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- Pubblicato Mercoledì, 21 Ottobre 2020 22:30
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LA DISSACRANTE IRONIA DEI FRATELLI COEN Fratello, dove sei? (USA 2000) |
Fratello, dove sei?, ottavo film dei fratelli Joel e Ethan Coen, esce nei cinema nel 2000, due anni dopo il loro precedente lavoro, Il Grande Lebowski.
Con la storia di tre detenuti che evadono per recuperare un tesoro nascosto da uno di loro e, durante il viaggio, vanno incontro a mille peripezie, i registi costruiscono un film fatto di citazioni, riferimenti storici, letterari e musicali, che riesce a tenere tutti gli ingredienti in un equilibrio perfetto. Elemento portante e unificante è l’ironia stralunata e irriverente tipica dei Coen, il cui bersaglio sono, prima di tutto, gli stessi protagonisti.
Odissea e dintorni
Prima fonte per la costruzione della trama è l’Odissea – come dichiarato esplicitamente con la citazione diretta dei primi versi del poema, prima dei titoli di testa –, a cui i Coen hanno affermato di essersi ispirati pur non avendola mai letta integralmente. Anche il poema fondativo della letteratura occidentale è sottoposto però alla “cura Coen”, che consiste in un ribaltamento delle situazioni e dei personaggi all’insegna di quell’ironia che, come si è detto, è la cifra stessa del film. Ecco, dunque, che quell’Odisseo “dal multiforme ingegno”, re e condottiero astuto e valoroso, diventa Everett Ulysses McGill (George Clooney), imbroglione logorroico capace di convincere i suoi ingenui compagni di galera, Pete Hogwallop (John Turturro) e Delmar O’Donnell (Tim Blake Nelson), ad evadere, promettendo loro di spartire il bottino di una rapina. Il fine taciuto da Everett è in realtà quello di tornare da sua moglie Penny (Holly Hunter), che, al contrario della fedele Penelope del poema omerico, è in procinto di risposarsi.
Durante il viaggio i tre si imbattono in ogni genere di (dis)avventure e personaggi che rimandano appunto all’Odissea. Allora l’indovino Tiresia è un vagabondo cieco che predice loro il futuro all’inizio del tragitto; Omero, da aedo che canta le vicende di Odisseo, si trasforma in proprietario di uno studio radiofonico che permette a Everett e compagni di registrare una canzone che li renderà famosi in tutto lo stato; le anime dei morti incontrate nell’Ade sono incarnate da una congregazione religiosa che celebra il battesimo in un fiume; tre splendide ragazze dalla voce incantatrice sostituiscono le sirene; Polifemo è un subdolo venditore di Bibbie con un occhio solo e una grande capacità affabulatoria. Il tutto è calato nella realtà americana degli anni ’30, in un Mississippi duramente colpito dalla grande depressione. È grazie a questo sfondo storico che vengono efficacemente trasfigurati gli episodi omerici, inseriti senza incoerenze nell’ambiente dell’epoca, che si definisce anche grazie a precisi riferimenti come quelli al gangster George “Babyface” Nelson e al chitarrista Tommy Johnson, oppure alla campagna per le elezioni di governatore e al Ku Klux Klan.
Musica e citazioni
Fondamentale è la colonna sonora, vero e proprio connettore del film. La musica è sempre presente, dalla sequenza iniziale con i detenuti che cantano, alla campagna elettorale, fino al raduno del KKK. Molti pezzi sono cantati per intero, come in un musical, primo fra tutti “Man of Constant Sorrow”, la canzone registrata dal gruppo improvvisato dai tre protagonisti e dal chitarrista Tommy Johnson. Un flusso musicale curato da T-Bone Burnett, che si ispira innanzitutto al folk-blues degli Appalachi, senza però escludere gospel, country, blues, swing e bluegrass, riflettendo appieno la realtà musicale dell’epoca.
Uno degli aspetti a cui è più legata la colonna sonora è l’utilizzo della musica nella campagna elettorale, con gruppi musicali che si esibiscono a sostegno dei candidati e il governatore Pappy O’Daniel che riconquista il favore dell’elettorato grazie all’intervento fortuito del gruppo dei protagonisti, i Soggy Bottom Boys (probabile riferimento al gruppo realmente esistito dei Foggy Mountain Boys).
Oltre all’ambito musicale, le citazioni rintracciabili nel film si estendono anche alla letteratura e al cinema, a partire dal titolo stesso, che in originale è O Brother, Where Art Thou?, esplicito riferimento ad un film di Preston Sturges, I Dimenticati (Sullivan’s Travel), in cui il protagonista progetta un film sulla grande crisi a partire da un viaggio per l’America (ma quello dei protagonisti è il rovesciamento del suo, in quanto egli cerca quella povertà da cui Everett e compagni vogliono scappare). Altri film citati sono Il Mago di Oz, Nascita di una Nazione e Nick Mano Fredda, mentre, oltre all’Odissea, in ambito letterario è possibile riconoscere riferimenti a Moby Dick.
Fratello, dove sei? si può quindi definire “una storia costruita su altre storie”, con rimandi e citazioni, che non sminuiscono affatto il risultato, ma al contrario dimostrano come spesso non sia importante la “novità” della trama, quanto la capacità di saperla raccontare in modo diverso. Attraverso un’ironia dissacrante, che non è denigratoria, i Coen si appropriano del materiale narrativo e lo reinventano nel loro stile. L’esito è un film coerente, in cui ogni aspetto è curato e funziona perfettamente, dall’interpretazione sopra le righe degli attori, alla fotografia di Roger Deakins, che, correggendo i colori brillanti fino ad arrivare ad un effetto smorzato e quasi seppia, bilancia visivamente l’esuberanza della trama.
da: http://www.cinemagazzino.it/
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Ottobre 2020 22:00
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LA DISSACRANTE IRONIA DEI FRATELLI COEN Il grande Lebowsky (USA 1998) |
Due sicari inviati dal pornografo Treehorn irrompono nell'appartamento di Jeff Lebowski, detto Drugo, giocatore di bowling disoccupato e nostalgicamente legato agli anni Settanta. Quando capiscono di aver commesso un errore perché il Jeff Lebowski che hanno davanti non è il miliardario di Pasadena che cercano, vanno via dopo aver sporcato il tappeto dell'ingresso. Deciso a ottenerne uno nuovo, Drugo piomba in casa del suo omonimo, ma entra in un gioco più grande di lui: Bunny, la moglie del miliardario, è stata rapita, e ora tocca a lui consegnare i soldi del riscatto. Insieme ai suoi amici, parte per un'avventura che si rivelerà più complicata e pericolosa di quanto sembra...
NOTE
- PRESENTATO AL FESTIVAL DI BERLINO 1998.
CRITICA
"Un quarantenne che non riesce ad adattarsi all'evolversi dei tempi e vive in maniera un po' stordita e ingenua i problemi della vita quotidiana è al centro della storia, che si propone come la radiografia di un luogo, la California, visto come il centro di destini e di emozioni più generali. Drugo è un disadattato che non diventa perdente ed anzi si pone come punto di riferimento intorno al quale si sviluppa una precisa denuncia delle molte amarezze dell''american way of life'. Raccontato con tono di ballata sincera e triste, cadenzato da ironiche parodie dei 'generi' del cinema americano (il musical, la commedia...), il film assume toni via via più marcatamente grotteschi, che lo rendono originale e interessante." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 126, 1998)
"Un buon compleanno coi fiocchi quasi natalizi. È quanto il distributore/esercente The Space Movies ha deciso di regalare a Joel Coen in occasione del suo 60 compleanno avvenuto a fine novembre. Ecco dunque tornare 'in grande' 'The Big Lebowski', capolavoro di scorrettezza e black humour, divenuto subito 'cult' indiscusso del 1998, specie grazie all'irresistibile personaggio Jeffrey 'Drugo' Lebowski, interpretato da un formidabile Jeff Bridges." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 11 dicembre 2014)
da: Cinematografo.it Fondazione Ente dello spettacolo
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Ottobre 2020 21:00
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LA DISSACRANTE IRONIA DEI FRATELLI COEN Ave, Cesare (USA 1987) |
Il lavoro di Eddie Mannix come "fixer" dello studio inizia ancor prima dell'alba, quando deve arrivare prima della polizia per scongiurare l'arresto di una delle stelle della Capitol Pictures fermata per comportamenti poco ortodossi. Un lavoro mai noioso e senza orari. Ogni film prodotto dallo studio porta grane e Mannix ha il gravoso compito di trovare una soluzione per tutto. È l'uomo capace di far ottenere al prossimo film ispirato alle pagine delle Bibbia la benedizione delle autorità religiose, come la persona giusta per convincere e trattenere lo scontento regista Laurence Laurentz che vuole sbarazzarsi della star del western Hobie Doyle per il suo prossimo sofisticato lavoro prodotto dalla Capitol. Mentre corre dall'emergenza di un divo al dramma di un altro, Mannix deve fare i conti con i problemi personali della sensazionale DeeAnna Moran o trovare una spiegazione plausibile sugli ultimi sospetti comportamenti della superstar Burt Gurney. Come se le paturnie di questi enormi ego non fossero abbastanza per iniziare la giornata, Mannix deve confrontarsi con la più difficile crisi della sua carriera: uno degli attori più amati al botteghino, Baird Whitlock, è stato rapito proprio nel bel mezzo della produzione del peplum, "Ave, Cesare! - Hail, Caesar!", e un misterioso gruppo che si fa chiamare "Il Futuro" ha rivendicato il rapimento: o lo studio è pronto a sborsare oltre 100.000 dollari o possono scordarsi la loro gallina dalle uova d'oro. Passando da un problema all'altro, Mannix deve necessariamente evitare ogni possibile fuga di notizie, soprattutto per scongiurare la presenza dei nomi delle star dello studio sulle colonne di gossip scritte da due ostili sorelle, Thora e Thessaly Thacker. In realtà, si tratta solo dei nomi che non provengono dalle storie inventate che ogni tanto lascia uscire per una facile promozione con le lettrici delle due giornaliste. Per quest'uomo si tratta solo della solita giornata di lavoro.
RECENSIONE di Simone Porrovecchio
Ave, Cesare! dei fratelli Coen è un appassionato divertissement dall’ironia tagliente e tecnicamente perfetto. Una dichiarazione d’amore per il cinema, e Hollywood. Una pellicola che non pretende di dire tutto a tutti, ma che dirà molto a tanti: fan di Hollywood, marxisti, scienziati delle religioni e amanti di musical e noir. Joel e Ethan Coen, che Ave, Cesare! l’hanno scritto e girato, lanciano i talenti del loro grande ensemble nel loro mondo immaginario simile a un grande negozio di giocattoli, come un elicottero da combattimento lancia la sua truppa d’elite in territorio nemico.
Tilda Swinton è una doppia giornalista gemella; Scarlett Johansson è la sirenetta di musical acquatici, casto sogno erotico dei pudici anni 50; Alden Ehrenreich è un cowboy (il riferimento a John Wayne è quasi sentimentale) ignorante e bravissimo; Channing Tatum è una specie di divo à la Gene Kelly maestro del tip tap; George Clooney il divo di Hollywood da epos biblico, e maschera di se stesso. Questa complessa scultura cinematografica viene tenuta insieme dal boss produttore Josh Brolin, che salva, cura, rimedia, tiene duro e vince. L’associazione teologica è evidente: Brolin è un uomo che attraversa, e supera, la pesante crisi esistenziale di metà vita grazie alla fede. All’inizio e alla fine della storia si confessa. Ma non lo fa per chiedere pulizia morale e solidità di spirito, bensí per confermarle, per aprire gli occhi sulla bontà di un’anima. Brolin è Eddie Mannix, il responsabile delle star per gli studi della Capitol. Un manager genitore punto di riferimento imprescindibile per le schiere di dive e divi dalle anime in crisi. Il progetto più importante in cantiere è Ave, Cesare – Un Racconto del cristo. Protagonista Clooney legionario romano, improvvisamente rapito da un gruppo di fantomatici marxisti.
Un classico one-man noir che poco mette in discussione e tanto ci ricorda di quanto un’intrattenimento di qualità è, e resta, una delle virtùdecisive dell’arte cinematografica. La serietà della prova di coscienza cui è sottoposto l’eroe Brolin è l’amalgama più convincente di tutta la storia. Un grande film dei fratelli Coen, attestato di un talento liberato senza sforzi, leggero e autentico.
NOTE
- FILM D'APERTURA AL 66. FESTIVAL DI BERLINO (2016).
- CANDIDATO ALL'OSCAR 2017 PER LA MIGLIOR SCENOGRAFIA.
CRITICA
"(...) perfettissimo James Brolin (...) bravissimo Alden Ehrenreich (...) due perfide Swinton al prezzo di una (...) Johansson copia conforme di Esther Williams (...) strepitoso Channing Tatum (...). Nell'incastro di cinema e vita, delizia cinefila, i Coen non scelgono la nostalgia né il mito ma follia e manipolazione (la montatrice Frances McDormand Coen si strangola con la pellicola) e il Cristo sandalone (riferimento forse non così casual) si specchia negli occhi magistralmente inespressivi del centurione Clooney nel circo di nani e ballerine, dove ognuno è l'uomo che non c'era: tutto virtuale, digitale. Divertentissimo, cinico, senza speranza se non nel business." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 10 marzo 2016)
"(...) forse non sarà un risultato all'altezza dei più memorabili messi a segno dagli impareggiabili fratelli (...), ma di sicuro è un gran divertimento. Tanto riuscito da essere in grado di dare soddisfazione al comune spettatore in cerca di evasione come al più sofisticato conoscitore dell'epoca e dell'epopea cinematografica evocata. (...) Mentre la storia centrale vede sparire dai radar il protagonista della più importante produzione in corso (...) (si tratta di George Clooney, stoico nell'immolarsi nella parte del fesso), tutto intorno si agita un piccolo mondo di ridicoli drammi che il vecchio Eddie Mannix deve governare. Quello, il cinema di Hollywood ancora (e non per molto) all'apice della sua potenza, la cui pochezza si stenta a credere tanto influente, ancora custode del segreto della propria magia incantatrice dietro la quale si cela un'umanità dalle risorse culturali e dal quoziente intellettivo più che limitati. 'Bestiame', attori e attrici segnatamente, come con cattiveria ebbe a dire Alfred Hitchcock. Ogni risvolto si richiama a uno dei 'generi' che all'epoca trascinavano legioni di fan a riempire le sale e ad ammirare i loro beniamini dello schermo. (...) Leggerezza da manuale. Compiaciuta immersione vintage che forse non lascerà il segno ma che porta comunque il segno di uno stile d'impareggiabile brillantezza." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 10 marzo 2016)
da: Cinematografo.it Fondazione Ente dello spettacolo
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- Pubblicato Mercoledì, 21 Ottobre 2020 20:00
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LA COMMEDIA DEMENZIALE DI MEL BROOKS Per favore non toccate le vecchiette! (USA 1968) |
Il suo ultimo spettacolo è stato per Max Bialystock, anziano impresario teatrale, un fiasco enorme: per colmo della sfortuna è venuto a rovistare nei libri contabili un impiegato delle imposte, Léon Bloom, timido e impacciato, ma egualmente deciso a compiere il proprio dovere. Non fino in fondo, però: dotato di una insospettabile prontezza d'idee, Léon scopre che, fra tanti, il modo più sicuro di frodare fisco e finanziatori è proprio quello di mettere in scena un'opera destinata un sicuro, colossale insuccesso. Max, che può contare su alcune vecchiette che, trovandolo affascinante, non gli lesinano i soldi, coglie al volo il suggerimento di Léon, lo convince a diventare suo socio e, dopo aver frugato tra centinaia di copioni, si convince di aver messo finalmente le mani sul più orrendo: "La primavera di Hitler". Per costruitre un fiasco come si deve
e risarcire le sue vecchiette, Max affida quell'infelice parto letterario al più diffamato regista che trova sulla piazza e scrittura, come protagonista, un aspirante attore-cantante davvero impensabile. Ma, se la più brutta commedia della storia si trasformasse in un successo clamoroso?
NOTE
- NELLA VERSIONE ORIGINALE, LA VOCE DEL CANTANTE CHE SI ESIBISCE IN "SPRINGTIME FOR HITLER" E' DI MEL BROOKS.
- OSCAR 1968 A MEL BROOKS PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE.
- COREOGRAFIA: ALAN JOHNSON.
- NEL 2005 IL REGISTA MEL BROOKS NE HA DIRETTO UN REMAKE, "THE PRODUCERS - UNA GAIA COMMEDIA NEONAZISTA".
CRITICA
"Una originale satira, ottimamente sceneggiata, del pubblico moderno - che dallo spettacolo si attende non idee, ma solo 'evasione' - e, al tempo stesso, di quel teatro che gliela procura, assecondandone l'opacità intellettuale e spirituale. Eccellente l'interpretazione". ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 69, 1970)
"Nonostante l'attribuzione al film dell'Oscar per la migliore sceneggiatura, questa prima opera cinematografica di Mel Brooks non ha ottenuto a suo tempo l'attenzione che avrebbe meritato su diversi piani: come modello di una certa comicità sorniona e corrosiva della commedia americana; come lettera di presentazione di un autore personale e destinato a crescere; come satira del rapporto tra operatori dello spettacolo e i recettori; come presenza del cinema ebraico (e del teatro da cui deriva) nello spettacolo moderno. Da tenere presenti, comunque, tutte le qualità del film: le ottime interpretazioni, la caustica comicità, l'originalità dell'impostazione." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 87, 1979)
da: Cinematografo.it Fondazione Ente dello spettacolo
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