Lunedì cinema - Cineforum 2015 2016
 
 Sei donne per l'assassino (1964) di Mario Bava

Mario Bava. Nel 1963, con La Ragazza che Sapeva Troppo, getta le basi del giallo all'italiana. L’anno successivo, con Sei donne per l'assassino, lo codifica in modo definitivo.
Mario Bava scelse di scrivere e dirigere un film giallo in cui le indagini della polizia fossero solo un aspetto marginale della storia e si concentrò sul body count e sulle sequenze dei delitti, mai così efferati e sadici. Il meccanismo investigativo della scoperta dell’assassino, interessava fino a un certo punto.
Gli elementi che poi sarebbero confluiti in decine e decine di gialli italiani successivi e che lo stesso Argento avrebbe plag…ehm…sfruttato a suo uso e consumo agli esordi, sono tutti già presenti in questo piccolo gioiello che, rivisto a quasi mezzo secolo di distanza, è anche invecchiato benissimo e sembra girato l’altro ieri.

Sei donne per l'assassinoAbbiamo l’assassino misterioso e mascherato che si accanisce con una crudeltà inimmaginabile sulle sue vittime. Ognuna di esse viene uccisa in maniera diversa e grande enfasi viene posta sui minuti immediatamente precedenti ai vari omicidi, creando così delle lunghe ed estenuanti sequenze di attesa, che preparano l’esplosione di violenza. L’ambientazione della storia è quella di un atelier, i protagonisti appartengono all’alta borghesia. Interni lussuosi, ville, ricchezza ostentata in tutti gli oggetti di scena. Poca, o nulla, introspezione psicologica dei personaggi, che, non a caso, nei bellissimi titoli di testa, vengono accostati a dei manichini. Colori sgargianti, pochissimi esterni, assenza quasi totale di riprese diurne (in Sei Donne per l’Assassino, una sola scena è girata alla luce del giorno).

Sei Donne per l’Assassino era un prodotto a basso costo, con un budget di 123.000 lire. Bava fu costretto, come sempre nel corso della sua carriera, ad arrangiarsi. Ma l’esiguità del budget quasi non si nota, in un film che appare come tra i più esteticamente ricchi del nostro periodo d’oro.

Una questione di stile, soprattutto, del modo unico che aveva Mario Bava di saper trarre il massimo dal niente che aveva a disposizione. E allora, ecco che Sei Donne per l’Assassino non si limita a impostare il sottogenere dal punto di vista della trama e delle situazioni proposte. Bava inventa un linguaggio che avrebbe fatto adepti in ogni parte del mondo.
In tal senso è indicativa la famosa scena nel negozio di antiquariato, con il gioco di luci intermittenti tra il verde e il rosso,e la modella inseguita dal killer che appare e scompare tra i corridoi come un fantasma. La conclusione con un omicidio estremamente feroce per gli standard dell’epoca, oltre a essere una mezza citazione da La Maschera del Demonio (perché Bava le citazioni le faceva, anche quelle, prima di tutti gli altri) diventa il punto culminante di un climax di tensione sempre più insostenibile. Tensione creata solo dai movimenti e dalle prospettive della macchina da presa di Bava, che è la protagonista assoluta e indiscussa del film.

Sei donne per l'assassinoIl film fu un flop commerciale, in Italia. Andò un po’meglio all’estero. La critica lo accolse storcendo il naso. Troppo violento, privo di spessore e di contenuti. Se si tendeva a esaltare il lato tecnico ed estetico, dava fastidio il voler puntare tutto sul body count. In Francia, invece, i critici se ne uscirono con delle interpretazioni che sbalordirono lo stesso Bava: “Sono venuti quelli dei Cahiers du cinéma, e mia figlia mi diceva che volevano sapere il tessuto connettivo tra quella targa che oscilla all’inizio del film Sei donne per l’assassino, dove c’è un temporale, e il telefono che casca quando la Bartok muore. Io non mi ricordavo neanche come finiva il film”

Lasciando perdere i tessuti connettivi tra targhe e fili del telefono, Sei Donne per l’Assassino dipinge un mondo spietato, in cui ogni azione compiuta dai personaggi è dettata da avidità e denaro. Il killer maniaco non è altro che un espediente per depistare le indagini della polizia. Non c’è una mente folle dietro gli omicidi, solo lo squallore di un grigio individuo a caccia di soldi.


Non è poi così paradossale che il film di Bava abbia influito anche sullo slasher americano degli anni ’80, dove i protagonisti vengono puniti per i loro atteggiamenti edonistici dall’assassino puritano di turno. Ma Bava, rispetto ai colleghi statunitensi, riesce a essere più sottile. Non c’è nessuna connotazione moralista, nessuna entità giudicante che uccide per mettere ordine. E forse questa caratteristica rende Sei Donne per l’Assassino molto più attuale rispetto a tanti suoi epigoni.

da: https://ilgiornodeglizombi.wordpress.com

 

 Scheda film
           Sei donne er l'assassino
TITOLO ORIGINALE   Sei donne per l'assassino  
PRODUZIONE   ItaliaFranciaGermania  
ANNO   1964  
DURATA   84'
 
COLORE   Colore (Eastmancolor)  
AUDIO   Mono
 
RAPPORTO   1,85 : 1  
GENERE   Giallo, Thriller  
REGIA   Mario Bava    
PERSONAGGI E INTERPRETI  
  • Thomas Reiner: ispettore Silvestri
  • Eva Bartok: contessa Cristiana Cuomo
  • Arianna Gorini: Nicole
  • Cameron Mitchell: Massimo Morlacchi
  • Mary Arden: Peggy
  • Lea Lander: Greta
  • Claude Dantes: Tao-Li
  • Dante Di Paolo: Franco Scalo
  • Massimo Righi: Marco
  • Franco Roussell: marchese Riccardo Morelli
  • Francesca Ungaro: Isabella
  • Luciano Pigozzi: Cesare Lazzarini
  • Harriet White Medin: Clarice
  • Enzo Cerusico: benzinaio
  • Giuliano Raffaelli
  • Mara Carmosino
  • Nadia Anty
  • Heidi Stroh
 
DOPPIATORI ORIGINALI   
  • Lydia Simoneschi: contessa Cristiana Cuomo
  • Pino Locchi: Massimo Morlacchi
 
SOGGETTO   Marcello Fondato  
SCENEGGIATURA
  Marcello FondatoGiuseppe BarillaMario Bava  
FOTOGRAFIA   Ubaldo Terzano  
MONTAGGIO   Mario Serandrei  
MUSICHE   Carlo Rustichelli  
COSTUMI   Tina Grani
 
 



   
 
 
 

 

Lunedì cinema - Cineforum 2015 2016
 
L'uccello dalle piume di cristallo (1970) di Dario Argento

Scrittore americano di passaggio a Roma, Sal Dalmas assiste, attraverso la vetrata di una galleria d'arte, ad un tentativo di omicidio. Benché sia stato soltanto il suo intervento a mettere in fuga il misterioso killer, presto le indagini della polizia si concentreranno proprio su di lui, in breve assorbito in un vortice di aggressioni da parte di un assassino che continua ad uccidere indisturbato.
Insieme alla fidanzata, cercherà allora di venire a capo della situazione, convinto com'è di non riuscire a ricordare un dettaglio fondamentale in grado di risolvere l'enigma.


L'uccello dalle piume di cristalloDopo un apprendistato come soggettista e sceneggiatore (C'era una volta il West e Metti una sera a cena) e un'esperienza da critico cinematografico per Paese sera, il ventinovenne Argento esordisce alla regia con un film che sancisce una nuova epoca, di fatto una reale canonizzazione, per il cosiddetto "giallo all'italiana".
Assorbita la lezione di Mario Bava (La ragazza che sapeva troppoSei donne per l'assassino) e con un occhio sempre teso al maestro Alfred Hitchcock (si pensi solo al cammeo di Reggie Nalder, indimenticabile nel ruolo del killer in L'uomo che sapeva troppo), il cineasta romano confeziona un gioiello in cui balzano all'attenzione qualità registiche fuori dal comune: l'importanza fondamentale della soggettiva, delle tecniche di montaggio, dei suoni, delle distorsioni e degli inganni, l'occhio di una macchina da presa sempre alla ricerca di punti vista inediti (aiutata in questo caso anche dall'apporto di Vittorio Storaro alla fotografia) fanno di L'uccello dalle piume di cristallo un vero classico, punto di riferimento obbligato per ogni studioso del cinema italiano, anche al di là del genere di appartenenza.
Violento, forsennato, pauroso, mette nero su bianco una ricetta che il regista tenderà a riproporre in tutti i suoi successivi gialli, compreso il capo d'opera Profondo rosso.
È un mondo di folli quello di Argento, di detective improvvisati e di particolari da mettere a fuoco, un viaggio nell'inconscio che può fare anche a meno della logica, ma mai della potenza del pezzo forte, di uno forma personalissima che ha ridefinito i canoni del cinema di spavento nostrano.

Imitato fino alla nausea, non solo in quello stile mai eguagliato in realtà, ma soprattutto nel titolo (non si contano le pellicole uscite in quegli anni che fanno riferimento a tarantole, lucertole, farfalle, iguane e bestie varie), ebbe un importante successo di pubblico. Insieme ai successivi Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio costituisce la cosiddetta "trilogia degli animali".
Non è un segreto che alla base dell'ispirazione del regista ci sia il romanzo giallo La statua che urla di Fredric Brown.

 da: http://www.mymovies.it/

 

 Scheda film
           L'uccello dalle piume di cristallo
TITOLO ORIGINALE   L'uccello dalle piume di cristallo  
PRODUZIONE   ItaliaGermania  
ANNO   1970  
DURATA   96'
 
COLORE   Colore (Eastmancolor)  
AUDIO   Mono
 
RAPPORTO   2,35 : 1  
GENERE   Giallo, Thriller, Orrore  
REGIA   Dario Argento    
PERSONAGGI E INTERPRETI  
  • Tony Musante: Sam Dalmas
  • Suzy Kendall: Giulia
  • Enrico Maria Salerno: comm. Morosini
  • Eva Renzi: Monica Ranieri
  • Umberto Raho: Alberto Ranieri
  • Renato Romano: prof. Carlo Dover
  • Giuseppe Castellano: Monti
  • Mario Adorf: Berto Consalvi
  • Pino Patti: Filagna
  • Gildo Di Marco: Garullo/Addio
  • Fulvio Mingozzi: poliziotto
  • Omar Bonaro: poliziotto
  • Bruno Erba: poliziotto
  • Annamaria Spogli: Sandra Roversi, terza vittima
  • Rosita Torosh: quarta vittima
  • Karen Valenti: Tina, quinta vittima
  • Werner Peters: antiquario
  • Reggie Nalder: inseguitore col giubbetto giallo
  • Maria Tedeschi: anziana nella nebbia
  • Carla Mancini: ragazza che guarda la TV
  • Giovanni Di Benedetto: prof. Rinaldi
  •  
 
DOPPIATORI ORIGINALI   
  • Gigi Pirarba: Sam Dalmas
  • Anna Teresa Eugeni: Giulia
  • Cristina Grado: Monica Ranieri
  • Silvano Tranquilli: prof. Carlo Dover
  • Adriano Micantoni: Berto Consalvi
 
SOGGETTO   Dario Argento  
SCENEGGIATURA
  Dario Argento  
FOTOGRAFIA   Vittorio Storaro  
MONTAGGIO   Franco Fraticelli  
MUSICHE   Ennio Morricone  
SCENOGRAFIA   Dario Micheli  
COSTUMI   Dario Micheli
 
 



   
 
 
 

 

Lunedì cinema - Cineforum 2015 2016
 
Sette note in nero (1977) di Lucio Fulci

Virginia Ducci è una donna dotata di chiaroveggenza. Dopo aver vissuto “in diretta”, da bambina, il suicidio della madre, tutto sembrerebbe tornato normale, ma anni più tardi, di ritorno dall’aver accompagnato il marito in partenza per l’Inghilterra, Virginia ha una nuova visione: una donna viene uccisa e poi murata da un misterioso uomo zoppo. Arrivata in una vecchia proprietà del marito che intende ristrutturare, Virginia si rende conto che la casa corrisponde proprio a quella della sua visione e scavando in una parete scopre uno scheletro.
La visione, intanto, continua a tormentarla e la donna chiede aiuto all’amico Luca Fattori, studioso di paranormale, che all'inizio sembra non darle credito, ma che poi dovrà ricredersi quando alcuni indizi comporranno un puzzle inquietante collegato alle visioni di Virginia. Nel frattempo, l’identità dello scheletro viene scoperta e il marito della donna viene arrestato con l’accusa di omicidio, costringendo quindi Virginia a ricostruire la sua visione per scagionarlo e scoprire il colpevole.

Sette note in neroL'idea iniziale del film era un riadattamento al romanzo Terapia mortale di Vieri Razzini, ma il regista in collaborazione con Roberto Gianviti, non trovando sbocchi sulla sceneggiatura, decisero di modificarla con l'aiuto di Dardano Sacchetti. La nuova sceneggiatura seguì la scia di Profondo rosso di Dario Argento, con chiaro riferimento al paranormale. Oltre al romanzo, modificato, di Razzini, il film prende spunto dal racconto Il gatto nero di Edgar Allan Poe, dove una donna viene murata viva.
La colonna sonora è stata composta dal trio Frizzi, Bixio e Tempera, in cui troviamo il tema principale Sette note in nero, che sarebbero le sette note del carillon dell'orologio, e la canzone dei titoli di testa With you cantata da Linda Lee (Rossana Barbieri) una delle componenti del gruppo Daniel Sentacruz Ensemble. 

Assistiamo anche allo soppressione di un tabù: Fulci si decide ad ambientare il film in Italia, in Toscana: la pellicola si apre infatti con una panoramica di piazzale Michelangelo a Firenze, ma è palpabile la sua anglofilia, sin dalla scelta degli attori: la raffinata Jennifer O’Neill nel ruolo della protagonista, Marc Porel (già apprezzato nel ruolo del prete diabolico di Non si sevizia un paperino) in quello del marito traditore e il bravissimo ma compassato, “inglese” per stile, Gabriele Ferzetti.
Le campagne del Chianti si trasformano in una piccola colonia inglese: il Chiantishire; abbiamo ancora a che fare con nobiluomini, eredità e set decorati in stile classico. Splendida e retrò l’automobile dallo sproporzionato volante, che il regista affida alla guida della O’Neil, tutto in perfetto stile Agata Christie, la grande vecchia del giallo inglese per la quale, a detta di Sacchetti, Lucio Fulci aveva un’ammirazione sconfinata. In ogni caso il film è imparentato da vicino, nel tema della tumulazione, soprattutto al racconto “Il gatto nero” di Edgar Allan Poe.

Il pregio principale di Sette note in nero è la sua straordinaria capacità di sorprendere lo spettatore, Fulci & Co. hanno avuto il merito di costruire attorno allo spettatore una sorta di gabbia dalla quale, una volta entrati, è pressoché impossibile uscirne. La storia avvolge chi guarda il film, lo fa entrare nel micro mondo costruito da regista e autori, costringendolo per oltre un’ora e mezza a fare dei luoghi in cui è ambientata la pellicola il proprio mondo.
Siena, città dove si svolge la storia, si trasforma in un posto fantastico, slegato dal terreno, e si trasforma nella tela di un ragno: anche qui è rintracciabile il legame tra il primo Dario Argento e il Fulci del giallo, entrambi capaci di fare delle loro ambientazioni luoghi reali, spaventosi e angoscianti che sembrano avviluppare lo spettatore.
Guardando Sette note in nero o Profondo Rosso o ancora L’uccello dalle piume di cristallo si ha la sensazione di venire rapiti, di affrontare un viaggio nello spazio e nel tempo in cui ogni nostra cognizione fisica e razionale viene meno.

da:
https://it.wikipedia.org
http://www.horror.it
http://www.lazonamorta.it/

 

 Scheda film
           Sette note in nero
TITOLO ORIGINALE   Sette note in nero  
PRODUZIONE   Italia
 
ANNO   1977  
DURATA   95'
 
COLORE   Colore (Telecolor)  
AUDIO   Mono
 
RAPPORTO   1,85 : 1  
GENERE   Giallo, Thriller, Orrore  
REGIA   Lucio Fulci    
PERSONAGGI E INTERPRETI  
  • Jennifer O'Neill: Virginia Ducci
  • Gianni Garko: Francesco Ducci
  • Gabriele Ferzetti: Emilio Rospini
  • Marc Porel: Luca
  • Jenny Tamburi: Paola
  • Luigi Diberti: giudice
  • Evelyn Stewart: Gloria Ducci
  • Loredana Savelli: Giovanna Rospini
  • Fabrizio Jovine: comm. D'Elia
  • Riccardo Parisio Perrotti: avvocato di Francesco
  • Vito Passeri: custode
  • Ugo d'Alessio: custode della pinacoteca
  • Franco Angrisano: primo tassista
  • Salvatore Puntillo: secondo tassista
  • Bruno Corazzari: sig. Canovari
  • Veronica Michielini: sig.ra Casati
  • Paolo Pacino: tenente
  • Fausta Avelli: Virginia bambina
  • Elizabeth Turner: madre di Virginia 
 
DOPPIATORI ORIGINALI   
  • Rita Savagnone: Virginia Ducci
  • Sergio Graziani: Emilio Rospini
  • Pino Colizzi: Luca
  • Germana Dominici: Gloria Ducci
  • Luciano De Ambrosis: commissario D'Elia
  • Gianni Marzocchi: avvocato
  • Antonio Guidi: custode
  • Rosetta Calavetta: Giovanna Rospini
  • Sergio Fiorentini: primo tassista
 
SOGGETTO   Lucio FulciRoberto Gianviti,Dardano SacchettiVieri Razzini (romanzo "Terapia mortale")  
SCENEGGIATURA
  Lucio FulciRoberto GianvitiDardano Sacchetti  
FOTOGRAFIA   Sergio Salvati  
MONTAGGIO   Ornella Micheli  
MUSICHE   Franco BixioFabio FrizziVince Tempera  
SCENOGRAFIA   Luciano Spadoni  
COSTUMI   Massimo Lentini
 
TRUCCO



Maurizio Giustini  
 
 
 

 

Lunedì cinema - Cineforum 2015 2016
 
La casa dalle finestre che ridono (1976) di Pupi Avati

La casa dalle finestre che ridono, vero e proprio cult movie di Pupi Avati, ha già compiuto 40 anni, e mai come oggi ogni appassionato di cinema dell'orrore (e non) ha la possibilità di apprezzarlo in tutto il suo fascino (restaurato e rimasterizzato in digitale): quello delle opere povere, realizzate con infime disponibilità di denaro e personale, grossolane per certi aspetti, ma in realtà ricchissime d'idee, raffinate narrativamente e coinvolgenti nelle atmosfere. Opere che definire autentici colpi di genio non sarebbe poi così azzardato.

Avati, reduce dall'insuccesso di Bordella (1975), decide l'anno seguente di confrontarsi con un genere a lui inedito e di puntare al consenso di pubblico e critica con un film di paura, sull'onda del grande successo di Profondo Rosso (1975) e in generale di tutto il neonato thriller all'italiana. 
Con circa 150 milioni di vecchie lire e coadiuvato da un team di sole 12 persone per tutti i ruoli della produzione, il regista bolognese, attingendo romanticamente per l'ambientazione da una Romagna rurale e arcaica, scrive col fratello Antonio Avati (qui anche produttore e scenografo), con Gianni Cavina (interprete dell'autista Coppola) e Maurizio Costanzo una favola nera dall'intreccio complesso ma coerente, un horror gotico dall'atmosfera agghiacciante in virtù, soprattutto, della sua atipicità. 

La casa dalle finestre che ridonoMolti elementi concorrono alla creazione di quella suspense sottile e di quel senso di macabro e malato che si respirano già dalle prime sequenze, quando Stefano giunge al paese e vengono presentati i luoghi principali della vicenda: il cuore del villaggio (albergo e taverna) e la chiesa contenente il misterioso affresco. 

Gli elementi profilmici di La casa dalle finestre che ridono costituiscono già uno scenario particolare e intrinsecamente arcano: campagne paludose, fatiscenti case coloniche, viottoli sterrati, canali, una solarità tenue, un insieme di personaggi buffi e macchiettati, ma anche ambigui ed enigmatici, una parvenza generale di microcosmo chiuso in se stesso, immobile e fuori dal tempo. 

Inoltre una fotografia (di Pasquale Rachini, Il Gatto Nero) pastosa e dominante nelle tonalità giallo-ocra esalta l'ambiente nella luminosità rassicurante del giorno come nell'oscurità minacciosa della notte, mentre il tema musicale ricorrente (composto da Amedeo Tommasi) inquieta lo spettatore per tutta la durata del film, sin dall'ottimo prologo, dove un corpo urlante legato ai polsi viene martoriato da micidiali pugnalate. 

La regia di Avati è, per di più, ricca di soluzioni efficaci e molto abile nel massimizzare l'effetto, a volte logoro, di alcuni dei più utilizzati clichè del cinema thriller e horror. Valga su tutte la sequenza, alla fine del film, in cui Stefano assiste inorridito al sacrificio di una giovane vittima, immolata per fungere da "modello agonizzante" per il pazzo pittore: una lunga e lenta soggettiva mostra i movimenti dell'esterrefatto protagonista, che si avvicina, quasi ipnotizzato, a osservare il luogo del delitto e il corpo straziato del giovane modello, finché, repentina, una tremenda coltellata attraversa l'inquadratura finendo appena sotto l'obiettivo! 

La durata di La casa dalle finestre che ridono comporta un'inevitabile lentezza di fondo nello sviluppo della vicenda, ma l'attesa dello spettatore viene ripagata abbondantemente con un colpo di scena finale sopraffino, assolutamente da antologia.

da: http://www.latelanera.com

 

 Scheda film
           La casa dalle finestre che ridono
TITOLO ORIGINALE   La casa dalle finestre che ridono  
PRODUZIONE   Italia
 
ANNO   1976  
DURATA   106'
 
COLORE   Colore
 
AUDIO   Mono
 
RAPPORTO   1,85 : 1  
GENERE   Giallo, Thriller, Orrore  
REGIA   Pupi Avati    
PERSONAGGI E INTERPRETI  
  • Lino Capolicchio: Stefano
  • Francesca Marciano: Francesca
  • Gianni Cavina: Coppola
  • Vanna Busoni: Maestra
  • Andrea Matteuzzi: Poppi
  • Bob Tonelli: Solmi
  • Pietro Brambilla: Lidio
  • Ferdinando Orlandi: Maresciallo
  • Ines Ciaschetti: Portiera
  • Flavia Giorgi: Moglie di Poppi
  • Eugene Walter: don Orsi, il parroco
  • Tonino Corazzari: Buono Legnani
  • Pina Borione: Laura Legnani, la "paralitica"
  • Giulio Pizzirani: Antonio Mazza
  • Carla Astolfi: Donna delle pulizie
  • Arrigo Lucchini: Droghiere
 
DOPPIATORI ORIGINALI   
  • Carlo Baccarini: Solmi
  • Gianni Bonagura & Angiolina Quinterno: don Orsi, il parroco
  • Wanda Tettoni: Portiera
  • Gianni Cavina: Buono Legnani
 
SOGGETTO   Pupi AvatiAntonio Avati  
SCENEGGIATURA
  Pupi AvatiAntonio Avati,Gianni CavinaMaurizio Costanzo  
FOTOGRAFIA   Pasquale Rachini  
MONTAGGIO   Giuseppe Baghdighian  
EFFETTI SPECIALI   Giovanni CorridoriLuciano Anzellotti  
MUSICHE   Amedeo Tommasi  
SCENOGRAFIA   Luciana Morosetti  
COSTUMI   Luciana Morosetti
 
TRUCCO   Giovanni Amadei  
PREMI



  • Premio della critica al Festival du Film Fantastique di Parigi
 
 
 
 
      
Cinema Estate 2015      

Il compagno B
(Pack up your troubles)
Regia di George Marshall e Ray McCarey
(1932)


Durante la prima guerra mondiale nel 1917, Laurel & Hardy, per essersi finti disabili davanti a un sergente che li vuole arruolare, vengono forzati a reclutarsi nell'esercito americano. Una volta entrati, dimostrano però di non saper fare neanche una marcia, e vengono quindi sbattuti a fare gli spazzini alle cucine militari.

Dopo qualche giorno i due amici vengono definitivamente spediti in trincea e così diventano molto amici del soldato Eddie. Quest'ultimo però ha dei seri problemi: viene lasciato dalla moglie e diviene l'unico responsabile della figlia, che vive con tutori estranei.


Laurel & Hardy promettono al commilitone morente di portare la sua piccola, abbandonata da una madre snaturata, dai nonni. Dopo varie peripezie riescono a trovare la famiglia Smith.


Il titolo italiano del film "Compagno B" deriva da una errata traduzione di "B Company" (cioè "Compagnia B") che orrisponde al reparto militare assegnato ai due, scritta più volte inquadrata dalla macchina da presa persino sui bidoni della spazzatura, e non dalla lettera iniziale del nome del loro commilitone.

 

 da: wikipedia
   

 

            Il compagno B  
titolo originale       Pack up your troubles    
regia   George Marshall e Ray Mc Carey    
interpreti   Oliver Hardy, Stan Laurel, Charles Middleton, James Finlayson    
genere   Comico    
durata   65'    
produzione   USA    
anno   1932    
         

    

 
 
 
 
      
Cinema Estate 2015      

La grande sparata
(The strong man)
Regia di Frank Capra
(1926)

Un soldato che torna dalla prima grande guerra, cerca la donna amata, la troverà cieca ma non per questo il suo amore diminuirà. Affronterà situazioni bizzarre, si troverà coinvolto in un malaffare, diventerà aiutante di un uomo-cannone che al momento di uno spettacolo importante sarà ubriaco e lascerà al mingherlino ex-soldato il compito di fare uno spettacolo per forzuti, in una cittadina (la stessa dove ritroverà l'amata) dedita alla vita sregolata e dove si fanno beffe del proibizionismo, con grandi rimostranze guidate dal pastore della comunità. Finale caotico e pirotecnico.

Un film divertentissimo, un grande classico del muto, pieno di gag che hanno fatto scuola. Harry Langdon è semplicemente strepitoso, dolcissimo ed espressivo come il migliore dei mimi.

Un modo piacevole e di gran godimento per un tuffo nel passato del Cinema Non bisognerebbe mai dimenticare l'importanza della recitazione che deve comunicare più delle parole ed il Cinema muto, che non aveva alternative, rimane un riferimento. Bellissimo poi vedere le ambientazioni di quell'epoca.

 

 da: robydickfilms.blogspot.it
   

 

             La grande sparata 
titolo originale       The strong man    
regia   Frank Capra    
interpreti   Harry Langdon, Priscilla Bonner, Gertrude Astor, William V. Mong, Robert McKim, Arthur Thalasso    
genere   Commedia    
durata   78'    
produzione   USA    
anno   1926