la scenografia di Alexander Golitzen, Herny Burnstead, Oliver Emert). Nomination senza podio invece per la fotografia di Russel Harper e il suo bianco e nero di magistrale intensità. Mentre fu battuta da un’altra bambina Mary Badham, la piccola Patty Duke di Anna dei miracoli che si aggiudicò l’Oscar come miglior attrice non protagonista.

Una curiosità cinefila, l’amarcord di oggetti dei titoli di testa su motivetto infantile che sfocia in incipit classico. E soluzione visiva geniale (in linea col romanzo) il vestito da prosciutto di Scout nel colpo di scena dell’epilogo. Nel mezzo, dura il “tempo” di una sola ripresa l’arringa da scuola dell’avvocato Finch. A rimettere le cose a posto alla fine non sarà il processo, ma la giustizia di chi si fa giustizia da sé col doppio risvolto della grande fede nell’individuo (oltre la siepe del vicinato) e del fallimento dei tribunali: sprofondamento cult nell’anima profonda del profondo Sud americano.

 da: http://www.sentieriselvaggi.it/


 
 

 

   Scheda film  

      Il buio oltre la siepe   
     
TITOLO ORIGINALE To Kill a Mockingbird  
PRODUZIONE USA  
ANNO 1962  
DURATA 129'   
COLORE B/N  
AUDIO Mono (Westrex Recording System)  
RAPPORTO 1,85 : 1   
GENERE Drammatico  
REGIA Robert Mulligan    


INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Gregory Peck: Avv. Atticus Finch
  • Mary Badham: Jean Louise "Scout" Finch
  • Phillip Alford: Jeremy "Jem" Atticus Finch
  • Robert Duvall: Arthur "Boo" Radley
  • John Megna: Charles Baker "Dill" Harris
  • Estelle Evans: Calpurnia
  • Brock Peters: Tom Robinson
  • Frank Overton: sceriffo Heck Tate
  • James Anderson: Robert E. Lee "Bob" Ewell
  • Collin Wilcox Paxton: Mayella Violet Ewell
  • Rosemary Murphy: Maudie Atkinson
  • Ruth White: sig.ra Dubose
  • Paul Fix: Giudice Taylor
  • Alice Ghostley: zia Stephanie
  • William Windom: Procuratore Gilmer
  • Bill Walker: Rev. Sykes
  • Crahan Denton: William Cunningham Sr.
  • Charles E. Fredericks: impiegato al tribunale
  • Hugh Sanders: Dr.Reynolds
  • Jamie Forster: Hiram Townsend
  • Dan White: capo dei criminali
  • Kelly Thordsen: criminale
  • Kim Stanley: voce narrante (Scout adulta)
 

DOPPIATORI
ITALIANI
  • Emilio Cigoli: Avv. Atticus Finch
  • Serena Verdirosi: Jean Louise "Scout" Finch
  • Flaminia Jandolo: Jeremy Atticus "Jem" Finch
  • Dhia Cristiani: Calpurnia
  • Pino Locchi: Tom Robinson
  • Carlo Romano: sceriffo Heck Tate
  • Bruno Persa: Robert E. Lee "Bob" Ewell
  • Rina Morelli: Mayella Violet Ewell
  • Franca Dominici: Maudie Atkinson
  • Giorgio Capecchi: Giudice Taylor
  • Wanda Tettoni: zia Stephanie
  • Gualtiero De Angelis: Procuratore Gilmer
  • Riccardo Mantoni: Reverendo Sykes / Dottor Reynolds
  • Guido Celano: William Cunningham Sr.
  • Nino Pavese: impiegato al tribunale
  • Lidia Simoneschi: voce narrante (Scout adulta)
 
SOGGETTO dal romanzo di Harper Lee  
SCENEGGIATURA Horton Foote  
FOTOGRAFIA Russell Harlan  
MONTAGGIO Aaron Stell  
MUSICHE Elmer Bernstein  
SCENOGRAFIA Henry Bumstead  
     
       

  

 

 

 LunedìCinema - Cineforum 2017 | 2018
    

 ENTRA LA CORTE... IL DRAMMA GIUDIZIARIO AMERICANO
La parola ai giurati (1957)


Non era certo un'impresa facile quella intrapresa da 
Sidney Lumet quando Henry Fonda gli affidò la regia di un progetto da lui stesso prodotto, La parola ai giurati. All'epoca trentaduenne, e fattosi conoscere negli anni Cinquanta per il suo lavoro in televisione, Lumet aveva di fronte ostacoli non da poco: non tanto per il budget ridotto o per il calendario serrato per le riprese, quanto per le caratteristiche intrinseche del testo di Reginald Rose, già portato in TV nel 1954.

A prima vista, infatti, La parola ai giurati sarebbe potuto sembrare un copione più adatto al palcoscenico che non al grande schermo: per l'unità di luogo (la stanza in cui sono chiusi i dodici membri di una giuria), per il racconto in "tempo reale" e per un meccanismo narrativo basato esclusivamente sui dialoghi, senza neppure l'ausilio dei canonici flashback. Un dramma processuale sviluppato tutto al di fuori del tribunale (con l'eccezione del brevissimo prologo), e pertanto un unicum nel proprio genere, soprattutto all'epoca. Eppure, nelle sapienti mani di Lumet, la sfida si rivelò vinta su tutti i fronti: distribuito nelle sale americane il 13 aprile 1957, La parola ai giurati fu accolto con entusiasmo dalla critica, a giugno conquistò l'Orso d'Oro al Festival di Berlino e alcuni mesi più tardi si guadagnò tre nomination agli Oscar per miglior film, regia e sceneggiatura.

Nel corso del tempo, la fama del sensazionale esordio di Sidney Lumet è cresciuta ulteriormente: nel 2007 è stato inserito dall'American Film Institute nella classifica dei cento capolavori del cinema a stelle e strisce e nel 2008 al secondo posto nella classifica dei migliori drammi giudiziari (dietro soltanto a Il buio oltre la siepe); nel 1997 William Friedkin ne ha diretto un remake per la televisione e nel 2007 Nikita Mikhalkov ne ha tratto una sorta di rivisitazione con 12 (candidato all'Oscar come miglior film straniero). Ma come è possibile che, a distanza di sessant'anni dalla sua uscita, la pellicola di Lumet rimanga non solo un modello esemplare di scrittura e di messa in scena, ma anche una 'lezione' etica di sorprendente risonanza?

La parola ai giuratiLo schema alla base de La parola ai giurati è tanto semplice quanto incisivo: dodici uomini, che nel testo di Rose non hanno neppure un nome (vengono identificati attraverso un numero), sono chiamati a elaborare un verdetto al termine di un processo per omicidio. L'imputato, accusato di aver pugnalato a morte il padre, è un ragazzo diciottenne dei bassifondi di New York, e per di più appartenente a una minoranza etnica non specificata (Lumet gli dedica un unico, fugace primo piano); le testimonianze in suo sfavore sembrano schiaccianti, così come le circostanze del delitto. Ma al momento del voto preliminare, al principio di una seduta che si preannuncia molto rapida, a sorpresa qualcuno si esprime per l'innocenza dell'imputato: è il giurato numero otto, un uomo pacato e riflessivo a cui presta il volto il grande Henry Fonda.

È il calcio d'inizio di una 'partita' che si rivelerà sempre più tesa e appassionante: per i novanta minuti successivi, infatti, il giurato numero otto costringerà i suoi compagni a riprendere in esame tutti gli elementi del processo in questione, ricordando loro l'imprescindibile valore del "ragionevole dubbio" e incrinando un verdetto che pareva già deciso. E in un torrido pomeriggio newyorkese, mentre il savoir-faire cede il posto al nervosismo crescente e il sudore si fa via via più copioso sulle fronti dei dodici uomini, si decidono le sorti della vita di un ragazzo che potrebbe o meno essere un parricida. Sidney Lumet e il suo operatore Boris Kaufmancalano questa dozzina di comprimari in un'atmosfera quasi claustrofobica, fra primi piani sempre più stretti, e trasformano l'angusto spazio filmico nell'arena di uno scontro al contempo giuridico, morale e psicologico. (...)

I "dodici uomini arrabbiati" del titolo originale (12 Angry Men) diventano così lo specchio della middle class americana (ma non solo), mentre il loro agone verbale si propone come un sostanziale paradigma di quello che sarà, da lì in poi, il miglior cinema di Sidney Lumet: un "cinema di parola", ma non per questo disposto a rinunciare alle specificità del linguaggio filmico (tutt'altro), in cui i dialoghi sono adoperati come armi affilatissime e le fragilità umane sono portate a collidere con un sistema etico decisamente complesso. (...)

Ma La parola ai giurati - e in questo risiede uno dei massimi motivi della sua grandezza - non si limita a fornirci un affresco della mentalità piccolo-borghese nell'America degli anni Cinquanta: rivista a sei decenni di distanza, l'opera prima di Sidney Lumet conserva infatti un impressionante senso di urgenza e di 'attualità'. Innanzitutto perché nella figura del giurato di Henry Fonda, che si appella agli altri membri della giuria rammentando la necessità di concedere all'imputato un po' del loro tempo e "qualche parola", si ravvisa un insegnamento tutt'oggi fondamentale: il ruolo irrinunciabile della ragione, e quindi della parola (il lógos dell'antica filosofia greca) intesa come veicolo di un pensiero critico, di una riflessione che non si fermi alla superficie delle cose, ma riesca a produrre uno sguardo più profondo e analitico sulla realtà. (...)

da: https://movieplayer.it


 
 

 

   Scheda film  

         La parola ai giurati
     
TITOLO ORIGINALE 12 Angry Men  
PRODUZIONE USA  
ANNO 1957  
DURATA 96   
COLORE B/N  
AUDIO Mono
 
RAPPORTO 1,66 : 1   
GENERE Drammatico  
REGIA Sidney Lumet    


INTERPRETI E PERSONAGGI

 
  • Martin Balsam: Giurato n. 1
  • John Fiedler: Giurato n. 2
  • Lee J. Cobb: Giurato n. 3
  • E.G. Marshall: Giurato n. 4
  • Jack Klugman: Giurato n. 5
  • Edward Binns: Giurato n. 6
  • Jack Warden: Giurato n. 7
  • Henry Fonda: Giurato n. 8
  • Joseph Sweeney: Giurato n. 9
  • Ed Begley: Giurato n. 10
  • George Voskovec: Giurato n. 11
  • Robert Webber: Giurato n. 12
 

DOPPIATORI
ITALIANI
  • Pino Locchi: Giurato n. 1
  • Roberto Gicca: Giurato n. 2
  • Emilio Cigoli: Giurato n. 3
  • Nando Gazzolo: Giurato n. 4
  • Renato Turi: Giurato n. 5
  • Gualtiero De Angelis: Giurato n. 6
  • Carlo Romano: Giurato n. 7
  • Giulio Panicali: Giurato n. 8
  • Amilcare Pettinelli: Giurato n. 9
  • Giorgio Capecchi: Giurato n. 10
  • Manlio Busoni: Giurato n. 11
  • Giuseppe Rinaldi: Giurato n. 12
  • Gino Baghetti: Guardia giurata
  • Bruno Persa : il Giudice
  • Nino Bonanni: il Cancelliere
 
SOGGETTO Reginald Rose  
SCENEGGIATURA Reginald Rose  
FOTOGRAFIA Boris Kaufman  
MONTAGGIO Carl Lerner  
MUSICHE Kenyon Hopkins