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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 12:00
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Le quattro volte (2010) di Michelangelo Frammartino |
Se l'idea di bellezza è sempre più assoggettata alla vistosità dell'oggetto che ci troviamo davanti, ecco spiegato il perché della bellezza paesaggistica come corrispettivo della grande e imponente città e l'abolizione di archetipi in via d'estinzione.
L'occhio si lascia crogiolare da una pigrizia incapace di scavare a fondo, di cogliere la bellezza nella complessità della vita quotidiana. Lasciando al proprio flusso arcaico i luoghi nascosti che ancora conducono una esistenza fuori dal tempo. Da una parte lo sguardo continua a catturare soltanto ciò che gli è immediato, trascurando l'essenzialità delle cose, dall'altro il luogo incontaminato, non sottomesso alle esigenze inquinanti della moderna società dei consumi, conserva la propria connotazione primitiva.
Ma l'ignavia dell'occhio riguarda anche la visione cinematografica, disabituata alla pazienza del saper vedere, preferendo subire l'immediatezza di ciò che ci viene scaraventato addosso.
"Le quattro volte" si situa in un territorio "marginale" della Calabria. Un microcosmo che pare fuori dal mondo e che, invece, conserva il contatto più stretto con l'essenza stessa della natura. Che crea una parabola sul tempo dove il tempo sembra invece essersi fermato da decenni.
Il milanese Frammartino aveva già ambientato il suo precedente e già interessante primo film, "Il dono", in Calabria, luogo di nascita dei suoi genitori. Sondando il terreno per questa sua opera seconda si è imbattuto in quattro possibili personaggi, quattro entità vicine e lontane: il vecchio pastore, il capretto bianco, un grande abete, il carbone.
Suggerendo la possibilità di rendere protagonista di un film un animale o un qualsiasi elemento naturale, contemplando la natura e la natura delle cose, il film può essere suddiviso in quattro storie a sé stanti. Con dei lunghi piani sequenza che nella loro quiete colgono l'imprevedibilità della vita (non mancano i momenti ironici), Frammartino ci ricorda tradizioni e luoghi dimenticati, offrendoci una visione poetica sui cicli della vita. Ma a ben vedere il film non si ferma qui: vuole andare oltre, chiedendo complicità a spettatori attenti, disposti ad unire i tasselli ed erigere un'architettura che possa essere al contempo antropologica e filosofica.
Partendo da una frase attribuita a Pitagora, secondo la quale in ogni essere ci sarebbero quattro vite distinte ma incastrate l'una dentro l'altra (minerale, vegetale, animale e razionale), i quattro stadi del film vivono di una sola anima, destinata a passare ciclicamente da entità a entità, reincarnandosi, consumandosi e rinascendo.
Senza l'utilizzo di parole né di musica, ma con un fondamentale tappeto sonoro che cattura il respiro della natura, è un'opera metafisica e antropologica, concreta e fantascientifica. Offrendo allo spettatore il compito di decifrare, comporre e riempire il suo cammino, "Le quattro volte", ideale incrocio tra Franco Piavoli e Bèla Tarr, è un cinema geometrico ma spontaneo.
Assemblando e rispettando le sue idee, Michelangelo Frammartino vola alto.
Scheda film |
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PRODUZIONE | Italia, Germania, Svizzera | ||
ANNO | 2010 | ||
DURATA | 88' | ||
COLORE | Colore | ||
AUDIO | Dolby Digital | ||
RAPPORTO | 1,85 : 1 | ||
GENERE | Drammatico | ||
REGIA | Michelangelo Frammartino | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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SCENEGGIATURA | Michelangelo Frammartino | ||
PRODUZIONE | Vivo Film, Essential Filmproduktion, Invisibile Film, Ventura Film |
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FOTOGRAFIA | Andrea Locatelli | ||
MONTAGGIO | Benni Atria, Maurizio Grillo | ||
SCENOGRAFIA | Matthew Broussard | ||
COSTUMI | Gabriella Maiolo | ||
PREMI | Michelangelo Frammartino ha vinto il Grand Prix del Festival del cinema italiano di Annecy e il Nastro d'argento speciale «per il realismo poetico e le emozioni di un film sorprendente» | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 11:00
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Teorema Venezia (2012) di Andreas Pichler |
Un abisso sempre più profondo divide la Venezia turistica dalla Venezia di chi vi abita e lavora. Da un lato, il numero di turisti va aumentando, rendendo la città invivibile, soprattutto nella stagione turistica. Dall'altro, Venezia si sta via via spopolando a causa degli affitti troppo cari, dell'acqua alta e della mancanza di servizi. Teorema Venezia racconta le due facce di questa città attraverso le vite e i racconti di chi la conosce intimamente, ovvero i veneziani DOC.
Come s’intuisce dal sottotitolo del documentario di Andreas Pichler, regista altoatesino, Venezia ormai è spacciata. Non lo dice l’autore, ma i personaggi protagonisti del documentario, ovvero persone che conoscono bene la città e che rischiano di condividere la stessa sorte. Un agente immobiliare, una scrittrice solitaria e nostalgica, una guida turistica, un trasportatore e un gondoliere in pensione: sono questi i veneziani in via di estinzione di cui tanto si parla, ma che raramente si riesce ad avvistare. Teorema Venezia, invece, ce li fa conoscere intimamente, mostrando le difficoltà quotidiane del vivere in una città assediata da orde di turisti, sgretolata dal moto ondoso e molto spesso resa impraticabile dall’acqua alta.
Il documentario si apre con le riprese accelerate della folla che, ogni giorno che Dio manda in terra, brulica in piazza San Marco o si accalca sul ponte della Paglia per scattare frettolosamente una foto al ponte dei Sospiri. Frettolosamente perché i turisti che fanno tappa a Venezia al giorno d’oggi sono ben diversi dai viaggiatori del Grand Tour, che passavano settimane, se non mesi, nella città, vale a dire il tempo necessario per visitare l’enorme centro storico e le isole della laguna. I turisti che le grandi navi vomitano alla stazione marittima hanno a disposizione un giorno per “visitare” la città. Mentre le guide turistiche cercano di penetrare la spessa cortina di superficialità dei loro ascoltatori americani, russi e giapponesi, i turisti, in canottiera e pantaloncini, pensano a collezionare fotografie nei luoghi simbolici della città. A trarne vantaggio sono in molti, dai titolari di bancarelle di souvenir di cattivo gusto e negozi di paccottiglia di vetro agli albergatori, dai gondolieri alle società di navigazione.
L’autore, però, mostra la catastrofe in atto attraverso la vita quotidiana dei personaggi, persone comuni che, per la loro stoica resistenza in una città carissima e abbandonata dalle istituzioni, possono benissimo aspirare allo status di eroi. Chi abita a Venezia si trova così a vivere in una situazione paradossale: da un lato, la città sprofonda sotto il peso di migliaia di turisti, dall’altro, chiudono uffici postali, reparti ospedalieri e negozi alimentari, esattamente come nei paesi di montagna. Di conseguenza, chi può scappa, in particolare i giovani. I protagonisti del documentario lo sanno bene, in particolare il trasportatore, il cui lavoro spesso lo porta ad andare a ritirare i mobili dei veneziani che traslocano in terraferma, spinti dal problema del caro affitti. Anche qui, Venezia è patria di un paradosso senza eguali, per cui case vendute o affittate a prezzi da capogiro hanno in realtà gravi problemi di staticità o sono destinate a sgretolarsi a causa del moto ondoso e di restauri deleteri. Il documentario ad un certo punto mostra chi sono gli acquirenti delle case lasciate vuote dai veneziani. Sono gli impresentabili frequentatori del ballo del doge, spettacolo tanto elitario quanto kitsch che ha luogo durante il carnevale in un lussuoso palazzo veneziano. La scena suscita – come molte altre del documentario, d’altronde – profonda indignazione, perché, appunto, si tratta di un documentario, anche se il tono è lo stesso della feste de La grande bellezza di Sorrentino. Così come sono realtà le navi colossali che rischiano di causare un danno catastrofico per concedere ai turisti il lusso di vedere il bacino di San Marco direttamente dalla suite.
Più pessimista di Sei Venezia, Teorema Venezia condivide con il documentario di Carlo Mazzacurati lo sguardo poetico e dolente, riuscendo però a suscitare anche rabbia e volontà di correre in aiuto di una città che è l’epitome dell’Italia stessa.
Da http://www.storiadeifilm.it
Scheda film |
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TITOLO ORIGINALE | Das Venedig Prinzip | ||
PRODUZIONE | Italia, Austria, Germania | ||
ANNO | 2012 | ||
DURATA | 80' | ||
COLORE | Colore | ||
AUDIO | Sonoro | ||
RAPPORTO | |||
GENERE | Documentario | ||
REGIA | Andreas Picheler | ||
SOGGETTO | Andreas Pichler, Thomas Tielsch | ||
SCENEGGIATURA | Andreas Pichler, Thomas Tielsch | ||
PRODUZIONE | Thomas Tielsch, Filmtank Hamburg (D), Golden Girls (A) | ||
FOTOGRAFIA | Attila Boa | ||
MONTAGGIO | Florian Miosge | ||
MUSICHE | Jan Tilman Schade | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 10:00
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L'aquila solitaria (1957) di Billy Wilder |
Nella lista dei migliori film di tema aeronautico ognuno mette il suo preferito, ma quello di cui parliamo ora può, a pieno titolo, entrare in quasi tutte le graduatorie di questo genere, perché L’aquila solitaria, (The Spirit of St. Louis), del 1957 è uno dei più bei film d’aviazione di tutti i tempi.
La storia narra l’impresa aeronautica forse più famosa di tutti i tempi: quella del primo volo senza scalo fra America ed Europa pilotando in solitaria un piccolo apparecchio monomotore attraverso l’Atlantico. Nel 1927 il mondo è in fermento: viene messo in palio dal mecenate Raymond Orteig (imprenditore alberghiero franco-americano), un premio di 25.000 dollari al primo aviatore che attraverserà l'Atlantico da New York a Parigi senza scalo. La traversata del successo sarà di poco meno di 34 ore, risulterà lunga e terribile per la stanchezza, gli attacchi di sonno, e il ghiaccio che si formerà sulle ali, ma nonostante tutto Charles Lindbergh riuscirà felicemente ad arrivare a Parigi.
La pellicola fu prodotta dalla Leland Hayward Productions e dalla Billy Wilder Productions (con il nome A Leland Hayward-Billy Wilder Production) per la Warner Bros. Pictures. Alla regia di Billy Wilder si aggiunse la scelta per interpretare il ruolo del protagonista di James Stewart, non solo stella di prima grandezza di Hollywood ma anche aviatore pluridecorato nella seconda guerra mondiale.
La sceneggiatura del film si basò direttamente sul libro di Lindbergh che raccontava l’impresa, del quale Wilder acquistò i diritti (WE di Lindbergh, Charles Agustus, editore G.P.Putnam's Sons, Publishers, New York) per circa 200.000 dollari. Il titolo molto ermetico in una successiva edizione sarà spiegato meglio: WE - Pilot and Plane. Il libro uscito solo nel 1953 vinse il premio Pulitzer nel 1954.
Nella pellicola il regista adotterà lo stesso schema del racconto di Lindbergh, tutto il volo minuto per minuto interrotto da molti flash back sulla vita del protagonista. L’opera spazia ampiamente sulle vicende aeronautiche ma è estremamente superficiale sulla vita privata. Le carenze del libro saranno riproposte dal film, forse per le ferree clausole del contratto.
Charles Lindbergh nasce a Detroit, sarà chiamato “l'aquila solitaria” dopo il successo della trasvolata. L’aviatore statunitense di origine svedese, fu capace, nel 1927, di compiere, in 33 ore e 40 minuti, il primo volo senza scalo attraverso l’Atlantico settentrionale, pilotando lo Spirit of St. Louis, un monomotore da 220 cavalli costruito dalla ditta Ryan. Grazie a questa impresa, il ragazzo di Detroit diventa il simbolo della modernità. Ovunque, da New York a Londra, da Berlino a Bombay, si parla di Lindbergh come di un eroe.
Il film fu girato a San Diego e a Santa Maria, in California, sull’aeroporto Zahn di Amityville presso New York ed in Francia presso l’aeroporto di Guyancourt che rappresentava il Le Bourget del 1927. Per le riprese aeree ci si affidò al mitico Paul Mantz che effettuò molte delle riprese aeree col suo B-25 The Smasher. Il Ryan NYP (acronimo di New York-Paris) N.X.211, sempre a cura di Paul Mantz, fu replicato con tre aerei appositamente restaurati in condizioni di volo, utilizzati nelle riprese delle varie fasi del volo record. Mantz si occupò anche di raccogliere tutti i mezzi ancora volanti per le riprese degli altri episodi della vita di Lindbergh.
Le spese per girare la pellicola ammontarono a più di sei milioni di dollari, mentre al botteghino gli incassi non superarono i 2,6 milioni. Eppure Billy Wilder era reduce da una lunga serie di successi, James Stewart non poteva fare male sebbene avesse un’età molto diversa rispetto al personaggio da interpretare, grandi studios erano a sostenere l’adattamento del libro di un personaggio che aveva avuto da poco il premio Pulitzer. Sembrava un progetto a prova di bomba. Jack Warner spese il resto della vita a domandarsi come un progetto così sicuro potesse aver fallito.
Ebbene, un'ipotesi che molti hanno a questo proposito avanzato è che, nonostante la straordinaria veridicità, dovuta anche alla splendida interpretazione di James Stewart il film non ottenne il successo sperato perché il Lindbergh reale era un personaggio molto noto, ma anche non troppo simpatico. In definitiva però, a dispetto dello scarso successo di pubblico e di critica che ebbe all'epoca dell’uscita, è certamente un bel film. '
Di particolare rilievo, il monologo di Stewart, che interpreta con la solita passione e professionalità il personaggio dell'aviatore solitario. Per parte sua, la regia di Billy Wilder riesce abilmente a vincere la sfida del monologo confinato nel piccolo abitacolo dell'aeroplano, dove si svolge gran parte della storia.
Da http://www.manualedivolo.it
Scheda film |
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TITOLO ORIGINALE | The Spirit of St. Louis | ||
PRODUZIONE | Stati Uniti | ||
ANNO | 1953 | ||
DURATA | 135' | ||
COLORE | Colore (WarnerColor) | ||
AUDIO | Sonoro Mono (RCA Sound Recording) | ||
RAPPORTO | 2,35 : 1 | ||
GENERE | Avventura. Storico | ||
REGIA | Billy Wilder | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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DOPPIATORI ITALIANI |
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SOGGETTO | dal libro di Charles Lindbergh | ||
SCENEGGIATURA | Billy Wilder e Wendell MayesCharles Lederer (adattamento) | ||
PRODUZIONE | Leland Hayward | ||
FOTOGRAFIA | Robert Burks, J. Peverell Marley | ||
MONTAGGIO | Arthur P. Schmidt | ||
MUSICHE | Franz Waxman (musiche originali) | ||
SCENOGRAFIA | Art Loel William L. Kuehl (arredatore) | ||
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- Pubblicato Venerdì, 23 Settembre 2016 09:00
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Amelia (2009) di Mira Nair |
Ci piace ricordare una protagonista assoluta dell’aviazione mondiale.
Nata il 24 luglio del 1897 ad Atchinson, nel Kansas, Amelia Earhart è riuscita, nel corso della sua breve esistenza a lasciare un segno indelebile nella storia dell’umanità, tanto da essere paragonata da alcuni a una sorta di rockstar dei cieli.
Non può certo stupire, del resto, il fatto che pilotare un aereo agli inizi del secolo scorso potesse essere considerato un’impresa piuttosto audace, soprattutto se, ai comandi, vi fosse una donna. Tant’è vero che, a poco meno di un secolo, permangono residui di pregiudizi e, nonostante il numero delle donne in aviazione sia notevolmente cresciuto negli ultimi anni, siamo ancora ben lontani da un’auspicabile situazione di parità tra i sessi.
La storia di Amelia Earhart, meglio nota come Amelia, è legata al Mito in senso classico. Lo stesso che insegna che, in fin dei conti, le storie dell’umanità sono sempre le stesse. Prima e dopo Icaro. Il bisogno primordiale di esplorare e sfidare i limiti della Natura, quello di vivere in modo estremo per sentirsi più vivi, è non a caso il tema portante del film biografico Amelia di Mira Nair con Hillary Swan in veste di protagonista.
Purtroppo, all'epoca della sua uscita, la pellicola fu massacrata dalla critica, che non ne comprese la forza. Il film merita però di essere visto, soprattutto dagli appassionati di aviazione, non perché sia particolarmente attendibile da un punto di vista filologico, quanto piuttosto perché fornisce un quadro emozionante di una passione totalizzante e contagiosa.
Detentrice di numerosi record, nel 1928, Amelia è la prima donna ad attraversare l’Atlantico, a bordo di un Fokker F7 pilotato da Stultz e Gordon. Non contenta, quattro anni più tardi, decolla da Terranova ai comandi del suo aereo, per una traversata di quattordici ore e cinquantasei minuti che si conclude con l’atterraggio a Londonderry, nell’Irlanda del Nord, prima donna ad effettuare una trasvolata oceanica in solitaria.
Purtroppo, la sfida successiva, quella di essere la prima donna a compiere il giro del mondo al comando di un aereo, le sarà fatale. Si perderanno le sue tracce a circa settemila miglia dal conseguimento del suo obiettivo.
Nell'ottobre 2014, dopo 77 anni, su un piccolo atollo disabitato dell’Oceano Pacifico denominato Nikumaroro, sono stati ritrovati dei resti ossei attribuiti all’aviatrice, ponendo così fine, chissà, a numerose leggende, tra cui l’ipotesi lanciata nel 2008 dal documentario del National Geographic Where’s Amelia Earhart? secondo cui sarebbe caduta vittima dei giapponesi, imprigionata con l’accusa di essere una spia.
In base a questi ritrovamenti, l’aviatrice potrebbe essere riuscita a sopravvivere a un ammaraggio, per poi spegnersi nell’isola deserta a causa delle condizioni di vita estreme. Ancora una volta, in realtà, un interrogativo che non può che alimentare la leggenda.
Nel corso degli anni successivi alla sua morte, Amelia Earhart ha ricevuto vari tributi, non soltanto in ambito cinematografico. Sicuramente degna di nota, l’interpretazione di Joni Mitchell della canzone Amelia nel live album del 1980 Shadows and Lights, curioso esempio di incrocio di destini con un’altra rockstar, il bassista Jaco Pastorius, considerato il più grande di tutti i tempi, presente nella line up del leggendario concerto e prematuramente scomparso qualche anno dopo.
Nella sua canzone, Joni Mitchell esordisce con una bella metafora: le scie lasciate da sei aerei nel cielo non sono altro che le corde di una chitarra... la stessa che suona l’ormai eterno tributo a una grande donna misteriosamente scomparsa.
Proprio come una scia nel cielo.
Da http://www.manualedivolo.it
Scheda film |
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TITOLO ORIGINALE | Amelia | ||
PRODUZIONE | Stati Uniti | ||
ANNO | 2009 | ||
DURATA | 135' | ||
COLORE | Colore | ||
AUDIO | Dolby Digital | ||
RAPPORTO | 2,35 : 1 | ||
GENERE | Biografico, Drammatico | ||
REGIA | Mira Nair | ||
INTERPRETI E PERSONAGGI |
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DOPPIATORI ITALIANI |
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SOGGETTO | Susan Butler, Elgen Long, Mary Lovell | ||
SCENEGGIATURA | Ronald Bass, Anna Hamilton Phelan | ||
PRODUZIONE | Lydia Dean Pilcher, Ted Waitt | ||
FOTOGRAFIA | Stuart Dryburgh | ||
MONTAGGIO | Allyson C. Johnson | ||
MUSICHE | Gabriel Yared | ||
SCENOGRAFIA | Stephanie Carroll | ||
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